Il progetto “Emozioni all’Opera” dal 2019 fa incontrare i detenuti di Opera e gli utenti del Centro diurno psichiatrico di Fondazione Sacra Famiglia. Al Salone della Csr e dell’innovazione sociale ha vinto il “Premio Impatto 2024” per la categoria Terzo settore. Ardito, improbabile, unico nel suo genere, surreale: anzi, meraviglioso. Sono questi gli aggettivi che descrivono il progetto “Emozioni all’Opera”, che per due anni ha coinvolto una ventina di detenuti del carcere di Opera e sei utenti del Camaleonte, il centro diurno psichiatrico di Fondazione Sacra Famiglia, portandoli due volte al mese dentro il carcere. È l’unico esempio in Europa di un percorso di recupero e socializzazione che coinvolge pazienti psichiatrici e detenuti di un carcere di massima sicurezza. “Ci differenzia la pena, ma ci accomuna la sofferenza”, hanno detto i partecipanti, raccontando il progetto in un intenso spettacolo messo in scena proprio carcere di Opera un anno fa.
Vincitore del Premio Impatto 2024 – Il progetto, avviato nel 2019 in collaborazione con l’associazione In Opera, prosegue tuttora e per il valore che ha creato è stato premiato dal Salone della Csr e dell’innovazione sociale: Fondazione Sacra Famiglia infatti è uno dei due vincitori del “Premio Impatto 2024” per la categoria Terzo settore, assegnato il 9 ottobre. La giuria, composta da esperti e da membri del Comitato scientifico del Salone della Csr, lo ha scelto tra 75 candidati al Premio, in base alla qualità della metodologia, ai risultati, al coinvolgimento degli stakeholder.
“Questa iniziativa, decisamente fuori dal comune, ha permesso a persone diverse di sperimentare relazioni autentiche e vere amicizie”, commenta il presidente di Sacra Famiglia, monsignor Bruno Marinoni. “Questa autenticità è emersa nell’incontro tra due istituzioni apparentemente artificiali, come il carcere di Opera e Sacra Famiglia, dove invece le relazioni sono più vere e immediate perché non c’è niente da dimostrare, niente da perdere. Questo ha permesso, paradossalmente, di vivere un’esperienza di libertà anche in carcere”.
“Questa iniziativa, decisamente fuori dal comune, ha permesso a persone diverse di sperimentare relazioni autentiche e vere amicizie”, commenta il presidente di Sacra Famiglia, monsignor Bruno Marinoni. “Questa autenticità è emersa nell’incontro tra due istituzioni apparentemente artificiali, come il carcere di Opera e Sacra Famiglia, dove invece le relazioni sono più vere e immediate perché non c’è niente da dimostrare, niente da perdere. Questo ha permesso, paradossalmente, di vivere un’esperienza di libertà anche in carcere”.
Emozioni e cura – Gli utenti del centro psichiatrico Il Camaleonte di Fondazione Sacra Famiglia, dicevamo, si incontrano due volte al mese con un gruppo di circa 20 detenuti, di origini italiane e straniere. Le attività ricalcano l’impostazione dei percorsi terapeutici del Camaleonte, centrati su momenti di scambio tra i due gruppi. In passato si è lavorato molto sul tema delle emozioni, quest’anno si è scelto invece di mettere al centro la cura. I due gruppi in questo modo possono conoscersi e confrontarsi, al di là di ogni pregiudizio e stigma, partendo proprio dalle proprie emozioni.
Per la prima volta, inoltre, nel gruppo di Sacra Famiglia ci sono due donne: Elena e Natascia. “Quando vado lì mi sento a mio agio, mi sento benissimo. Loro vivono in carcere, io vivo in comunità: in comune abbiamo il fatto di non essere a casa. E poi anche io ho sbagliato”, riflette Elena. “Noi non siamo le nostre etichette. Io non sono la mia malattia e loro non sono la loro colpa”, dicono Sergio e Luca, ricordando il percorso degli anni passati e i cartelli che avevano portato sul palco. Natascia racconta che all’inizio, quando le hanno proposto di partecipare al progetto, era “ostile”, ma poi “quando ho incontrato le persone, ho cambiato idea”.
L’impatto? Lo misuriamo ogni giorno – Barbara Migliavacca, responsabile del centro diurno psichiatrico Il Camaleonte sottolinea che “ricevere questo premio è emozionante per tutti coloro che vivono questo progetto e contribuiscono a realizzarlo. L’impatto lo misuriamo ogni giorno in termini di riabilitazione e crescita dell’autostima, perché soltanto ritrovando il senso di sé nella relazione ogni persona può crescere, migliorarsi e, nel caso dei nostri pazienti, fare passi avanti nel proprio percorso di cura”.