Il 27 giugno 2024 al Senato è stato presentato il ddl 1179, prima firma il sen Zaffini, dal titolo “Disposizioni in tema di salute mentale”. È il terzo ddl che viene presentato in questa legislatura segno di un’apprezzabile attenzione al tema della salute mentale.
L’aumento della domanda dovuta al post-Covid, le nuove patologie, i migranti, a fronte di una rete ‘frammentata’ di servizi, sarebbero le motivazioni per un intervento di ‘risistematizzazione’ dell’offerta, potenziando la prevenzione ma anche la ‘tutela della sicurezza e dell’incolumità’ dei soggetti coinvolti.
Si osserva che il DDL curiosamente riprende lo schema degli altri due DDL (che sono tra loro sostanzialmente uguali). Tuttavia, ne espunge gli articoli più qualificanti: il riferimento al nuovo quadro dei diritti umani sancito dall’ONU e dall’OMS, la questione dell’inclusione di utenti e familiari nei servizi, il riferimento ai livelli di assistenza esigibili, il budget di salute, etc. e soprattutto la precisazione delle funzioni dei servizi che compongono il dipartimento di salute mentale, la cui diversificazione in Italia ha portato ad assetti assolutamente disuguali su scala regionale e territoriale.
E’ comunque apprezzabile l’art. 2 laddove, nell’ambito della prevenzione, tenta di definire un quadro programmatico per i servizi riservati agli adolescenti, attraverso ‘percorsi programmati di supporto educativo, psicoterapeutico e psicosociale’, ma delegandone i modelli a ulteriori passaggi organizzativi. Come pure l’art. 10, in cui si enunciano le ‘Campagne di comunicazione e informazione sul disagio psichico e sulle malattie mentali’.
L’articolazione dei servizi del DSM è definita piuttosto scheletricamente, comunque includendovi i SerT e I SerD. Tra i compiti del CSM si definiscono gli ‘inserimenti nelle strutture residenziali ed ospedaliere’ (non è chiaro a cosa il secondo termine si riferisca). C’è comunque attenzione alle nuove patologie e relativi specialismi (ad esempio ADHD).
All’art 4. si parla di sicurezza degli operatori, in riferimento ad episodi di violenza contro il personale, con l’ ‘immediato soccorso da parte delle autorità di polizia in caso di richieste provenienti dal personale predetto’; per poi passare alle ‘forme coercitive’ di trattamento, sulla base di dichiarato ‘stato di necessità’ riguardo ad ‘atti auto-etero lesivi’.
Vengono presentati insistentemente riferimenti ai temi della sicurezza (in inglese distinta in safety, relativa agli aspetti di salute, e in security. Qui si nomina insistentemente il termine ‘incolumità’ (citato già tra espressamente nel preambolo, e 3 volte solo all’art. 1): a partire da quella degli operatori, ma risolta in termini insufficienti, sul versante dell’ordine pubblico, e quindi potenzialmente regressivi; per andare a quella delle famiglie (art 9), per dare mandato al DSM di allontanare dalla famiglia e collocare in soluzioni residenziali idonee, nell’ambito degli alloggi di edilizia residenziale pubblici’, utenti problematici in caso di ‘rischi per l’incolumità fisica della persona stessa o dei suoi familiari’, in collaborazione coi servizi sociali. Non è chiaro con quale modello (riabilitativo, emancipativo, di ‘housing first’), su quale base (diritto alla casa o confino), con quali strumenti (budget di salute, risorse familiari, dei servizi sociali, etc.).
Si riscontra una aperta contraddizione tra l’aumento del ricorso a programmi residenziali o abitativi, e la riduzione auspicata della spesa sulle residenze ad alta protezione, ma in assenza di un piano complessivo.
Viene citata anche la sicurezza degli utenti, a rischio di violazioni dei diritti e di pratiche apertamente violente, come dimostrato da numerosi episodi. E’ peraltro noto che i temi della sicurezza vengono legati in letteratura non esclusivamente agli ambienti di cura, o a procedure determinate, ma agli aspetti relazionali (relational safety and security) che legano tra loro i soggetti interessati, quali professionisti, utenti, familiari, e la comunità in generale. Nel DDL non vengono predisposte salvaguardie atte a garantire la presa in carico ‘in positivo’, per la realizzazione dei progetti di cura, delle persone con bisogni complessi e disturbi comportamentali.
In sua vece, si indeboliscono i diritti degli utenti su tutto il quadro, e si tende invece a rafforzare concetti (basati su pregiudizi prescientifici) che furono di una vecchia psichiatria.
All’art 5., dedicato all’emergenza-urgenza, vi include (erroneamente) il TSO e l’ASO. Si fa riferimento a ‘strutture del DEA destinate agli interventi urgenti e alle osservazioni psichiatriche (sono nuove strutture?).
In riferimento al TSO, scompaiono gli elementi di garanzia che sono rafforzati nei due precedenti DDL, a partire dalla figura del Garante, mentre compare un quarto criterio del tutto arbitrario: (la previsione di) elevato rischio ‘aggravamento del quadro clinico’ in assenza di trattamenti. Su quali basi scientifiche si enuncia questo parametro?
La durata massima del TSO viene limitata a 15 giorni, salvo eccezioni, mentre l’ASO, come viene normato, da provvedimento eccezionale rischia di diventare pratica routinaria, burocratica, per convocare, a fini di valutazione utenti con cui ‘non si riesca stabilire il contatto’, quindi anche senza neppure tentare, e potenzialmente avallando un approccio autoritario.
Le pratiche coattive, la contenzione in primis, sia pure limitata, vengono in definitiva confermate come pratica accettabile, in qualche modo normata e legittimata, sia pure in maniera limitata. Ciò nonostante le posizioni espresse dal Consiglio Nazionale di Bioetica (2015) e la posizione tenuta finora in Europa dall’Italia di critica al Protocollo Addizionale alla convenzione di Oviedo (bloccato). Quale è il significato di questa inusuale, indebita legittimazione? Le spinte attuali al superamento di esse, i piani di superamento espressi a livello ministeriale nella Conferenza Nazionale del 2021, ne vengono così neutralizzati, disincentivati, e resi inutili.
Ancora una volta, ci si allontana dalle molteplici convenzioni internazionali sui diritti; per non citare l’OMS e il programma QualityRights che mira ad applicare la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, riconoscendone pari dignità, capacità legale, titolarità delle decisioni sulla loro salute e sulle cure, uguale diritto di fronte alla legge, libertà personale, e da trattamenti disumani e degradanti, diritto all’abitare indipendente e alla partecipazione alla società; in questo quadro va incluso il diritto alla salute, che non può essere soddisfatto in mancanza degli altri diritti.
In positivo, va citato l’articolo 6 sulle REMS, che ricalca quello dei due DDL nelle loro salvaguardie positive (inapplicabilità dell’ordinamento penitenziario, centralità della dimensione terapeutica territoriale sugli assi della casa, del lavoro e dell’istruzione, della socialità; inapplicabilità del TSO in sede, obbligo di formulare e rivedere almeno trimestralmente il PTRI, continuità successiva verso le strutture territoriali in misure di sicurezza non detentive quali la libertà vigilata, UVM), mentre prevede di vietare ciò che è già accaduto: la realizzazione di più moduli REMS in un solo edificio o comprensorio precedentemente adibito a OPG (Castiglione delle Stiviere), OP o carcere. Tutto bene, salvo prevedere l’ampliamento a 25 posti, di cui, in assenza di un numero previsto totale, ci si chiede quale sia la ratio: sappiamo che maggior concentrazione significa maggiori problemi; e come si realizzerebbe, ovvero aggiungendo posti letto a sedi già parametrate su numeri più piccoli, con rischi di sovraffollamento, o individuando nuove sedi, con tutte le difficoltà e le lungaggini del caso.
Infine, le disposizioni sulla salute mentale in carcere, mentre prevedono l’obbligo dei DSM di presa in carico di persone con disturbo mentale autori di reato, attraverso la costituzione di unità di accoglienza e di presa in carico intensiva territoriale, stabilisce la costruzione di ‘sezioni sanitarie specialistiche psichiatriche a rapido turnover dei pazienti, con un numero di posti letto non inferiore al 3 per cento del totale dei soggetti detenuti’. Parametrazioni di posti letto che appaiono inadeguate, sproporzionate, probabilmente inattuabili, e che comunque aprono alla definitiva ‘psichiatrizzazione’ dei comportamenti in carcere.
All’art 7, attività e strutture di riabilitazione, si riafferma la necessità di prevedere strutture semiresidenziali e residenziali, ipotizzando la verifica di ‘appropriatezza’ dei trattamenti residenziali da parte dei CSM. Viene correttamente enunciato il progetto personalizzato come fondamento.