“… Scriveva il drammaturgo Ernst Toller che essere nelle mani di uno psichiatra è come essere in balia di uomo che ha gli orecchi sordi e gli occhi ciechi” (Franco Basaglia, 1979)
L’Assemblea nr. 1 di “Impazzire si può” intende segnare la cifra di tutto l’incontro triestino. Raccontare di uomini e di donne e di cosa accade quando si passa attraverso le istituzioni, le organizzazioni sanitarie, il rischio di non farcela e l’orgoglio della rimonta. Abbiamo capito che sono le sequenze semplici, gioiose o drammatiche, di successo e di fallimento che permettono di costruire comprensioni, scambi, possibilità.
Il convegno si presenta come fosse una ricerca, nella pratica, per ricomporre la continuità delle storie,delle relazioni, del futuro possibile.
Esserci come unica e irrinunciabile possibilità di essere protagonisti, cittadini attivi, soggetti politici, consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri.
Per riflettere sui temi dell’Assemblea nr. 1 riportiamo l’intervento di Maria Grazia Bertelloni al Seminario Nazionale di “Legacoopsociali” del 22 Maggio 2012.
“La libertà nel percorso terapeutico”
L’ Associazione Auto-Aiuto Mutuo- Aiuto Psichiatrico di Massa promuove da sempre percorsi di autonomia e di emancipazione per gli utenti della salute mentale e, attraverso lo strumento della Rete Regionale, ha potuto amplificare la propria voce e rafforzare il proprio motivo di fondo, il protagonismo degli utenti, trovando nuovi interlocutori e collaborazioni preziose che hanno favorito e incentivato l’attivazione di una progettualità importante, non da ultimo, per l’incremento della “libertà nel percorso terapeutico”
La Rete ha stimolato e spesso determinato un aumento di libertà all’interno dei percorsi di cura. Questo si è verificato in modo del tutto naturale attraverso l’esercizio di un protagonismo altrimenti difficilmente esperibile dagli Utenti, spesso vincolati ad un disagio che ne penalizza l’espressione diretta come la partecipazione ad eventi socio-politico-culturali. Attraverso la libertà di partecipazione, momenti di socializzazione e di conoscenza profonda l’uno dell’altro, come all’interno del progetto “Mare e Costa”, attraverso la possibilità di concertazione relativamente alle buone pratiche della salute mentale, gli utenti si sono, forse solo in parte, ma all’interno di significativi processi, riappropriati della propria esistenza, sperimentando la possibilità di superare il proprio status di “malati” per vedersi restituire alcune importanti autonomie ed assaporare momenti di libertà.
Naturalmente non è semplice parlare di libertà e, ancora più complesso, risulta trovare delle risposte accettabili quando ci si addentra nella spinosa questione della salute mentale ed immediatamente ci si para innanzi, incontrovertibile, “il bisogno”, “lo stato di necessità”, che compromettono una potenzialità di libertà, che mettono in crisi, alla radice, i parametri comuni di libertà.
La risposta che ci pare possibile in questa cornice che si mostra contraddittoria e complicata è quella che individua nella tensione alla comprensione della dialettica fra i diversi fattori interagenti il motore fondamentale. Noi pensiamo che sia imprescindibile cogliere ed avvalorare la dialettica che esiste tra i diversi fattori che intercorrono all’interno di un percorso terapeutico, la dinamica che esiste tra libertà, possibilità di prendere decisioni e i vincoli dettati da stati di necessità: in questo senso è utile individuare in modo chiaro la direzione che il percorso di cura deve avere, quindi la guarigione, ed utilizzare, all’interno di questa precisa finalità, il rapporto dialettico, di movimento costante, la dinamica appunto che intercorre tra le diverse spinte che interagiscono al fine della guarigione, nella consapevolezza che aspetti contraddittori sono del tutto normali ma che sia necessario privilegiare ed incoraggiare sempre gli aspetti sani.
Con questo intendo dire che lo stato di necessità e gli altri limiti che impediscono o comunque rallentano il percorso di guarigione devono essere compresi nel quadro complessivo in cui vive l’utente, dove le tensioni alla guarigione si mescolano e vengono schiacciate per poi tornare in un rapporto dialettico fra le parti, in cui si alimenta ora una cosa ora l’altra. E’ centrale l’indirizzo che diamo dall’inizio al percorso di cura: un indirizzo chiaro, la guarigione. Ciò non significa intransigenza o mancanza di comprensione per le debolezze o i limiti, ma la capacità di gestire le diverse spinte in modo strategico. In questa dinamica, molto difficile da semplificare perché in costante movimento, la Rete pensa che si debbano stabilire dei punti fermi: il testamento psichiatrico è un importante strumento per affermare la volontà dell’utente anche se non è ancora abbastanza conosciuto e diffuso
In generale pensiamo che sia ancora la prevenzione lo strumento più importante, e per prevenzione intendiamo non solo il rintracciare di potenziali disagi nel tessuto sociale ma, intendendo la sofferenza psichica come qualcosa di trasversalmente presente un po’ a tutti i livelli, anche se in modi diversi, un lavoro costante di informazione e monitoraggio, un impegno nella diffusione culturale e nella inclusione di tutte le fasce sociali, che abbatta i muri dell’intolleranza e della ghettizzazione e permetta alle marginalità sociali di accedere all’informazione e alla cultura, integrandosi in modo del tutto originale nella società. Il tema del potere, in antitesi con quello della libertà, è una questione che appare molto complessa nell’ambito della salute mentale in cui, più che in altri ambiti, l’equilibrio nel rapporto tra utente e operatore oscilla e, per sua natura, è dettato dal bisogno dell’utente e non può essere per questo del tutto paritario.
Non solo, il potere esercitato dall’operatore tende ad essere difficilmente controllabile e si inserisce in un contesto di delicati equilibri individuali, non generalizzabili più di tanto. L’ immagine che forse rende più l’idea di un sano rapporto fra utente e operatore è quella di un rapporto in cui il potere dell’operatore lasci il passo all’autorevolezza dello stesso, una autorevolezza conquistata, una fiducia conquistata in un processo in cui il soggetto sia l’utente e non l’operatore. Naturalmente le dinamiche sono molto complesse ed è facile che l’utente conquistato alla cura possa delegare all’operatore più del dovuto, e questo è il rischio, l’attimo esatto in cui può insinuarsi il potere. Io penso che il potere non sia utile alla guarigione, ma che semmai possa essere garante dell’istituzione psichiatrica in sé, penso che solo l’autorevolezza legata alla fiducia possa avere un ruolo terapeutico. La malattia già esercita di per sé un potere arbitrario e anonimo sull’utente. Egli ha bisogno di essere liberato, non ulteriormente schiacciato.
La redistribuzione del potere creerebbe una falsa democrazia in cui comunque l’istituzione, per sua natura, continuerebbe ad esercitare il potere. Una lotta frontale non porterebbe a niente perché, nella fattispecie, gli utenti hanno bisogno degli operatori. Io penso che la strada percorribile sia quella della costruzione di una terza ipotesi che veda crescere il protagonismo degli utenti, la loro partecipazione politica e sociale, la loro decisionalità, la loro auto-organizzazione e la loro coscienza di cittadini con diritti che possono, maturando maggiori consapevolezze, offrire risposte proprie, contrattabili con i servizi. In definitiva, diventare soggetti politici coscienti e concorrenti all’esercizio dei servizi, in collaborazione con operatori della salute mentale che condividano le premesse di questo progetto. In questa dinamica vorrei evidenziare come la contrapposizione vera negli ambiti della salute mentale non sia fra operatori ed utenti ma fra istituzione ed utenti dove l’istituzione rappresenta il potere forte che tendenzialmente assorbe ed aliena anche l’opera stessa degli operatori. Infatti, senza voler banalizzare la questione, io penso che senz’altro ci sia un conflitto di interessi e che, in modo più o meno velato, questo determini l’esercizio del potere dell’istituzione psichiatrica che, come già dicevo, non aiuta la guarigione.
La crescita del potere da parte degli utenti può essere accettata dai servizi solo nel caso in cui cambino radicalmente le coordinate complessive della salute mentale e i soggetti diventino davvero gli utenti, utenti che scelgono sulla base di offerte diverse da chi farsi curare. Questo metterebbe il potere nelle mani degli utenti in una inversione di tendenza in cui gli operatori diverrebbero “paradossalmente” le persone che hanno bisogno degli utenti e non viceversa. Penso che, allo stato attuale, gli operatori abbiano molto spesso interessi che vanno nella direzione opposta alla guarigione degli utenti. Inoltre, all’interno di questa nuova logica, i risultati ottenuti dagli operatori in termini di guarigione e di ritorno in qualità della vita degli utenti diverrebbero il metro di misurazione della validità degli interventi e quindi la certificazione di buona pratica in contrapposizione alle altre pratiche che si trascinano nel tempo senza ottenere risultati positivi.
E’ allora sulla base della “produttività” della salute che gli operatori verrebbero premiati e, necessariamente, è in questa direzione che essi orienterebbero la propria opera. Il ruolo della Rete Toscana degli utenti, in espansione verso la dimensione nazionale, risiede nel creare i presupposti affinchè questo processo possa avere la sua evoluzione positiva utilizzando tutti i mezzi di cui dispone: l’esperienza di “mare e costa”, vacanza autogestita dagli utenti, è stata un occasione molto importante per l’incontro fra utenti di diverse città della regione e quindi per il confronto fra le esperienze e la nascita di una rete e di una comunicazione fra gli utenti