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Buone e cattive pratiche

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 da Brain Factor (brainfactor.it),  News – Neuroetica, 04 Novembre 2009   Avv. Sabrina Peron  La sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Trieste, che così tanto clamore ha suscitato nella stampa, presenta aspetti di sicuro interesse nella parte in cui al fine di determinare il grado di incapacità di intendere e di volere dell’imputato – primo caso in Italia – viene fatto ricorso anche a indagini genetiche e tecniche di imaging funzionale del cervello (Corte d’Assise d’Appello…

Sentenza Trieste, BrainFactor intervista Pietro Pietrini Martedì 17 Novembre 2009 Marco Mozzoni  Pietro Pietrini è Professore Ordinario di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Pisa. Dopo la laurea in Medicina e il Perfezionamento in Neuroscienze presso la Scuola Superiore “Sant’Anna” di Pisa e la Specializzazione in Clinica Psichiatrica ha lavorato per dieci anni presso i National Institutes of Health (NIH) di Bethesda negli USA dove si…

Il luogo e i nomi della primaria e dei casi sono omessi per ovvii motivi.

Gentile dottoressa,

desidero richiamare un episodio accaduto in Sua presenza e di altri miei colleghi durante il giro-medico del g. 26/6/09. In quell’occasione il medico di reparto, riferendosi al fatto che il signor F. era stato recentemente più volte contenuto fisicamente e che i suoi familiari, che già avevamo sentito lagnarsi, premevano per avere spiegazioni dai responsabili di reparto, ha affermato con una certa enfasi e animazione, che il personale infermieristico doveva mostrarsi solidale e compatto in quelle circostanze per evitare possibili rischi legali. Riferendosi poi a me in modo diretto, mi ha chiesto se fossi d’accordo sul fatto che quel signore fosse stato contenuto le notti precedenti. Preso alla sprovvista, ho risposto solo che in quelle circostanze non ero presente. Il medico ha poi replicato dicendo che quella risposta gli era sufficiente.

Rispondo ora a quello che avrei dovuto rispondere subito. Mi auguro prima di tutto che le parole dello psichiatra siano andate oltre alle reali intenzioni, perché, così come sono state espresse, appaiono una gratuita e inaccettabile intimidazione. Se la decisione di contenere una persona è motivata dallo stato di necessità, quel medico non ha nulla da temere e non ha bisogno di richiamare all’ordine gli infermieri.

Questo fatto mi dà il pretesto, uscendo dal personale, di dire alcune cose che mi interessano molto.

Credo che le linee guida sulla gestione dei comportamenti violenti dei pazienti, adottate da qualche anno dai nostri servizi, possano essere riviste e molto migliorate. Criteri di verifica e aggiornamento sono parte integrante di ogni linea guida e sono peraltro previsti dallo stesso documento. Importante sarebbe anche registrare in forma continuativa informazioni rilevanti. Non solo il numero delle contenzioni, ma come queste sono contestualizzate: Caratteristiche dei pazienti, periodi e circostanze in cui avvengono, motivazioni reali e dettagliate per cui vengono effettuate.

Ritengo che l’attuale documento produca l’effetto di ufficializzare e in qualche misura legittimare l’uso della contenzione. Cito testualmente : “Tutto il personale deve essere consapevole della cornice legale che autorizza l’uso del contenimento fisico”. A mio avviso tutto l’impianto delle linee, essendo il frutto di una ricerca su lavori di altri paesi, risulta piuttosto estraneo allo spirito della legge 180, basandosi sulla presunta pericolosità del malato psichiatrico.

Credo che alcune espressioni siano comunque difficili da condividere, come quando dice che alcune culture minoritarie sono “inclini alla violenza” e vengono considerate pertanto un fattore di rischio.

Su un punto sono però perfettamente d’accordo, quando si afferma che “l’unico motivo che giustifica la contenzione è lo stato di necessità”. Lo stato di necessità, così come definito dall’articolo 54 del c.p. è comunque un’evenienza rara, difficilmente riscontrabile in un servizio psichiatrico, perché il rischio di danno per la vita e l‘integrità della persona, deve essere reale e attuale, non solo paventato. In altre parole: il rischio deve essere gravissimo e incombente, passato dalla pura possibilità, all’imminenza dell’azione.

Penso che concetti fra loro collegati come: stato di necessità, urgenza, emergenza, nell’ambito di una psichiatria chiusa e autoreferenziale, abbiano subito una distorsione del loro significato originale che va corretta.

Il club fondato nel settembre del 2006, comprende attualmente gli Spdc di: Aversa, Caltagirone-Palagonia, Caltanissetta, Mantova, Merano, Novara, Trieste, Matera, Roma C.,Verona Sud, Enna, Perugia, Portogruaro, DSM Venezia, Treviso. Gli Spdc membri del Club no restraint hanno facoltà di decidere in assemblea quali verifiche attuare allo scopo di ammettere nuovi soci nel club stesso. CLASSIFICAZIONE SPDC APERTI – NO RESTRAINT • CLASSE A: porte aperte – no contenzione • CLASSE B: porte chiuse – no…

Alice Banfi: invio questo documento, “prodotto” dai primari del Grossoni I e II reparto di psichiatria di Niguarda, a Milano; Re ed Erlicher. Oltre ad avere il coraggio di scrivere una cosa cosi orribile, agghiacciante, sono stati così gentili, per non dire intelligenti, da pubblicarla su internet nel sito di Niguarda. Mi sembra importante diffonderla. Da pagina 57, comincia un accurata descrizione, su mezzi di contenzione e modalità. Metodi per atterrare il paziente ed evitare…

I LUOGHI DELLA CURA

La malattia tra parentesi

Le idee, gli interrogativi, le pratiche che sostennero il lavoro di apertura di Franco Basaglia nell’ospedale psichiatrico a Gorizia, di Carlo Manuali a Perugia, di Sergio Piro a Materdomini, in provincia di Salerno, avviarono, a partire dai primi anni ’60, una stagione di straordinari cambiamenti.

Era il 1968 quando il governo di centro sinistra sulla spinta di quelle esperienze varò la “legge Mariotti”, che omologava il manicomio all’ospedale civile, introduceva il ricovero volontario, avviava un processo di radicale cambiamento legislativo che si concluderà dieci anni dopo.

Il cambiamento era sostenuto da scelte di campo e pratiche concrete. Le porte aperte, la parola restituita, l’ingresso nel mondo reale animarono la paziente “lunga marcia attraverso le istituzioni” che quella impensabile apertura aveva tumultuosamente avviato.

Basaglia quando entra per la prima volta nel manicomio di Gorizia, di fronte alla violenza e all’orrore che scopre è costretto a chiedersi angosciato «che cos’è la psichiatria?» . Da qui l’irreparabile rottura del paradigma psichiatrico, del modello manicomiale. Dopo quasi duecento anni, per la prima volta dalla sua nascita il manicomio, le culture e le pratiche della psichiatria vengono toccate alle radici. È un capovolgimento ormai irreversibile: “il malato e non la malattia”.

Da Liberazione, domenica 16 marzo 2008, di Maria Grazia Giannichedda In questo trentesimo anniversario della sua approvazione, entra nel programma del Popolo Della Libertà (PDL) la “riforma della legge 180 del 1978 in particolare per ciò che concerne il trattamento sanitario obbligatorio dei disturbati psichici”, come si legge nel capitolo dedicato ai servizi ai cittadini. Questo annuncio mi pare segnali la volontà di riscossa di una parte del blocco sociale cui il PDL si riferisce:…