[articolo uscito su il manifesto]
L’emergenza da coronavirus ha prodotto pesanti conseguenze sulla vita di tutti i cittadini e la crisi economica e occupazionale che si profila alimenterà i danni sociali.
Effetti certamente più gravi per le persone con sofferenza mentale, per i più anziani, per le persone con disabilità e con malattie croniche, per i detenuti e per tutte le persone “rinchiuse in istituti”.
Effetti resi ancor più duri dai tagli alla sanità e alle politiche sociali di questi anni. In questa emergenza abbiamo assistito al fallimento del modello di cura custodialista, fondato sul ricovero (sulla restrizione, sull’internamento).
Quando l’ospedale – ma si pensi alle residenze per anziani – è stata la risposta prevalente all’epidemia abbiamo visto cosa è successo, in termini di maggiori sofferenze e di morti.
Questa drammatica esperienza ci insegna che occorre rilanciare il “modello di salute e di cure di comunità”, praticato nei luoghi della vita quotidiana, a domicilio, nei servizi territoriali di prossimità: proprio il modello che si è radicalmente opposto all’istituzione manicomiale e che ancora oggi, per la salute mentale, per la non autosufficienza, per la stessa esecuzione della pena, può ispirare l’innovazione necessaria del nostro welfare.
In piena emergenza pandemica, nel mese di aprile 2020, come Osservatorio stopOPG e Coordinamento Rems-Dsm, abbiamo realizzato il 2° monitoraggio sulle Rems, per capire cosa stava succedendo in strutture che, diversamente dalle carceri, erano rimaste fuori dai riflettori.
E per rimettere in marcia il processo riformatore della legge 81/2014, che chiudendo gli OPG ha avviato un nuovo percorso per affrontare il complesso tema del rapporto fra diritto alla tutela della salute mentale e giustizia.
Dalla rilevazione offerta dal questionario, pur considerando i limiti di un monitoraggio effettuato a distanza e solo su alcuni indicatori, viene segnalata una buona risposta all’emergenza Covid-19 del sistema REMS, indicate alcune linee di lavoro e riflessioni sul futuro: fino a prevedere altre soluzioni abitative che potrebbero affiancarsi (o persino sostituire) i modelli residenziali Rems per favorire misure non detentive.
Intanto però, anche se l’importante sentenza (99/2019) della Corte Costituzionale sul diritto a misure alternative alla detenzione anche per gli infermi di mente e sul fatto che le Rems non abbiano sostituito gli Opg, offre una via d’uscita, sappiamo che la “riforma gentile” è incompleta.
Ed è ancora una volta messa in discussione: preoccupante è la questione della legittimità costituzionale sulle Rems sollevata dal Tribunale di Tivoli (Ordinanza 11.5.2020), sulla quale richiamo il commento di Pietro Pellegrini.
Ritorna così evidente la necessità di organizzare un nuovo rapporto di collaborazione tra Giustizia (Magistratura) e Sanità (Regione, Asl, DSM), grazie al quale i progetti di cura dei pazienti siano definiti concordemente, distinguendo il mandato sanitario da quello custodiale.
In questo senso è indispensabile un accordo quadro nazionale Stato Regioni e occorre sia riattivato l’Organismo di monitoraggio nazionale.
Infine, bisogna riaprire il dibattito sulla modifica del codice penale per misure di sicurezza e imputabilità: un’utile base di discussione è la proposta di legge elaborata da Franco Corleone e fatta propria dalla Conferenza dei Garanti regionali dei diritti delle persone private della libertà personale, per superare finalmente quel “doppio binario”, figlio della logica manicomiale, riservato solo ai “malati di mente incapaci di intendere e volere autori di reato” e sancire pari diritto di cittadinanza per tutti.
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