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di Giovanni Rossi. La casetta è piccola. Tutta dipinta di un bel rosso. Un piano, due stanze. Ricorda quelle che disegnavamo da bambini. Un rettangolo, la faccia. Due finestre e la porta. Gli occhie e la bocca. Un triangolo. I capelli. Dentro il caffè è buono, la persona che lo prepara gentile, l’ambiente confortevole. Alle pareti una quindicina di stampe. In ogni stampa l’immagine di un cervello. Tutti attribuiti a menti eccelse. Del livello di…

di Peppe Dell’Acqua Ricordo. Credo fosse la primavera del 2000 quando Peppe Pillo mi raccontò che erano stati ricevuti dal Papa. Mi mostrò con orgoglio le fotografie ufficiali. “Non è stato facile, – mi disse – c’è voluta perseveranza, testardaggine, un martellamento ossessivo. In una riunione con un gruppo di utenti del centro Donato è intervenuto per dire che, ora che erano liberi, sarebbe stato bello andare a Roma dal Papa. Le persone dimesse dal…

di Gloria Gaetano. Scriverti una lettera. Te la dovevo questa lettera. Ci ho pensato in tutti questi anni, in giro per città sconosciute. Scrivevo poesie, appunti, aforismi. Tutti, forse, facevano parte della lettera che dovevo inviarti. Sul boulevard Jourdan, vicino ad uno degli ingressi della Cité Universitaire, c’è un café che molti anni fa ero solita frequentare. Ieri ci sono arrivata, passeggiando di primo mattino, a quel piccolo café di una volta. L’ho trovato, non…

Cari bambini, care ragazze e ragazzi e cari detenuti, vorrei nitrire  prima di tutto con voi, perché mi avete commosso con il canto, la musica e le immagini di tanti altri cavalli che avete fatto nascere con le vostre mani, perché venissi accolto da tanti altri amichevoli nitriti. Mi ha commosso la grazia dei canti dei ragazzini della scuola media sul piazzale dell’ospedale, dove ho cercato di far uscire i degenti del SPDC: non ci…

slide_24Cominciava nel 1972 la straordinaria trasformazione, a Trieste, del grande Ospedale

Psichiatrico (1200 internati) da degradante e degradato manicomio a “scuola di

libertà”: Franco Basaglia raccoglie un gruppo sempre più ampio di giovani

collaboratori e avvia la destrutturazione di una istituzione totalitaria, violenta,

carceraria e ferocemente escludente.

carissimi siete meravigliosi, pura poesia e felicità: dovete essere orgogliosi – quello che avete fatto è un cosa bella del mondo d’oggi, un segnale di verità, umiltà, lavoro attento e amoroso: il nuovo marco cavallo d’acciaio da oggi nitrisce al mondo insieme ai suoi 12 fratelli – e aiuta tutti a stare meglio: e canta: Voglio divertirmi a correre spaziare nei prati liberi, volare voglio portare i fagotti della biancheria netta e anche andare a cavallare.…

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di Peppe Dell’Acqua e Silvia D’Autilia

A pochi giorni dalla morte di Carla Cerati, vogliamo ricordare così il suo peculiare contributo alla liberazione di un’umanità dimenticata.

Nella stagione della denuncia politica dell’opprimente persistenza delle istituzioni, Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin si trovano a testimoniare la tragedia del manicomio, la condizione in cui versano gli internati, la scomparsa degli uomini e delle donne. Nasce Morire di classe, la raccolta di fotografie che Einaudi pubblica nel 1969, legando la fotografia al filo rosso della contestazione sociale che in quegli anni si sta consumando nel nostro paese.

Domenica 25 Febbraio del 1973, alle ore 12.45, Marco Cavallo uscì da San Giovanni rompendo le mura del manicomio di Trieste. Quale congiuntura migliore per ricordare insieme a Giuliano Scabia Umberto Eco! Scrive Giuliano: “Mentre il grande Umberto ci sorvola ridendo, rileggo  l’articolo che nel ’73 scrisse per il “Corriere” sul libro di Marco Cavallo appena uscito (poi lo rimise nella Periferia dell’Impero e Dell’Acqua l’ha inserito della riedizione di “Marco Cavallo”). Credo che nessuno…

bludi Carla Prosdocimo

Sento il bisogno di dire alcune cose  legate al primo incontro con te, all’apertura di un dialogo che percepisco come assolutamente impossibile chiudere.

La tua immagine pubblica ti ha preceduto, perché ti ho conosciuto, prima che di persona, tramite un tuo breve scritto, che mi è piaciuto, e perché spesso ho sentito parlare di te – da tanti che compongono il nostro comune ambito d’azione – quale persona intelligentemente impegnata ed attiva, a vari livelli teorici e pratici, sul fronte dell’emancipazione dallo stigma e per la tutela dei diritti,  nella ricerca di una salute possibile e condivisibile: un nuovo prezioso punto di riferimento collettivo che sono stata molto curiosa di poter incontrare.

Ci siamo poi frequentati e confrontati non moltissimo, ma quel tanto che a me è bastato per identificarti come un naturale alleato esistenziale, e mi autorizzo a pensare, non credo a torto, che sia stato così anche per te.

di Daniela Mallardi.

‘Ho capito quanto sia pieno di insidie, il termine aiutare.

C’é così tanta falsa coscienza, se non addirittura esibizione, nel volere a tutti i costi aiutare gli altri,

che se per caso mi capitasse, di fare del bene a qualcuno, mi sentirei più pulito se potessi dire:

“Non l’ho fatto apposta”.

Forse solo così tra la parola aiutare e la parola vivere, non ci sarebbe più nessuna differenza’

(G. Gaber,  SOGNO IN DUE TEMPI,  1994)

La provincia in cui sono nata ha gli ulivi, e piove poco. Nevica quasi mai. Al comune ci sono le foto della nevicata del 1990, che coprì tutto, una neve che Courmayeur avrebbe riso, ma che lì sulle coste adriatiche aveva il sapore della novità, tanto da farcene una galleria. Mi vedo appena arrivata a Roma, davanti ad un polpo metropolitano di luci e di tangenziale, mi vedo sbarcata nel reparto tentacolare di Psichiatria con una laurea in Psicologia ancora sporca di inchiostro e di velleità. Vedo Moira qui con la curiosità del suo arrivo, della sua incidenza come un fiocco di quella neve del 1990.