Di recente ho partecipato in Veneto a un incontro organizzato da familiari e cittadini attivi per la presentazione dell’ultimo nato della Collana 180. Come sempre la partecipazione delle madri riporta le questioni con parole semplici alla quotidianità, spesso difficile e faticosa, ai bisogni, alle cure, ai servizi, alla denuncia di incomprensibili deformazioni organizzative, alla speranza.
Una signora, timidissima, prende la parola. Si imbarazza alla presenza del microfono. In dialetto, cantilenando, dice di avere più di settant’anni e che vuole parlare di suo figlio che ne ha quarantacinque e che vive in una struttura, una RSA, precisa, e che “me fiol l’è in psichiatria da quando che el iera giovine”. Ci dice di un uomo che da più di 20 anni è in cura con neurolettici, ricoveri, contenzioni e residenze (Rsa). È angosciata ora più che prima perché suo figlio non riesce più a camminare, piegato in due, ingrassato. È sopraffatto dai farmaci. Si avvicina e mi mostra un foglio piegato in quattro. È la lettera di dimissione dal servizio psichiatrico di diagnosi e cura (vedi sotto*).
Quattro neurolettici più altro!
Esilaranti le indicazioni sanitarie e le avvertenze!
Malgrado questo trattamento, talvolta suo figlio non riesce a dormire, si alza dal letto, chiede di fumare. Viene legato. La cosa accade frequentissimamente. Mi chiede cosa penso di quei farmaci. Non riesce a chiedere altro: “ solo voaria saver se quee pastiglie ghe fa ben”, e conclude: “ A mi me par che le ghe fa tanto mal!”
Cosa rispondere? Non dico del mio stupore per la rozzezza di quella prescrizione. Vorrei dire della mia rabbia per l’ignoranza, la superficialità, la trascuratezza e la violenza che le persone devono subire. Non dico. Sto parlando con delle persone emotivamente coinvolte. Cerco di rispondere con pacatezza. Non posso dire della presupponenza e della riduttività del modello medico/biologico dilagante. Farebbero fatica a capirmi. Una prescrizione “esemplare” denuncia l’abuso dei trattamenti farmacologici, la leggerezza con la quale si prescrive, ma soprattutto rivela drammaticamente la ristrettezza dell’agire psichiatrico. Oltre l’orizzonte del farmaco non s’intravede nulla.
Le linee guida consigliano l’impiego di un solo neurolettico, eccezionalmente due con cautela e con fondate motivazioni. Qui ne sono prescritti 4 in associazione e larghissimi dosaggi di benzodiazepine. Un giovane uomo vede ridotta la sua vita ai tempi della somministrazione del farmaco e ai luoghi che la Regione gli riserva: l’Spdc contiguo all’Rsa. Comincio a dire: “Gli psicofarmaci – com’è possibile negarlo? – sono strumenti importanti nel trattamento del disturbo mentale: sono utili a far fronte a sintomi drammatici, a contenere lo scompenso, a lenire insondabili dolori personali, a sopportare le astinenze, a consentire più rapido accesso a percorsi di rimonta, di abilitazione, di emancipazione. Eppure quando il modello della cura farmacologica prende il sopravvento condiziona la lettura della realtà e costringe a operazioni tragicamente semplificatorie. Più banalmente tutto si immiserisce quando l’ombra del farmaco confonde ambiti e dimensioni inconfrontabili. Dimensioni incompatibili tra loro in quanto riguardano la vita, la singolarità dell’esistenza, i sentimenti, gli affetti, le scelte individuali che vivono sempre in un loro singolare contesto, in un tempo proprio e irripetibile”.
L’uso del neurolettico, che nessuno di noi ha mai negato, pretende rigore, consapevolezza e, prima di tutto, attenzione alla vita della persona. Al contrario il modello, diagnosi/farmaco, nega l’ascolto e condiziona il rapporto tra le persone, la crescita e lo sviluppo dei servizi, le scelte organizzative, i programmi terapeutici.
I farmaci in questo senso sono sottrattivi. Se la psichiatria continuerà a non riflettere su questo dato si costringerà sempre più a modelli di estrema povertà. Aderirà senza uno spiraglio criticoalle scienze biologiche con una convinzione,ottusa, ancora maggiore delle altre discipline mediche. Continuerà a proporre spiegazioni eimprobabili misurazioni, “oggettive” definizionia costo della perdita del senso e della dimensione singolare dell’esperienza umana.
Inutile dire che esistono altre parole: incontrare, camminare, lavorare, conversare, volare, sognare, andare…
LETTERA DI DIMISSIONI
“Unità Operativa Complessa di Psichiatria / Ospedale di una ridente cittadina del Veneto collinare.
Note cliniche: paziente accolto in reparto per riacutizzazione dell’angoscia psicotica; all’ingresso inquieto, agitato, francamente delirante. Progressiva stabilizzazione del quadro clinico con graduale re-inserimento in RSA a .. (stessa cittadina poco distante dal servizio ospedaliero). Attualmente paziente più sereno, adeguato, collaborante; deragliamento del pensiero meno accentuato; migliorato nettamente il ritmo s/v.
Si consiglia terapia con: Eutirox 100 mcg: 1 cp/matt; Seroquel 300 mg: 1 cp x 3; Carbonlithium 300 mg: 2 cp x 2; Nozinan 100 mg: 1 cp ore 20, 1 cp ore 22; Neuleptilsoluzione 10 + 20 + 30 + 30 (ore 20);
Haldol 1%: 0 + 5 + 10; EN soluzione: 20 + 30 + 50 + 50 (ore 22.00) (+ 130 gocce se insonnia).
Indicazioni sanitarie: il paziente sarà riaccolto nella RSA con il seguente programma di assunzione della terapia: ogni mattina dalle 7.30 alle 8.30 il paziente si recherà in SPDC per assunzione della terapia; verrà in SPDC anche per l’assunzione della terapia serale alle 19.30; la terapia delle 14.00 sarà somministrata in RSA; la terapia delle 22.00 sarà somministrata da un infermiere del SPDC in RSA.
Avvertenze: alcune terapie farmacologiche possono indurre sedazione e influire sulla guida di autoveicoli e sull’adeguato utilizzo di macchinari potenzialmente pericolosi. Si consiglia astensione dalle bevande alcoliche e cautela nella guida di autoveicoli.