Tempo fa cercando tra la rete mediale ho trovato un documentario. Il film si apriva con una bellissima e dura, commovente al tempo stesso dedica personale della regista a una sua parente internata nel manicomio di Imola. Il terribile manicomio di Imola, come furono tutti e sono ancora. Il film si intitola “Reparto 14″, dal nome del reparto più violento di quell’ospedale, il reparto delle donne agitate che venivano chiuse in una cella con la porta di ferro chiusa a chiave e legate al letto anche per anni e anni. Ci sono ancora i segni delle graffiature sulla porta.
La voce narrante è quella di un altro medico, Giorgio Antonucci che lavorò in quel manicomio. Mentre guardo il film e ascolto, un pugno duro sullo stomaco che apre una voragine sanguinosa, penso ai miei bisnonni, internati a Perugia, lei perché ragazza-madre rifiutata dalla famiglia, lui ex combattente a Caporetto rifiutato da una moglie insana ed egoista di forti radici contadine. I miei bisnonni erano belli, giovani e sanissimi, E sono morti dentro il manicomio di Perugia a forza di luminal e bromuro.
Come loro altri, tanti: Mastrogiovanni, Casu, Luca Gambini e quelli che sono morti fuori, perché si stima il 50% dei suicidi post ricovero. A partire poi dalla mia esperienza personale che ha conosciuto direttamente certe realtà, sia come attivista e sostenitrice della psichiatria di Laing e Cooper, Rivedo tante altre immagini di uomini completamente nudi legati al letto con fasce ai piedi, mani e petto, il membro sessuale scoperto alla vista di tutti, di ragazze giovani come me minacciate di contenzione, TSO per un nulla, sedazioni pesanti e ingiustificate e altro ancora perchè “bisogna trovare un crimine e adattarlo alla natura dell’internato per legittimare la punizione ” (Erving Goffman).
Sono stata tra i pochi che ha denunciato, protestato e battuto la testa al muro, eppure continuo a vedere ripetersi e perpetuarsi le stesse identiche folli criminali dinamiche in tutte le istituzioni altrettanto malsane e assurde che oggi hanno sostituito i manicomi (spdc, csm, case-famiglia, comunità ) e nelle quali l’ideologia manicomiale continua a sopravvivere indisturbata e legittimata da una società intera con i suoi funzionari: istituzioni, autorità, polizia, medici, assistenti sociali, legittimata proprio da quella stessa legge tanto lodata da molti e innalzata come simbolo di cambiamento e rivoluzione culturale: la legge Basaglia non è mai stata una rivoluzione. Qui sta tutta la contraddizione e piena fallacia illusoria di cui continua a nutrirsi quella pseudoscienza vacillante e violenta chiamata psichiatria. La realtà vera e unica è che le pratiche manicomiali come la contenzione e la reclusione coatta per non parlare di tutta la serie di crimini all’umanità che sono stati fatti liberamente e continuano a farsi (lobotomie, elettroshock, esperimenti farmacologici, torture psicologiche, violenze sessuali ecc.) sono sotto gli occhi di tutti ma nessuno o pochissimi denunciano veramente o parlano, si battono per cambiare davvero questo stato incredibile. Perché se fosse così se io fossi un medico o psichiatra, non mi limiterei a slegare e parlare con i pazienti del mio reparto o interrogarmi sul trattato di bioetica o sui punti del libro verde, perché questo non serve a niente. Perché quello che si deve abbattere una volta per tutte non è una porta, il pregiudizio o una fascia contenitiva ma un’istituzione intera con le sue pretese, ignoranza, opportunismo autoreferenziali, sporchi compromessi e giochi politici: una forma mentis radicata, assurda, corrotta, folle. Basaglia è vero e come lui i pionieri della psichiatria democratica , organizzava riunioni con i pazienti e il personale, feste e uscite all’esterno, limitava le contenzioni , ma continuava poi a riportarli dentro l’istituzione totale del manicomio come luogo sicuro per se stesso, per le sue incertezze di medico e uomo, continuava a chiamarli “pazienti”, malati, continuava a riproporre anche lui i ruoli fissati del medico – paziente; sano-malato; curatore- oggetto da curare, riproponendo in questo modo il concetto e la concezione alienante e stigmatizzante della malattia mentale e del malato di mente o malato psichiatrico. Lo stesso Basaglia all’indomani del processo di deistituzionalizzazione diceva ”la psichiatria non sarà mai democratica. Noi ci limitiamo a trasferire dentro mura trasparenti il nostro potere medico autarchico. ”Questo esiste ancora in tutte le regioni italiane come anche a Perugia, la città dove vivo e sono nata dove la psichiatria continua a sfornare ciarlatani accreditati megalomani cinici e a essere solo esclusivamente mera speculazione politico-economica a danno grave delle persone. Le vere catene sono nella mente limitata di chi non riesce o non vuole vedere l’altro come persona. Pensiero unico, a una dimensione, soffocato, contenuto. Anna Harendt a proposito degli uomini del terzo Reich, compreso Hitler ha detto: ”non erano uomini malvagi, eseguivano gli ordini, semplicemente non pensavano. Si vietavano di pensare”. Chi non pensa non prova sentimenti e quindi non può essere nemmeno un essere umano ma solo un folle criminale, il vero folle.