Di Eleonora Favaroni
A proposito degli OPG si è parlato di chiusura definitiva avvenuta pochi giorni fa.
C’è chi pensa ottimisticamente a un cambio culturale, chi parla di “conquista di civiltà “, chi avanza ancora dubbi riguardo la sicurezza e il timore dei cittadini, tipico di tanta, troppa, ignoranza e non conoscenza in materi, che alimenta solo altra ignoranza ed errore più che da fatti concreti. Si ricordano e denunciano doverosamente le condizioni disumane in cui versano e hanno fin’ora versato tali istituzioni dove vengono legittimate spesso dinamiche violente e di abusi ( ricordiamo il numero ricorrente ed elevato dei suicidi e omicidi presso queste strutture, l’abuso di contenzioni meccaniche e chimiche pesanti e devastanti, l’assenza totale di tutela e di diritti. In tal caso da applaudire il documentario di Francesco Cordio “ Lo stato della follia”) dinamiche che si perpetuano anche in molte altre realtà istituzionali come il carcere e i reparti psichiatrici. Sopravvive ancora da secoli (il ricovero coatto in manicomio è stato istituito nel 1904 e poi , i manicomi giudiziari sono passati al Sistema penale nel 1976) forte il concetto e preconcetto del “folle” pazzo, pericoloso ; concetti strettamente legati a pratiche altrettanto desuete e in vigore come il contenimento e la segregazione coatta.
Non credo proprio alla luce della realtà odierna che si possa parlare di salto di civiltà , cambiamento , alternative , né basta sapere che i “ricoveri” in OPG sono diminuiti.
Nessun senso poi né cambiamento alternativo propone del resto la normativa che con la legge 81 /2014 prevede l’affidamento e la “presa in cura” dei detenuti nelle REMS o nelle strutture protette dei dipartimenti di salute mentale locali: comunità riabilitative ( CTR di tipo 1 o 2), residenze assistite 24 ore su 24, gruppi di convivenza ecc … cioè altre istituzioni totali e chiuse, dove non credo proprio si possa parlare con così tanta leggerezza e ipocrisia di “presa in cura” “riabilitazione” 0 “accoglienza”. Le risposte sono già implicite nella confusa trama di ipotesi avanzate per contenere il problema e non certo per affrontarlo diversamente. Il problema è insito nella struttura ideologica che ha sempre caratterizzato queste istituzioni che si presentano ancora come il continuum dei vecchi manicomi. Non cambierà nulla di fatto nella gestione dei detenuti ex internati degli OPG destinati al circuito chiuso e controllato delle REMS (per i più “pericolosi”) o dei Centri di salute mentale ( per i dimissibili).
La scena si ripete tale e quale quando verso la metà degli anni settanta si decideva per la chiusura de i grandi manicomi italiani , pioniere di tale da molti salutata come una “rivoluzione ” socio-culturale e politica Franco Basaglia e lo staff di Gorizia e Trieste, seguito e imitato poi da altre realtà regionali come anche Perugia con Carlo Manuali.
Si parla della necessità come allora con i primi CIM ( centri di igiene mentale), di investire e potenziare i servizi del territorio , quindi i centri di salute mentale con annesse strutture da essi gestiti ma non di progetti e obiettivi per una reale autonomia e promozione dell’ identità dell’individuo. D’altro cantomolto difficile pensare a una liberazione soggettiva in individui ormai spersonalizzati e segnati con alle spalle anche 20 anni di manicomio giudiziario.
Siamo difronte a una nuova massiccia reistituzionalizzazione.
Secondo i dati forniti dalla relazione trimestrale del Governo, del 14 novembre 2014, i posti letto per le REMS erano inizialmente progettati per numero di 900, ora sembra sceso a 100. Gli internati presenti ancora al 1 settembre erano 793 più 84 ingressi nuovi di cui 160 dichiarati non dimissibili per ragioni cliniche e dove il 17% dichiarati pericolosi socialmente. La legge 81 prevede che dopo 6 mesi dalla chiusura degli OPG, le Regioni che non riescano a dimostrare la capacità di accogliere i detenuti nelle strutture saranno commissariate.
Castiglione delle Stiviere, l’unico con una sezione femminile sarà il modello di riferimento per la Lombardia per aprire posti letto extraospedalieri alternativi al vecchio OPG ,a Leno e altre cittadine lombarde, con il risultato più che palese di ritornare a ricalcare pienamente l’approccio manicomiale chiuso .
In Umbria non c’è un OPG (ma si farà capo a Firenze , Montelupo fiorentino) ma il problema istituzionale si ripropone totalmente in quanto , è una delle Regioni che conta il maggior numero di residenze fisse con posti-letto, d’Italia.
Ancora non sappiamo nulla di fatto sull’organizzazione e l’andamento della situazione attualissima che si è venuta a creare e , se le indicazioni verranno rispettate o riviste, comunque quello che emerge chiaramente , al di là delle incertezze e dei dubbi persistenti è la generale immobilità e immutevolezza di un sistema ideologico fortemente radicato come quello manicomiale che mostra i suoi aspetti dietro facciate esterne apparentemente riconvertite e mutate . I detenuti degli OPG verranno comunque destinati ad altriapparati simili di controllo e contenimento. Il vero problema è questo. Il vero problema è in tutto il sistema da rivedere alle radici: quindi, gli approcci terapeutici improntati ancora sulla vecchiapsichiatria clinica dannosa e non sulla vera psicoterapia relazionale, veri progetti concreti per promuovere autonomia e autodeterminazione , con conseguente sganciamento dai servizi e prospettive di dimissibilità definitiva, e non creare dipendenza e cronicizzazione.
Qui trova espressione tutta la fallacia e illusoria costruzione politico-sociale-culturale della contraddizione Basagliana e della legislazione penale italiana . Basaglia ha chiuso i grandi manicomi ma conservando pienamente tutta l’ideologia manicomiale trasferendola poi nel territorio frammentata nel circuito di tante altre piccole istituzioni totali coercitive chiuse e controllate quali sono oggi i Centri di salute mentale , case famiglia, comunità ecc. dove ci sono persone che vi sono assoggettate e dipendenti da anni , strutture che dovrebbero essere di transito , e momentanee invece finiscono per presentarsi come contenitori stazionari di detenzione fisico-psicologica illimitata . Veri ergastoli bianchi.
Non serve chiudere un cancello quando le mura sono saldamente erette dentro la nostra mente . Quando la paura attanaglia le nostre convinzioni e le nostre coscienze. La paura dell’incerto , dell’ignoto , del diverso , o del non conosciuto.
La stessa paura che aveva Basaglia stesso e di cui si rendeva più o meno conto quando all’indomani della creazione del concetto di “comunità”, affermava a proposito del pericolo di una nuova reistituzionalizzazione :“ questo è il rischio cui può andare incontro il nostro futuro ospedale comunitario. Ci limitiamo a traslocare dentro mura trasparenti la nostra struttura gerarchico-autoritaria. Esiste davvero un fuori sul quale e dal quale si possa agire prima che le istituzioni ci distruggano?”.
Forse Non si era accorto purtroppo che questo era già accaduto. L’istituzione era dentro di lui e intorno a lui. Basaglia ha solo agito all’esterno e non per cambiare il sistema interno di cui egli stesso era rappresentante . Cosa che invece in quegli anni e molto prima ancora succedeva in Inghilterra con i pionieri della psichiatria esistenziale ( che Basaglia aveva conosciuto e ne era rimasto affascinato )e le esperienze di comunità aperte e del tutto deistituzionalizzate come furono le Kingsley Hall e Villa 21.
Per quanto riguarda il destino oscuro e ancora incerto degli ex internati in OPG sospeso sul doppio binario tra carcere e manicomio , esso finisce per ricalcare la strada di quella ambiguità vecchia e irrisolta che finisce col relegare nuovamente le persone in ruoli fissi e congelati carcerato /carceriere; paziente/medico, e in quella terra di nessuno , dove tutti possono stare ma dove in realtà nessuno è libero; una contraddizione che trova la sua tragica fine in se stessa.