Se ci fosse realmente la psichiatria territoriale come era stata pensata e realizzata da Basaglia, non ci sarebbe neanche bisogno del servizio psichiatrico
Di Raffaele Nisticò
[articolo uscito su catanzaroinforma.it]
Vorremmo poter dire che il trasferimento dei pazienti psichiatrici dal Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) dell’ospedale Pugliese di Catanzaro a Lamezia Terme ha colto di sorpresa l’opinione pubblica del capoluogo. Invece possiamo tranquillamente affermare che, della nuova disposizione impartita dalla direzione del Dipartimento di Salute Mentale (Dsm), nell’opinione pubblica non ha prodotto alcuna sorpresa perché, come per tutte le cose che dell’Azienda sanitaria provinciale (Asp) di Catanzaro riguardano la salute mentale, poco si occupa e ancor meno si preoccupa.
«Se avessimo avuto la possibilità di incontrare il Commissario Cotticelli questo avremmo chiesto: come mai quando si è trattato di trovare posto al pur giusto ampliamento dei posti letto e delle terapie intensive per Covid si è subito pensato a psichiatria e non ad altre specialità. Noi sappiamo il perché: perché i pazienti che ci stanno, da una parte sono persone ingombranti e dall’altra non fanno testo». Il “noi” che riportiamo, pronunciato da Anna Cristallo, è quello del CASM, il Coordinamento regionale delle Associazioni di salute mentale presieduto da Caterina Iuliano. Cristallo è a capo di una di queste associazioni, l’AVE-AMA. Appena pochi giorni prima della decisione della chiusura del Spdc a nuovi ricoveri e del loro dirottamento eventuale a quello di Lamezia, Cristallo e Iuliano si erano fatte sentire pubblicamente rivendicando, al contrario, la necessità che il Servizio rimanesse nel presidio ospedaliero catanzarese. Non tanto per affezione, consuetudine e comodità, quanto perché così impone una serie di dispositivi di legge sia nazionali che regionali, non ultimo il Riassetto della rete psichiatrica del Decreto congiunto del presidente della giunta regionale e Commissario ad acta 31 del 2013 nei punti in cui prevede a) che «Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura è collocato in ospedali sede di DEA (Dipartimento emergenza urgenza), anche quando l’ospedale è azienda diversa da quella a cui afferisce il DSM e condivide gli obiettivi di tutela della salute mentale. Ogni DSM è dotato di un SPDC con un numero di posti letto fino a 16, tranne che in situazioni particolari legate alla geografia del territorio e alla popolazione residente»; e b) che «Il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura deve essere collocato all’interno dell’ospedale, sede di Dipartimento di Emergenza e di Pronto soccorso, di norma al piano terra con possibilità di accesso all’esterno in spazio verde riservato».
Così continua Cristallo: «…un sabato mattina e in tutta fretta, in seguito a un intervento del NAS che rilevava le condizioni critiche quasi disumane in cui erano costretti a vivere da tre mesi i pochissimi pazienti cui era stato concesso di curarsi; gli ammalati, tre mesi fa, erano già stati trasferiti a causa dell’emergenza Covid dalla sezione di degenza alla zona degli ambulatori medici dopo il sequestro repentino del reparto. Non si è avvertito neanche il benché minimo bisogno di confrontarsi preventivamente con la Consulta del dipartimento di salute mentale, anzi, probabilmente si sarà confidato in una nostra disattenzione». Disattenzione che, evidentemente, non c’è stata.
«Non siamo stati assolutamente avvisati» – ci dice adesso Anna Cristallo – «abbiamo seguito tutta la vicenda perché abbiamo un contatto continuo con il Capo dipartimento, il dottor Montesano, che fa quel che può. In questo frangente emergenziale nell’eventualità di istituire il Centro Covid prima hanno detto che avrebbero tolto completamente l’SPDC, poi che lo avrebbero spostato a Villa Bianca quando lì non è possibile perché per legge deve esserci il Pronto soccorso, poi invece che lì ci sarà la Casa della Salute: insomma una serie di notizie di somma incertezza per cui ci siamo dati da fare, per denunciare, perché a queste persone non si può lasciare fare tutto, devono sapere che c’è qualcuno che soffre e che ha tutto il diritto che ne sia tutelata la salute, e non possono fare finta che non ci siano. La notizia del trasferimento ci è arrivata all’improvviso, avevamo avuto notizia di incontri ai vertici aziendali e regionali senza mai essere avvisati consultati come Consulta, quando per legge dovevamo esserlo».
È una storia che parte da lontano. «Con una lunga serie di manifestazioni pubbliche e di relazioni personali» – ci dice Cristallo – «abbiamo prima costituito il Coordinamento delle Associazioni, con l’obiettivo di fare rete e parlare al territorio, a tutela di persone che prima erano invisibili, intavolando un dialogo con l’Università e la Psichiatria territoriale. A gennaio 2018 siamo arrivati al traguardo della Consulta, che per legge doveva essere costituita già nel 2009, parte integrante del Dipartimento, di cui fanno parte il CASM ma anche le associazioni dei familiari, le cooperative e il Centro calabrese di solidarietà. Con questi organismi facciamo continuamente pressione. A 40 anni dalla legge Basaglia e dalla chiusura dei manicomi, constatiamo che adesso si stanno riaprendo e si chiamano in altro modo: Cliniche psichiatriche, Comunità terapeutiche riabilitative che non hanno nulla di riabilitativo, Rems, Residenze per l’esecuzione delle misure di sorveglianza, che stanno diventando di nuovo piccoli Opg, gli Ospedali psichiatrici giudiziari. Se ci fosse realmente la psichiatria territoriale come era stata pensata e realizzata da Basaglia, non ci sarebbe neanche bisogno del servizio psichiatrico come struttura. Non c’è la volontà politica: in compenso ci sono gli interessi, economici e politici, perché tutte queste strutture sono gestite da medici, da politici e familiari. Tutto questo ha un costo notevole per la sanità, è un costo che ricade sulla comunità perché queste strutture le paghiamo noi tutti».
Di questo avrebbero voluto parlare con il Commissario della Sanità calabrese, Iuliano e Cristallo. Se fosse stato possibile. «Abbiamo chiesto incontri con Cotticelli» – ci racconta Anna Cristallo – «già da gennaio 2019, ma, nonostante le richieste inoltrate anche via pec, siamo stati rimandati da settembre a dicembre, poi a gennaio vengo richiamata per un incontro quando per il Covid si è fermato tutto. Cotticelli non l’ho mai visto. Avremmo voluto dire che si mettessero in atto le leggi esistenti, niente di più: il potenziamento dei servizi territoriali, la deistituzionalizzazione, per cui tutti gli istituti vanno chiusi, solo così si può risparmiare, e si può ridare una casa, un lavoro, l’autonomia a queste persone, soprattutto per il dopo di noi, quando i genitori non ci saranno più. La questione è semplice, vanno solo applicate le leggi».
A Saverio Cotticelli, Cristallo avrebbe anche fatto il quadro della psichiatria territoriale a Catanzaro e nel vasto hinterland: «Vogliamo essere informati sugli sviluppi delle vicende del SPDC a Catanzaro. Ci dicono che alla fine sarà trovato uno spazio adeguato al Pugliese. Ma la cosa deve essere rapida. Perché le persone soffrono. Abbiamo fatto le nostre proposte. Bisogna attivare subito i servizi territoriali. Le persone vanno al SPDC perché non funzionano i servizi territoriali, le famiglie sono abbandonate, le crisi non sono gestite. Oltretutto in questa emergenza Covid in cui sono state chiusi il CSM a via Barlaam da Seminara e il Centro diurno a Bellavista, da tre mesi, non c’è stata assistenza domiciliare. Uno sbocco sarebbe stato il Day Hospital che, per legge, deve risiedere nel CSM, ma non serve se il CSM è aperto solo poche ore al giorno. Per cui chiediamo che il CSM sia attivo 24 ore su 24. Una piccola crisi può benissimo essere gestita nell’arco di un giorno, una notte o due al massimo. In questo modo non si intaserebbe l’SPDC, e l’impiego del personale sarebbe distribuito nel Day Hospital nell’arco delle 24 ore. Intanto le visite al CSM sono riprese a singhiozzo con molti disagi per gli utenti».
E con questo torniamo all’opinione pubblica, o a quel che ne rimane. «La situazione è tragica, la popolazione deve sapere» – si accora Anna Cristallo – «perché abbia un moto di orgoglio, mentre sta a guardare e non parla. Le stesse famiglie spesso per mentalità delegano tutto al sanitario, in ciò assecondate o anche indirizzate dalla politica, come sarebbe da pensare guardando all’ultima scellerata riforma del welfare che non prende in nessuna considerazione l’integrazione sociosanitaria. La psichiatria non può essere solo sanità, le persone hanno bisogno anche della partecipazione sociale, dell’integrazione lavorativa. Lasciando le cose così, persiste indifferente lo stigma».
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