Il lavoro territoriale che si è faticosamente sviluppato in Italia negli ultimi decenni, benchè in troppi luoghi ancora lacunoso, ha reso evidente che la vicinanza ai conflitti, la presenza precoce nel riconoscere e prendere in carico la sofferenza delle persone e i loro bisogni impedisce che la domanda di aiuto si debba necessariamente definire in diagnosi psichiatrica, che le rotture, i fallimenti, le fragilità debbano “montare” la malattia.
La malattia impone interventi centrati sul ricovero, sui trattamenti involontari, sui farmaci. Si rischia così che si spalanchino voragini disabilitanti, domande di “internamento”, riproposizioni di luoghi e culture di separazione, di allontanamento, di contenzione. Questo accade se la malattia occupa tutto il campo prima che la persona possa essere vista, ascoltata, riconosciuta.
Il riconoscimento delle persone è quanto si può attendere dalla organizzazione di servizi diffusi nel territorio. La spirale negativa connessa alla malattia mentale può essere interrotta. I servizi territoriali possono tenere aperto un “fronte” di interdizione della spirale malattia, disabilità, stigma, pregiudizio, deriva sociale, debolezza del diritto, malattia.
Tutti quelli che vorranno possono scrivere per pubblicare riflessioni, analisi, proposte al sito del forum salute mentale.
[Mi propongo con questi interventi minimi, che chiamo ‘cantiere salute mentale’, di tentare di ri-attivare interesse all’interno di tutta quella comunità di persone che siamo e che in un modo o nell’altro si muovono intorno alla ‘questione psichiatrica’, nel contrasto alle persistenti istituzioni totali (e sempre rinascenti), per ampliare margini di libertà e diritti, per promuovere emancipazione e possibilità.]