Questo secondo DDL presentato dalla maggioranza, con prima firma la sen. Cantù, parte dall’affermazione, in premessa, del valore della legge di riforma psichiatrica del 1978, definita ‘caposaldo’ legislativo, quantomeno nazionale, nel campo della salute mentale.

Tuttavia la premessa stessa, pur documentata, contiene molte contraddizioni. Mentre si afferma la necessità di adeguare il sistema all’accresciuta domanda soprattutto post-Covid (si parla di 17 milioni di perone che hanno sofferto di un disturbo) e si sottolineano in particolare l’area delle dipendenze patologiche, delle demenze, della salute mentale dei bambini e adolescenti, citando nuove patologie come l’ADHD e le varie forme di comorbilità, in un’ottica corretta anche di prevenzione (secondaria) dei disturbi gravi, si anticipa che il quadro non permette in sostanza investimenti di larga scala.

Da un lato si tratterebbe di ‘investire in modo mirato immaginando un incremento delle risorse determinate e assegnate incidenti sul livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale ‘agendo virtuosamente in tutti i segmenti della medicina da liberare risorse da finalizzare specificamente secondo princìpi di appropriatezza e congruenza anche alla prevenzione e tutela predittiva della salute mentale’; dall’altro, pur invocando la ‘salvaguardia di (aggiornati) livelli essenziali di assistenza’, si sostiene una ‘riprogettazione globale di una sanità il cui mantra è investire per dare di più costando di meno’. Inoltre, si riconosce che è lontano il raggiungimento della quota minima del 5% del FSN (quantificato in 3,2-3,3; in realtà il dato é del 2,75%, SIEP, 2022) per la salute mentale, e la necessità di ovviare alle disomogeneità di dotazione e funzionamento dei DSM, a partire dai CSM, di cui si riconosce la loro riduzione, l’ampliamento dei bacini d’utenza, l’orario ridotto di apertura e la ristretta gamma di interventi, sostanzialmente riconducibili a visite ambulatoriali e prescrizioni farmacologiche; ma anche degli SPDC e della residenzialità. In particolare non i CSM, ma questi ultimi due tipi di struttura vengono presi in considerazione nel testo del DDL, a partire da due considerazioni:

-la dotazione dei posti letto nel sistema pubblico di salute mentale, di cui si critica il parametro di riferimento di dieci letti per 100.000 abitanti nei servizi negli ospedali generali (che colloca l’Italia agli ultimi posti in Europa per dotazione di posti letto psichiatrici; ma qui gioca, e per fortuna, la chiusura degli ospedali psichiatrici);

-la disomogeneità, con carenza in alcune aree del Paese, di posti letto residenziali sul territorio, ma senza tener conto il loro carattere spesso di surroga alle carenze della presa in carico di lungo periodo, complessiva e globale, del paziente da parte dei già citati CSM.

Si dichiara in definitiva l’inidoneità del vigente sistema sotto diversi profili: quello delle risorse (a partire dal personale, che andrebbe , del sottodimensionamento della rete di offerta ospedaliera e territoriale, frammentazione e disomogeneità nella presa in carico e insufficiente consolidamento dei percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (PDTA) strutturati per segregazione di bisogni e classi di fragilità’. Si ammette che il comparto pubblico è incapace di soddisfare quali- quantitativamente la domanda (psicoterapie e interventi psicosociali, supporto alle famiglie), ribaltando la spesa sui privati cittadini. Si chiamano in causa best practices, nuovi LEA e necessità di aggiornare l’attuazione del PNRR.

Venendo al testo, notiamo come esso parta ribadendo concetti condivisibili.

All’art 1, Principi generali e finalità, si afferma la necessità della prevenzione (primaria, secondaria e terziaria) e di interventi educativi a partire dalle fasce più fragili; di percorsi a complessità crescente, con relativi PDTA ‘modulati in base ai bisogni della persona’, con aspetti di integrazione

con gli altri servizi sanitari, anche in età evolutiva nelle aree della transizione (età adolescenziale) e nell’area dele dipendenze. Si parla di presa in carico anche della famiglia, di multidisciplinarietà e case management degli operatori non medici, di domiciliarità e territorialità con servizi assertivi e proattivi, di progetti personalizzati (PTRI) e budget di salute, di lotta allo stigma, ma anche – da notare – di potenziamento ma anche monitoraggio e verifica del privato accreditato.

Si enuncia la necessità di adeguamento del personale agli standard previsti dall’intesa Stato-regioni (21 dicembre 2022). In questo articolo il DDL enuncia anche idee innovative, come la struttura clinico-forense regionale per il coordinamento e la gestione della rete complessiva di presa in carico dei soggetti autori di reato in misura di sicurezza detentiva e non.

Si passa quindi alla parte applicativa.

All’art 2, Disposizioni per il potenziamento della prevenzione, protezione e tutela della salute mentale nell’età evolutiva, adulta e geriatrica, si intende sostanziare questi enunciati invocando un decreto ministeriale entro sei mesi dalla promulgazione della legge che dovrebbe, oltre che genericamente potenziare i DSM:

-potenziare l’offerta per la presa in carico ‘territoriale e ospedaliera’ di persone in comorbilità con le dipendenze, con bisogni complessi e in particolare scarsa adesione alle cure (ma come?), ma anche

– ‘istituire nuovi modelli residenziali intermedi tra i livelli ospedaliero e ambulatoriale per la presa in carico di persone affette da disturbi mentali a minore impatto psico-sociale, che comportano comunque la necessità di assistenza’ (come: in day hospital?), nonché (poco chiaro)

-‘attivare servizi di prevenzione delle patologie e di promozione della salute attraverso l’attribuzione di programmi specifici di intervento coordinati e diffusi su tutto il territorio regionale anche facendo riferimento alle diverse forme di psicoterapia’ (psicoterapia come prevenzione?); —sviluppare modelli di partecipazione di utenti e familiari attivando l’aiuto reciproco;

-realizzare l’integrazione tra aziende sanitarie e università per la formazione dei medici specializzandi;

-identificare soluzioni per inserimento lavorativo degli utenti nel mondo del lavoro, ‘promuovendo le attività lavorative all’interno delle strutture ospitanti’ (come lavoro intra-istituzionale, ergoterapia?).

Infine preoccupa quello relativo alle Rems, che prevede l’adeguamento dell’offerta di posti letto ‘secondo target di rischio individuale e sociale anche di massima sicurezza e promuovendo livelli di assistenza appropriati nelle realtà carcerarie, nonché attivando un tavolo permanente regionale finalizzato a pianificare i percorsi e i rapporti con la magistratura anche con soluzioni residenziali mirate per i casi di disagio mentale di elevata pericolosità sociale, per finalità di protezione osservazionale predittiva e di trattamento preventivo proattivo’. Questo significa differenziazione delle Rems secondo target di rischio (che di fatto già c’è, ma qui viene sancita e legittimata) e il potenziamento della già esistente rete di residenze per soggetti ‘pericolosi’, che si collocano al di là del dubbio confine della restrizione della libertà personale sulla base di presunzione di reati.

Si giunge poi ad altri aspetti, più strutturali, che si enunciano a partire dal successivo art 4,

Disposizioni per la revisione delle strutture adibite a residenza per le persone affette da

disturbi mentali, che indica una serie di requisiti ambientali, strutturali, dimensionali, e anche dell’offerta di cura, dove l’équipe multidisciplinare psichiatrica è integrata da medici internisti, geriatri e fisiatri, con ciò configurando una vera strutturazione istituzionale autosufficiente, tipo reparto lungodegenti.

Mentre all’art. 4 si tratta con sufficiente completezza le necessità di valutazione, monitoraggio, raccolta dati epidemiologici e di performance, processo ed esito attraverso sistema informativo,

l’art 5 intende attuare la riorganizzazione dei DSM integrando le componenti relative alle dipendenze e alla NPI, e in partenariato con i servizi sociali, gli enti locali, le scuole, le università, il Terzo settore, le strutture residenziali accreditate, le organizzazioni di volontariato, etc.

La costituzione di dipartimenti integrati con dipendenze e NPI, già da tempo sperimentata in molte regioni, necessita di attenta valutazione e confronto, ma certamente una stretta integrazione di questi servizi con quelli per la salute mentale dell’adulto è la direzione che appare corretta.

L’art. 6 espone un altro punto estremamente problematico. Nell’occuparsi di ‘revisione e potenziamento dell’offerta di presa in carico ospedaliera’, anche qui tramite decreto adottato dal Ministero della Salute entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, esso prevede l’aumento, fino al raddoppio, dei posti letto degli Spdc (1/5000); la loro destinazione anche a ricoveri prolungati, specie per pazienti con comorbilità; l’istituzione di moduli residenziali ‘dedicati al monitoraggio, all’osservazione intensiva e alla protezione dei rischi del malato e a garanzia della sicurezza degli operatori’, vale a dire le intensive care unit blindate che si trovano ovunque in Europa; e infine reparti per adolescenti, DCA e perfino per autori di reato, che vanno ad affiancarsi alle Rems e alle residenze per ‘pazienti pericolosi’ in un sistema parallelo ed esorbitante per ‘bisogni speciali’. Anche qui si prevedere ‘la presenza di un’équipe multidisciplinare costituita da infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali, psicologi, medici internisti, geriatri, fisiatri, psichiatri, con un dimensionamento sufficiente per poter garantire tutte le diverse tipologie di attività di cura, in raccordo funzionale con i competenti uffici giudiziari.’ Si va dunque verso un potenziamento dell’istituzione psichiatrica, onnicomprensiva, chiusa in un suo universo separato, isolato ed autoreferenziale.

Insomma, smontato il manicomio, ora si vogliono ricostituire sistemi differenziati di internamenti e controllo secondo target specifici, ma tutti uniformati da criteri di sicurezza e ovviamente da mezzi di contenzione a porte chiuse.

Infine, all’art 7, sempre entro sei mesi il Ministero (ma quanto lavoro tutto insieme!) dovrà elaborare un piano nazionale di prevenzione dell’ansia e della depressione, delle psicosi e del suicidio.

Il conclusivo art. 8 stabilisce l’assegnazione alle Regioni e Province Autonome di complessivi 400 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025 ripartiti all’interno del finanziamento corrente.

In conclusione, possiamo in termini generali affermare che il DDL 1171 si configura come operazione molto più pericolosa dell’altro DDL, in quanto declina premesse e principi ampiamente accettati in una visione di salute mentale orientata al territorio e ai diritti, con un dettato che è più simile a un documento programmatico, di tono discorsivo e non prescrittivo. Tuttavia, a partire dall’affermazione condivisa della scarsità delle risorse umane, strutturali e strumentali e dai condizionamenti del quadro economico-finanziario, nei suoi articoli applicativi avoca al governo, in assenza di qualunque concertazione con gli stakeholders (operatori e utenti in primis), l’attuazione di decreti applicativi che dovrebbero, in maniera mirata, non tanto rispondere alla complessità dei problemi e bisogni enunciati, quanto alla loro riduzione dentro un quadro gestionale di tipo medico sanitario, che privilegia come prioritario il potenziamento dei posti letto ospedalieri e residenziali, anche privati, dedicati al contenimento, anche in forme segregative ed in strutture realizzate ex- novo al di fuori di quanto finora stabiliti dai Piani Nazionali, delle persone con disturbi del comportamento, commissione di reati, contemporaneo uso di sostanze, ma anche di adolescenti.