Non è né semplice né facile parlare di convivenza dopo che la sopraffazione si è manifestata nella sua forma estrema della soppressione dell’altro da sé e dell’altro che è in ciascuno. Eppure non vedo in quale altro modo, se non con la convivenza, si possa fermare la sopraffazione.
Di convivenza si è parlato a Foggia e San Severo nelle giornate annuali organizzate dal Club No Restraint, che unisce i servizi di psichiatria (SPDC) che non legano le persone a loro affidate, né le tengono chiuse a chiave.
Anche se il no restraint si riferisce alla abolizione degli strumenti fisici di contenzione, come fasce, fascette, corpetti ed alla apertura fisica delle porte, in realtà queste non sono che la conseguenza di una qualità della relazione interumana. Il no restraint si può definire, dunque, come una relazione tra uomini liberi, una libera comunicazione tra eguali, nella quale l’operatore rende partecipe la persona con il problema ed i suoi familiari. L’operatore insegna, ma anche apprende dalla persona con il problema. Non prescrive alcunchè senza averlo preventivamente contrattato e concordato.
La psichiatria è nata per moderare ma non abbandonare il ricorso alla costrizione. I folli vennero separati dagli altri reclusi in carcere per accedere al dispositivo che sarebbe stato pensato per loro : il manicomio. Anche dopo la legge 180 che li ha chiusi, le pratiche costrittive sono sopravvissute nei “repartini psichiatrici”.Non dappertutto però. E la pratica degli SPDC no restraint sta lì a dimostrarlo.
Come consuetudine nell’incontro annuale (Foggia è stata l’ottava tappa) si è dato ampio spazio al racconto del come si fa. Con aggiornamenti da Caltagirone, Caltanisetta, Livorno, Pescia e Pistoia, San Giovanni in Persiceto, Terni,Trento, Trieste, Udine. Del resto è noto che la pratica delle porte aperte richiede un’attenzione costante e nessuno può riposare sugli allori. In alcune relazioni sono state evidenziate situazioni problematiche che hanno indotto interventi restraint, ma anche una reazione degli operatori a migliorarsi nelle loro pratiche.Il gruppo degli operatori di San Severo, organizzatore dell’incontro, ha presentato molto in dettaglio la propria esperienza. Che si è sviluppata e consolidata nel tempo, sapendo portare il metodo no restraint anche in un contesto non favorevole.
Se l’esperienza di San Severo dimostra come il no restraint possa essere praticato autonomamente da un servizio psichiatrico ospedaliero, tuttavia una parte dell’incontro è stata dedicata alla questione della rete dei servizi articolata nel dipartimento di salute mentale. Intesa come la dimensione più adattata a garantire alle persone una relazione sempre e comunque non restrittiva.E’ del tutto evidente d’altra parte come solo una forte rete di servizi territoriali e l’utilizzo di strumenti di personalizzazione ed integrazione degli interventi, come è il budget di salute, possano facilitare, e consolidare come pratica stabile, il no restraint.
Si è svolto un importante confronto tra direttori di DSM. Da parte di tutti è stata riconosciuta la necessità di arrivare a superare le contenzioni, riconoscendosi nelle indicazioni della Conferenza delle Regioni e del Consiglio Nazionale di Bioetica. Per esempio il direttore del DSM di Bari ha assunto l’impegno a riferire tra un anno, nel prossimo incontro che si terrà a Terni, grantendo almeno il dimezzamento dellle contenzioni.
La presentazione dei libri di Giovanna Del Giudice (E tu slegalo subito) e di Piero Cipriano (La fabbrica della cura mentale, Il manicomio chimico) ha introdotto altre due questioni fondamentali e connesse.
Da un lato il diritto/dovere del singolo psichiatra/operatore della salute mentale alla obiezione di coscienza allorchè si trovi ad operare in un contesto restrainDall’altro il danno biologico ed esistenziale che una persona contenuta subisce, e per il quale ha diritto ad un risarcimento.
Se il no restraint può essere una scelta individuale, di un gruppo di operatori, di un intero sistema di servizi (DSM), è indubbio che la condizione auspicabile sia quella di un intero territorio, di una intera città a contenzioni zero.Come sappiamo, infatti, le legature rappresentano una piaga diffusa nelle residenze per gli anziani e negli ospedali. Quantitativamente le contenzioni in queste strutture sono molto di più che in psichiatria. Quest’ultima rispetto al campo dei servizi socio sanitari, svolge una funzione “ideologica”, legittimandone le pratiche restrittive o mettendole in discussione.
E’ il caso di Trieste che si definisce “libera da contenzioni” per il programma attivato dalla Commissione per la eliminazione delle contenzioni e delle cattive pratiche (www.triesteliberadacontenzioni.wordpress.com).
In analogia il convegno al termine dei lavori ha approvato una mozione che sollecita la ASL di Foggia ad istituire una analoga commissione provinciale.
Un altro livello in cui porre la questione del no restraint è quello delle organizzazioni professionali, degli infermieri e dei medici, in particolare.
Non a caso il convegno era ospitato dall’Ordine dei medici foggiano.
Tanto il codice degli infermieri che quello dei medici sono ancora troppo timidi ne confronti della contenzione, ancora ammessa anche se in casi eccezionali. Con la conseguenza di avere una ridondanza di linee guida per le contenzioni, mentre quelle per il loro superamento non ci sono.
Chi è intervenuto a nome di Ipasvi ed Ordine dei Medici si è impegnato a presentare la proposta di una modifica dei rispettivi codici deontologici, in modo che la contenzione meccanica non sia mai considerata un atto clinicamente giustificabile.
Nel farlo potrà utilizzare le ricerche presentate al convegno da osservatori indipendenti che mostrano una qualità della vita negli SPDC no restraint nettamente migliore sia per i pazienti che per gli operatori.
Vi è una ragione comune, dunque, perchè gli utilizzatori e gli operatori siano alleati nella campagna nazionale per l’abolizione della contenzione che sta per partire.