Grazie Luigi.
Spero che più persone possibile abbiano seguito la “maratona” conclusiva del 27 sera su Rai storia, che comprendeva tra l’altro due sezioni del massimo interesse, sulle quali butto giù qualche appunto soprattutto per mia riflessione:
– la Shoah dei bambini, con informazioni non solo sugli esperimenti di Mengele (e in particolare sulla sua caccia ai gemelli), ma anche su alcune straordinarie iniziative nei ghetti e nei lager, per aiutare i bambini a fare una vita con una parvenza di normalità e allo stesso tempo prepararli con tatto e dolcezza, con iniziative assai originali e intelligenti, all’idea della loro morte certa al 99 e più %;
– una lunga e originale ricostruzione delle minuziose iniziative di raccolta di informazioni (relazioni scritte, montagne di foto e di film) dopo la liberazione dei campi, fatte da inglesi, americani e sovietici. Si avviò quindi a cura del regista a capo del servizio informazioni del ministero della guerra inglese la lavorazione di un gigantesco documentario, per la cui articolazionee perfezionamento fu fatto anche venire Hitchcock dagli USA. Ma andando le cose per le lunghe, e apparendo l’oggetto progettato troppo scomodo, gli americani – a parte gli spezzoni presentati nei cinegiornali – “bruciarono” gli inglesi col più breve documentario montato in quattro e quattr’otto dal peraltro bravissimo Billy Wilder: mostrava parecchi orrori, ma tagliava fuori un’infinità di altre informazioni ed elementi circostanziali importanti.
Poi, prima che la guerra fredda facesse smorzare i toni dato il ruolo cruciale della Germania in funzione antisovietica, si decise di ridurre il “bombardamento” dei tedeschi coi loro stessi orrori per tentare di alleggerire il carico – oggettivamente insostenibile per gli Alleati – di una Germania totalmente distrutta, con una popolazione in larga misura priva di cibo e alloggio e soprattutto “apatica” non di rado sino alla catatonia; e per buona giunta con una concentrazione (anche da altri paesi) di ben 13 milioni di orfani (di cui molti non sapevano neanche il proprio nome) e di altrettanti adulti “displaced persons”. (Impressionante al confronto con le italiche burocrazie il quadro dell’organizzazione messa su rapidamente per indagare caso per caso quali ricongiungimenti fossero possibili, tra orfani o displaced persons e lontani parenti e conoscenti in tutte le parti del mondo, o viceversa impossibili – è per questi l’ulteriore sforzo per identificare caso per caso le destinazioni più appropriate: in tutto oltre venticinque milioni di lunghe indagini, chilkometri di archivi, miliardi di lettere, telegrammi, telefonate, ripetuti annunci radiofonici urbi et orbi, &c).
Il quasi-silenzio sulle malefatte fu interrotto (e la successiva discussione ed elaborazione del lutto, in particolare in Germania, divenne particolarmente efficace) a seguito della diffusione mondiale dei filmati del processo ad Eichmann. (Pure in questo ci sono pesanti aspetti negativi, come mostra anche il film su Hannah Arendt: a parte la pena di morte – contro la quale già allora alcuni di certo non antisemiti né nazifascisti vivacemente protestarono – il modo in cui Eichmann fu illegalmente rapito dal Mossad e trasferito in Israele; la confusione filosofico-giuridica tra colpa individuale e colpa collettiva. E quanti strascichi:, come la notizia di questi giorni che il capo dei servizi segreti argentini, rimasto in carica a lungo anche dopo la fine della dittatura e solo da poco silurato, da sempre era allo stesso tempo agente CIA e agente Mossad).
Tocco finale, che fa rimpiangere i conservatori illuminati di una volta a fronte delle attuali destre europee e dei vari Tea party e altri repubblicani fondamentalisti USA. Eisenhower – lo stesso che poi come presidente repubblicano castigherà i suoi stessi sotenitori avvertendo il mondo dei rischi dello Stato Militare/Industriale – con tutto quello che aveva da fare come comandante in capo di tutte le forze Alleate, volle precipiìtarsi a fare un giro dei campi appena liberati, entrando di persona nei luoghi più orrendi (è uno dei pochi che nelle foto e nei filmati compare in divisa impeccabile senza fazzoletto né maschera sul viso per difendersi dal fetore che si sentiva a chilomertri di distanza). Quindi redasse una lunga redazione per Washington su quanto aveva visto e sentito. La relazione si concludeva con una insistente/sorprendente raccomandazione che di tutto il materiale documentario raccolto e ancora da raccogliere si facesse l’uso più esteso urbi et orbi e più intelligente possibile, onde ridurre il rischio che successivamente si tentasse di far passare il racconto dell’Olocausto come “propaganda” (tra virgolette nell’originale). Da noi, mi pare, solo pochi outsider come Pasolini furono capaci di una tale lungimiranza (v. p.e. il suo Salò Sade); e ancora il 27 scorso qui ai Parioli è comparso un gigantesco striscione recante con la scritta “OLOCAUSTO: MENZOGNA STORICA! HITLER PER MILLE ANNI! MILITIA”.
Viceversa il “durissimo” Patton – quello che quasi andò in corte marziale per aver insultato e schiaffeggiato, come vigliacco e lavativo, in un ospedale da campo mi pare in Sicilia, un soldato catatonico per shell shock – rifiutò di fare una esperienza analoga: un pò col pretesto che aveva altro da fare, ma sostanzialmente per timore di perdere il suo mitico marziale aplomb sentendosi male alla vista e all’olfatto di quanto gli era stato preannunciato. Il coraggio, come diceva Don Abbondio… Il caso è particolarmente interessante, poichè come soldato e come comandante (campagna d’Italia, l’ultima battaglia delle Ardenne), a parte la sua brutalità e arroganza , Patton di certo non mancava di esporsi di esporsi ai più gravi pericoli, sostenendo uomini che combattevano (soprattutto nelle Ardenne) in condizioni pazzesche e così dando un contributo notevole alla sconfitta dei nazisti.
Scusate il lungo sfogo; ma come disse Althusser (che infatti finì malissimo) “La storia ci sorprende laddove siamo nati”. E io sono nato (da madre francese calvinista e da padre liberale agnostico antifascista, anche se per lo più inattivo, salvo qualche amico ebreo inguattato al S. Spirito sotto falso nome e falsa diagnosi), all’inizio dell’Anno Santo 1933, pochi giorni prima della presa di potere di quell’Adolf Hitler in una prima lunga fase tanto ammirato e corteggiato dal futuro Pio XII. Avevo cinque anni nel 1938 (ed eravamo amici da generazioni di molte famiglie ebree romane, che fossero o meno pazienti di mio nonno e poi di mio padre). Avevo 9-12 anni tra la conferenza di Wannsee del 1942 e la liberazione dei campi nel 1944-5. Quindi la rivisitazione approfondita anno dopo anno delle cose apprese allora, solo parzialmente, a pezzi e a bocconi, da giornali e cinegiornali, costituisce nella vecchiaia un’esperienza sempre più sconvolgente.
Infine d’accordo con De Luna in una delle interviste nei servizi di Raistoria, dato che i testimoni diretti ormai non ci sono più e che tutti ci siamo abituati ai falsi digitali: per favore, SEMPRE MENO MEMORIA E SEMPRE PIU’ STORIA, se non vogliamo che poco poco, piano piano, tutto questo svanisca nel nulla.
Giorgio Bignami