La recente approvazione della legge che proroga di un anno la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e introduce dispositivi, regolamenti e limiti fanno per la prima volta sperare che qualcosa veramente accada.
Il libro di Virgílio de Mattos “Una via d’uscita“, con un’attenta introduzione di Ernesto Venturini e un ricchissimo apparato di note, si impone come testo da leggere attentamente per chiunque voglia occuparsi della questione e impegnarsi fattivamente per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Le riflessioni di Virgílio de Mattos, brillante e impegnato giurista brasiliano, attualizzano questioni cruciali che la legge di proroga, stante il Codice Rocco, non ha potuto affrontare: l’imputabilità, la pericolosità, le misure di sicurezza; la restituzione infine della completa titolarità dei diritti al “matto pericoloso e criminale”. E sulla pericolosità soprattutto che si sofferma e ci offre riflessioni quanto mai oggi necessarie.
Sergio Moccia, professore di Diritto Penale al Federico II di Napoli, così commenta il lavoro di De Mattos:
“Questo libro non racconta soltanto una storia brasiliana, bensì rappresenta, al di là delle sorprendenti e significative analogie con ampi settori della nostra realtà sociale, istituzionale e legislativa, un’efficace, toccante metafora di una condizione diffusa, purtroppo, a livello planetario. Si narra, infatti, della condizione che il sistema politico e sociale – e, dunque, l’ordinamento giuridico! – crea con l’istituzione manicomiale e delle ragioni per cui essa appare fatalmente destinata alle persone che sono prive «delle grandezze prestabilite e riconosciute – nascita, fortuna, santità, eroismo o genio – e che, tuttavia, sono attraversati da un certo ardore, un eccesso nella cattiveria, nella bassezza, nella sfortuna tali da conferire loro agli occhi di quanti le attorniano, e in maniera commisurata alla mediocrità di questi ultimi, una sorta di spaventevole e miserabile grandezza. […] Perché qualcosa di queste vite giungesse fino a noi è stato necessario che un fascio di luce le illuminasse anche solo per un istante: il potere le ha strappate alla notte in cui avrebbero potuto e, forse, dovuto rimanere, le ha atteso al varco, ha prestato attenzione, anche solo per un attimo, al loro lamento e al loro piccolo strepito e le ha segnate per sempre con i propri artigli» (Michel Foucault, La vie des hommes infâmes, 1977). Nel caso della “spaventevole e miserabile grandezza” delle vite degli internati in tutti i manicomi giudiziari del mondo, gli artigli del potere sono quelli del sistema penale che, più del solito, li affonda nella carne delle sue vittime fino a sfiorarne l’anima: predica recupero e inclusione, ma, se ti dice che sei non solo criminale ma anche pazzo, lo fa con la inevitabile violenza delle parole di una maggioranza organizzata di fronte alla quale possono averti messo la tua condotta di un momento, i tuoi pensieri o, peggio, la tua condizione – magari subìta – di “ultimo”: pazzo e criminale, quindi, resterai per sempre agli occhi degli altri e con gli occhi della tua stessa, anche solo momentanea, vulnerabilità […]“.