Prima della legge 180. Psichiatri, amministratori e politica (1968-1978) è la ricerca di Daniele Pulino, con l’introduzione di Maria Grazia Giannichedda, pubblicata dalle Edizioni AlphaBeta Verlag della Collana 180.
Il decennio che precede la legge di riforma sanitaria sembra essere oggetto della smemoratezza che domina i nostri giorni. Come se la Legge 180 con tutta la sua radicalità e con la profonda intenzione trasformativa fosse capitata per caso nella commissione presieduta da Tina Anselmiquel mattino del 13 maggio 1978. Gli anni ‘70 invece furono ricchissimi di ricerche, esperienze, dibattiti e conflitti che a volte sembrarono impedire qualsiasi altro sviluppo. Il racconto di quegli anni nel libro di Daniele Pulino rimette in gioco con urgenza parole e scelte di campo che costituirono l’orizzonte di quanti si interrogavano sulla questione psichiatrica.
Dopo Gorizia l’evidente miseria e violenza dei manicomi ai confini del mondo era stata svelata a tutti. Dopo il reportage di Sergio Zavoli nessuno poteva più dire di non sapere. Gli scandali dei manicomi di Cagliari, di Bisceglie, di Guidonia, di Collegno erano oggetto di inchieste rigorose delle maggiori testate giornalistiche. Il San Giovanni di Trieste ormai a porte aperte e in via di chiusura costituiva l’evidenza di una possibilità. Ma anche l’ospedale di Perugia, ancor prima, aveva sperimentato l’apertura e così di seguito esperienze di cambiamento diffuse al nord come al sud alimentarono forse, paradossalmente, più di Perugia, Gorizia e Trieste la spinta al cambiamento.
Prima delle legge 180 dà conto di tutto questo. L’autore ha condotto una ricerca su materiali di archivio in Parlamento, presso alcune province italiane e tra le carte dei due grandi partiti. Il lavoro ha costituito la sua tesi di dottorato in Scienze Sociali. I passaggi, gli impegni, i conflitti, la partecipazione, la presenza di alcune figure, come Michele Zanetti a Trieste, Mario Tomasini a Parma, Ilvano Rasimelli a Perugia, solo per ricordarne alcuni, segnano un tempo che piuttosto che alimentare nostalgie apre spiragli per intravede un futuro quanto mai necessario.
Nel corso degli anni ‘70 gli interventi che modificano il funzionamento delle istituzioni psichiatriche appaiono come un fenomeno diffuso. […] Buona parte dei manicomi italiani, specialmente quelli del sud Italia, rimanevano ancorati a una gestione di tipo tradizionale. Da questo punto di vista Perugia, Arezzo e Trieste rappresentano la punta dell’iceberg di un mutamento che si realizza attraverso fenomeni tra loro molto diversi. […] Nonostante sia difficile orientarsi nell’eterogeneità dei processi in atto, occorre prestare attenzione all’esistenza di questo repertorio di interventi. Allargando lo sguardo verso l’insieme composito delle esperienze è possibile portare ulteriori elementi che attestano la centralità degli psichiatri e degli amministratori nel promuovere o bloccare il cambiamento o ancora in termini più generali. La centralità del livello locale nella predisposizione di soluzioni alternative al manicomio.
Nelle loro diversità e specificità locali vengono riattraversate le esperienze di Venezie, Firenze, Torino, Rieti, Napoli, Sassari e infine Roma.
Le politiche della salute mentale vivono in questo momento in tutte le regioni un calo di investimenti politici e di risorse, una banalizzazione delle culture, una dolorosa restrizione di quella libertà e di quelle possibilità che proprio la legge ha posto come premessa per accogliere le persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale.Come dire che oggi la lettura di questo libro non può non precedere qualsiasi ripresa di discussione e di impegno per risollevare le sorti di una legge che ha fatto del nostro paese il più avanzato in questo campo.
Nella sua introduzione Maria Grazia Giannichedda dice che questo lavoro di Daniele Pulino costituisce uno stimolo e un contributo su cui vale la pena di fermare l’attenzione e augurarsi che sia seguito da studi analoghi. Finalmente un ricercatore ha preso in mano il problema di ricostruire l’ampia geografia delle esperienze di cambiamento che hanno preceduto la riforma, con le loro diverse pratiche, culture e fortune. L’esigenza di allargare lo sguardo oltre le esperienze esemplari si sentiva da tempo e questo lavoro, per quanto dichiaratamente approssimato per difetto, conferma quanto sarebbe utile proseguire nell’opera di rintracciare e interpretare documenti, delibere, volantini, ricostruire e confrontare cronologie, leggere diari, fare interviste. Gli esperimenti che negli anni Settanta hanno cambiato, talvolta de-istituzionalizzato, i manicomi non possono essere trattati alla stregua di uno dei tanti fuochi della rivoluzione psichiatrica: ne sono al contrario il punto centrale perché costituiscono, per così dire, un attacco al cuore del sistema, e solo tenendo a mente questo elemento si può capire davvero cosa accadde in quella fase della storia d’Italia in cui nacque la riforma del ’78. Il libro restituisce la giusta centralità ai processi di cambiamento di quegli anni, dentro e intorno ai manicomi, e ai dispositivi della psichiatria asilare, e apre una strada che consentirà, per approfondimenti successivi, di contribuire alla costruzione di una sorta di archeologia del presente, o almeno di alcuni dispositivi della psichiatria di oggi.
Con questo libro la Collana 180 vuole illuminare un momento di questa esperienza poco ricercato e poco indagato, facendo chiarezza e mettendo in fila le parti della storia.