Dettagli Inutili parla del suo autore Alberto Fragomeni, un giovane che da più di dieci anni attraversa i luoghi della salute mentale nella sua città. Questo testo rappresenta, ancora una volta, la sorprendente ripresa e guarigione delle persone con una storia di disturbo mentale, testimoniando la possibilità di un futuro diverso, anche attraverso la scrittura.
Le Edizioni alphabeta Verlag pubblicano Dettagli Inutili, il primo romanzo di Alberto Fragomeni con la prefazione di Massimo Cirri. Per raccontare chi è questo giovane autore usiamo le sue parole:
«Sono nato a Bergamo, nel 1981. Mio padre è calabrese, mia madre campana. […] Dopo il diploma, ho frequentato per circa quattro anni l’università Cattolica di Brescia, un corso di laurea inerente al cinema. Poi sono impazzito.
[…] Preferisco il silenzio. Non fa eccezione tutta la faccenda della psichiatria, che tengo ben nascosta nella maggior parte delle occasioni. Un altro motivo per cui preferisco non rivelare particolari della mia vita deriva dal fatto che, a parte i momenti di notevole squallore che tutti noi custodiamo gelosamente, la mia esistenza non ha nulla di speciale, nulla che meriti di essere raccontato. Infine, non parlo della mia biografia perché non la ricordo: non ho chiari i passaggi della mia storia, gli eventi sono confusi, mescolati, annebbiati.»
In questo libro, invece, Alberto si racconta, e lo fa attraverso un percorso, dove non sono al centro la partenza e l’arrivo, ma l’andare in sé, le salite, le discese, il cosa si è vissuto, guardato, pensato fino al momento finale in cui l’autore poco dopo l’ultimo capodanno vede «la propria lanterna cinese che si alza in cielo senza che alcun desiderio fosse stato espresso…». Durante tutto questo percorso le parole di Alberto forniscono un affresco chiaro e puntuale di cosa succede a chi soffre di disturbi psichiatrici, dove la giornata è scandita dall’assunzione del farmaco, dal desiderio di una sigaretta, dagli odori e le immagini degli ambienti, dalle relazioni timorose e timide con i medici e gli altri degenti, dove il più banale gesto della quotidianità viene vivisezionato, analizzato e considerato nell’ottica del dubbio e della preoccupazione di non riuscire mai a raggiungere la sponda della normalità.
Dettagli Inutili racconta per brevi paragrafi che, quando contengono una narrazione, non rispettano mai l’ordine cronologico. Gli eventi, infatti, come dice l’autore, permettono ai ricordi di affiorare e alle considerazioni di affermarsi. Secondo Alberto «la cronologia ha bisogno di un senso, di ragioni, di temi, di valori. Le azioni incongruenti dei folli si susseguono l’una all’altra come pure associazioni mentali, e sono per lo più maldestre messe in scena approntate in maniera casuale, nel mero arbitrio, senza libertà né decisione.»
Solo verso la fine, dopo la sua grande seconda crisi, riparte dalle pagine del suo diario detto il quaderno dell’odio, arrivando al tentativo di arginare la rabbia che lo consumava fino alla decisione di essere se stesso.
Nella sua prefazione Massimo Cirri dice che Alberto ci porta dentro gli apparati delle psichiatrie. Alberto ci è stato a lungo, li ha abitati per talmente tanto tempo da averli potuti osservare quasi con distacco. Alberto ci racconta di come essere uno che sta dentro quel reparto psichiatrico immateriale, ma potente, dal quale sembra a volte così difficile uscire, si intersechi con le faccende della vita e di come camminino laicamente a fianco, vita e dimensione psichiatrica. E ancora di come la vita ne viene mutata.
Cirri conclude dicendo che Alberto «usa molto l’arma dell’ironia. La impugna con delicatezza quando incontra uno dei tanti nodi contraddittori della vita quotidiana in uno dei posti della psichiatria […] che si è trovato ad attraversare. Punta e spara. L’ironia è una pistola ad acqua che spruzza uno sguardo diverso sulle cose. Un’intelligenza disarmante.»
Questo lavoro rappresenta uno dei principali atti attraverso cui Alberto ha concretizzato quello che è stato il percorso terapeutico, un percorso che lo ha portato a recedere gradatamente dai suoi assoluti o sono un grande artista, o sono un paziente psichiatrico destinato alla marginalità sociale, per giungere ad intravedere la transitabilità del limite, la sua vivibilità. Arrivando a dire che si può essere artisti, senza essere i più grandi, si può essere forse un po’ matti, senza essere perduti. Si può aver cura dei propri limiti. Quasi quasi, affezionarcisi.Un atto di grande coraggio e fiducia, nei confronti di se stesso e del suo lavoro terapeutico, e come dice Massimo Cirri: «Alberto Fragomeni […] secondo me può cominciare anche a viversi come un narratore. Di quelli bravi.»
Questo testo rappresenta ancora una volta, nel quadro sorprendete delle ripresa e della guarigione che sperimentano le persone con una storia di disturbo mentale, la testimonianza della possibilità, sperando e rivendicando un futuro diverso, anche attraverso la scrittura. Il tabù della malattia mentale incontra con questi testi una neutralizzazione progressiva alla stregua di qualsiasi altro tema oggetto di narrazione e trattazione letteraria.
Con questo libro Collana 180 vuole parlare non solo a chi si occupa o ha interesse di questioni legate alla psichiatria o alle malattie della mente, ma a tutti, questo grazie anche ad opere come quella di Alberto Fragomeni e alla sua scrittura ironica ed estremamente lucida che ci conduce attraverso i tanti pezzi di un puzzle che alla fine ci aiutano a restituire un quadro di insieme che stupirà qualsiasi lettore.