di Nico Pitrelli
“La proposta di legge Ciccioli è, in una parola sola, anacronistica”. È il parere di Paolo Cendon, professore ordinario di Istituzioni di diritto privato all’Università di Trieste, a cui abbiamo chiesto di illustrarci quali sono i punti più critici dell’iniziativa del deputato del PDL alla luce della sua lunga esperienza di giurista. È ampia infatti la lista degli argomenti di ricerca di cui si è occupato il prof. Cendon negli anni. La sua attività ha spaziato dai temi della famiglia al danno esistenziale, dalla cattiveria umana agli animali. Si è anche occupato di suicidio e disagio psichico.
Cosa intende più precisamente quando dice che la proposta Ciccioli è fuori dal tempo?
Nel testo si parla di un accordo terapeutico noto come “contratto di Ulisse”, per cui il paziente, inizialmente d’accordo, è obbligato a essere ospedalizzato oppure trattato con terapie specifiche, anche se in seguito, in una fase diversa della malattia, ha cambiato idea. È giusto far capo all’autodeterminazione dell’interessato. Ma se c’è qualche pentimento o smarrimento successivo non si può dirgli punitivamente : “Eri d’accordo. Sei tu che l’hai voluto. Ora si va fino in fondo”. Bisogna puntare sempre sulla persuasione, lo scambio, il negoziato, il dialogo. Non considerare questi aspetti è fuori dal tempo.
Che valore ha allora l’accordo iniziale tra medico e paziente?
La disponibilità formale dell’interessato ha il suo peso, ma parlare di “contratto” è un po’ esagerato. Viene in mente il famoso Comma 22 di Joseph Heller: <<Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalla missione, ma chi chiede di essere esentato dalla missione non è pazzo>>.
Se un sofferente sta molto male e dice un sì iniziale fa certamente un affermazione impegnativa che ha un valore, ma in forma soprattutto programmatica, di principio, di propensione nel tempo. Non si può considerare questo patto come un contratto civilistico, dove davvero non si può mai recedere (di regola), bensì come un piano inclinato prospettico, dove ogni pentimento e ricaduta andranno presi sul serio, discussi, messi al centro di un protocollo di ascolto, di interpello, di consultazione.
Come si possono attuare in concreto questi principi?
Ad esempio con la previsione di un angelo custode forte, come l’amministratore di sostegno, di cui nella proposta Ciccioli non si tiene praticamente conto. Disciplinato minutamente tale figura è il simbolo di una cultura di accompagnamento, persuasione, riscontro. Questa mancanza è un altro segno di anacronismo.
Oltre tutto l’amministratore di sostegno ha competenze potenziali su aspetti anche patrimoniali, familiari, sanitari extra-psichiatrici. Sono tutti momenti che incidono fortemente nella vita delle persone, anche nei casi di trattamento sanitario obbligatorio. È inverosimile non prenderlo in considerazione.
Come si spiega queste “disattenzioni”?
Ho l’impressione che Ciccioli e colleghi non sanno neanche a cosa serva l’amministratore di sostegno, preoccupati come sono di forgiare i loro catenacci sferraglianti senza farsi scoprire. Come si fa in effetti a immaginare una macchina antropologica-psichiatrica-giuridica dove non ci sia la garanzia che, per ogni decisione e contro-decisione, fatalmente implicanti tanti risvolti della persona, ci sarà sempre l’usbergo di un Lancillotto istituzionale, civile, metropolitano, funzionale a trecentossessanta gradi, dalla parte del sofferente, come l’amministratore di sostegno, sotto la guida di un giudice tutelare?
Nella proposta si fa anche riferimento alla necessità di protrarre i ricoveri, a seguire un approccio più vicino al modello medico, a colmare alcuni aspetti non ben tutelati dalla 180. Come giudica questi passaggi?
Si tratta di pronunciamenti vaghi, amatoriali, generici e minacciosi. Si ha il senso di una forte ipocrisia, di qualcuno che circonda di formule vuote e promettenti un progetto segregativo e autoritario. Alcune parti poi, come quella sul “riconoscimento dell’uomo come qualsivoglia azione di disciplina e di governo”, sono un esempio di linguaggio vecchio e pomposo, enfatico e retorico.
Qual è un punto che considera invece più pericoloso di tutti?
Quello in cui si fa riferimento al diritto dei familiari di conoscere lo stato di salute mentale del proprio congiunto superando le restrizioni imposte dalla legge sulla privacy. È un passaggio probabilmente incostituzionale. Bisognerebbe immaginare che qualsiasi deroga alle regole della privacy su dati sensibili – anche per i familiari – venisse disposta dal giudice tutelare.