Ex Ospedale Psichiatrico, Genova 16 marzo 2024
Arrivo all’ex manicomio di Genova, oggi Quarto Pianeta. Respiro. Difficile trattenere l’emozione. Un posto significativo che non è più un ospedale chiuso ma una Casa della salute – a p e r t a.
Ci sono tante persone care ad aspettarmi e per me è un evento importante, come tutti quelli in cui si parla di Salute Mentale e in cui si mettono insieme idee e umanità per migliorare le pratiche di cura.
Credo molto nella partecipazione, nel confronto sulla salute mentale e nella necessità di rimetterci tutti a parlarne. Andrebbe fatto di più. Andrebbe fatto da ognuno. Andrebbe fatto soprattutto laddove le cose funzionano peggio.
Ad aspettarmi c’è Natale Calderaro che, proprio qui nel 1978, chiamato da Antonio Slavich, è venuto a lavorare per riportare a casa i pazienti che erano stati internati. Di questo ci racconta e della lunga storia di distruzione dell’ospedale psichiatrico. Una storia straordinaria che inizia con la conoscenza di Franco Basaglia, un uomo affascinante, racconta, che aveva chiaro cosa fosse giusto fare. Un leader naturale, che per molti non fu difficile non seguire, per le sue idee importanti e la sua capacità di fare gruppo. La sua visione era chiara, e giungeva nella sua forza a chiunque avesse davanti: il manicomio andava distrutto per tornare a considerare la persona e il suo bisogno.
Un incontro, continua Calderaro, che ha cambiato per sempre la sua vita. Una fortuna, aggiunge, averlo incontrato da giovane.
Il concerto del gruppo Musica Ribelle apre l’evento e poi subito dopo viene proiettato il cortometraggio Non spegnete (ci) la luce a cura di Enrico Pierini e Alberto Terribile, realizzato con Chiara Albanese e con i ragazzi del Gruppo Basaglia.
Poi è il momento dell’assemblea in pieno stile basagliano, c’è tanta gente e le sedie vengono poste in circolo.
Apre l’assemblea Amedeo Gagliardi, presidente del coordinamento di Quarto Pianeta. Il tema dell’assemblea è Cosa fa salute mentale oggi? La prima parola che pronuncia Gagliardi è epoché rammentando di come l’aver messo tra parentesi la malattia, da parte di Basaglia, abbia prodotto un cambiamento epocale. La parola epoché mi fa sentire a casa, come anche quei racconti sul Basaglia “filosofo”, di cui si tace ancora nei libri dedicati ai pensatori più influenti e di cui invece si dovrebbe parlare di più. La chiusura dei manicomi, continua Gagliardi, ha posto una nuova condizione: la follia e la ragione sono entrate nel sociale e nelle vite di ognuno. Fare i conti con questo è stato un compito importante e lo è ancora oggi, qualcosa che ci ri-guarda.
Le voci si susseguono, parlano ex internati e poi ancora alcuni utenti, e i presidenti delle associazioni del Terzo Settore, e genitori e poi gli artisti che hanno animato l’opera di Riforma, e che ancora sono lì a dare un senso alla sofferenza e alla possibilità di restituirle un senso.
Le voci dei presentì raccontano della loro storia di dolore e di rinascita. In molti ringraziano Basaglia, in molti ci aiutano a capire come aiutare chi soffre. Tra la folla vedo teste che annuiscono, chi si commuove e chi, giovane e pieno di speranza, crede possibile un mondo migliore, come Giulia, giovane operatrice che invita Rossana Zerega a parlare della sua esperienza a Trieste nel centro diurno in cui lavora. Perché di questo ha bisogno chi si occupa di Cura, dell’esperienza narrata.
“Anche nel brutto puoi trovare il bello. Se noi ridiamo puoi ridere con noi”.
L’evento continua con la presentazione del libro dello psichiatria Paolo Peloso, Franco Basaglia, un profilo che offre l’opportunità di delineare in modo diversificato l’importanza della cultura basagliana a fronte dei tecnicismi e di una sanità che sta andando alla deriva. Parole che offrono speranza quelle di Calderaro, di Luca Borzani e Silvio Ferrari per qualcosa che è stato fatto, e che ha dimostrato la sua efficacia e per la memoria e la risorsa che rappresenta ancora oggi quella storia. Appare chiara l’importanza del pensiero di Basaglia per il futuro della psichiatria.
Arriva la torta. Poi il buffet.
Nel mentre con Rossana Zerega, ex operatrice, ripercorriamo il suo inizio a Trieste, la prima casa famiglia con Peppe Dell’Acqua, e la ragazza difficile che mise tutti in ansia. Una storia di coraggio, la sua, che si unisce a quella di Paola Pierantoni, che nel suo libro che sarà pubblicato a breve, ha raccontato la biografia dei suoi nonni e del manicomio. Una storia che insegna, anche questa, che la vita è un compito importante e che assumerne la responsabilità è un impegno che non possiamo delegare, pena una grande sofferenza.
Si avvicina anche l’editore Marco Merli che mi dona alcuni libri sulla cura e la voglia di fare qualcosa insieme perché la storia di un’incredibile liberazione arrivi a più persone possibili.
La storia da raccontare alle giovani generazioni. Questo è il mio pensiero per tutta la sera, perché tutto questo non vada disperso. Perché chi studia per diventare operatore possa conoscere e capire come abitare la dimensione della cura.Perché il sacrificio di troppe vite, in quei corridoi consumati di speranze, non sia vano, ma pieno di tutto quel “senso del possibile” che ha animato la Riforma.
Si stringe la distanza tra le persone quando si sa come stare insieme, come convivere con la paura e con la fragilità, come far fronte al dolore, imparando da questo ultimo a fare sempre meglio per quella parte di umanità che chiede e che non può farcela da sola.
Si sta insieme e liberi quando ci si impegna a farlo. Ma è qualcosa che diamo per scontato e che non lo è affatto. Lo ricorda la storia, lo narrano le persone con la loro testimonianza e lo vediamo nel ritorno a idee e prassi che sono lontane dalla parola “cura” e dalle buone pratiche.
Tornerò a casa anche stavolta con molta preoccupazione per le difficoltà di una politica scellerata, per la fragilità umana e per questi tempi difficili in cui si fa fatica a dialogare e a impegnarsi. Ma torno con una speranza rinnovata che giunge dagli utenti, dai loro sguardi tristi ma pieni di certezza che la salvezza è una strada praticabile, ma che dobbiamo essere insieme, vivendo le contraddizioni fino in fondo con la compassione necessaria per la condizione umana, per la sua vulnerabilità e possibilità.
Buon compleanno Franco Basaglia e grazie per questa libertà.