Più di mille persone sono ancora internate negli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani, i cosiddetti manicomi criminali. Nonostante la legge 180, la legge Basaglia, abbia abolito i manicomi nel 1978, i manicomi criminali continuano a sopravvivere perché non è stata varata ancora oggi una legge che individui percorsi e strutture alternative per risolvere il problema del crimine legato alla salute mentale. Dopo quella mitica sortita a Trieste nel 1973, Marco Cavallo non può più restare fermo di fronte alla persistenza degli OPG e alla fatica per arrivare a processi reali di chiusura. Marco Cavallo torna a correre: più di 4400 km attraverso l’Italia, per le strade di 16 città, alla testa di un corteo di cittadini, artisti, operatori della salute mentale e soprattutto di internati, che per la prima volta manifestano e urlano ai cittadini le loro storie. Il lungo viaggio viene organizzato dal comitato Stop OPG, un cartello di decine di istituti e associazioni, guidati dalla Cgil e dalle associazioni dei familiari, insieme a Edizioni Alpha Beta Verlag – Collana 180, Archivio Critico della Salute Mentale. L’obiettivo è chiudere definitivamente gli OPG. E’ un viaggio di denuncia, di lotta, di intensa comunicazione. La prossima proroga è dietro l’angolo e non c’è tempo da perdere. A partire da Trieste, dove riceve una medaglia e l’augurio del Presidente Napolitano, il cavallo sfila per le strade di Torino, Genova, e Livorno, poi s’imbarca per raggiungere Palermo fino a Napoli, L’Aquila, Roma, Firenze e Milano. Entra nelle Facoltà di Giurisprudenza per parlare agli studenti, incontra i Sindaci, i Presidenti del Senato e della Camera e i cittadini, fa domande e cerca risposte, ma soprattutto da voce a quelli che non hanno mai parlato, gli internati. Marco Cavallo entra negli OPG. Il grande cavallo di cartapesta varca i cancelli dei sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari ancora in funzione: Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Secondigliano, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere. In ognuno dei manicomi l’incontro con chi vive dentro, svela la complessità, le insensatezze e le contraddizioni di questi luoghi. Gli internati, i direttori, i volontari, accolgono il Cavallo e il suo gruppo di viaggiatori: si parla, ma soprattutto si ascolta. L’indeterminatezza, l’ignoranza, il senso di smarrimento sono il denominatore comune del dramma di tutti: non sapere quando la pena avrà termine rende ogni cosa provvisoria. Poi la sfilata: internati, operatori e cittadini manifestano il loro dissenso, chiedono la chiusura. Il corteo si ripete in ogni città, ma trova volti e situazioni diverse. Dentro gli OPG di Barcellona Pozzo di Gotto ed di Aversa, l’anacronismo delle strutture salta agli occhi del visitatore esterno: cemento armato, sbarre di ferro, cancelli automatizzati, definiscono il confine tra normalità e internamento. Le guardie in divisa, i medici in camice bianco, sono gli unici interlocutori in un complesso sistema di sicurezza dove il concetto di cura sembra lontano e dimenticato. Non è permesso parlare con gli internati oltre le sbarre: ad Aversa sono più di 170, ma solo una decina possono partecipare all’incontro. Gli spazi, le prospettive, gli angoli segnano più degli uomini e delle parole la finalità propria dell’istituto: la pericolosità abita ogni angolo, impregna di tensione ogni cosa. La figura maestosa di Marco Cavallo sfila tra i padiglioni pieni di inferriate, dalle quali i suoni di cancelli e le urla degli uomini rinchiusi, riportano alle immagini dei vecchi manicomi di un tempo. Nelle strutture di Secondigliano e Montelupo Fiorentino si respira un’aria più distesa, il rapporto tra le guardie e gli internati è più umano, ma l’insensatezza della burocrazia e i ritmi della vita all’interno restano ostacoli insormontabili. Il Cavallo entra nel cortile dove vengono a trovarlo una trentina d’internati. Le storie che questa volta il Cavallo può ascoltare rimandano ossessivamente agli stessi insensati percorsi e tuttavia le parole di Giuseppe, di Renato, di Sergio e degli altri internati, restituiscono ogni storia al suo singolare dolore. Ed ecco che il cavallo arriva a Roma a Palazzo Madama e nella piazza delle Cinque Lune incontra il Presidente Grasso. Ci sono tanti bambini delle scuole elementari, che affascinati dalla insospettata meraviglia, fanno domande. A L’Aquila, l’immagine del cavallo azzurro si staglia contro i muri puntellati di tubi innocenti. Ad aspettarlo c’è una gru, che lo accoglie con un inchino. Nel dialogo metaforico tra il cavallo e la gru, la città di L’Aquila si racconta: i cittadini hanno perduto la loro identità, sono smarriti e dispersi. Il centro storico è disabitato. “Non c’è più nulla” dice sconsolata la gru “e ormai gli aquilani sono proprio come quelle persone che tu, Marco Cavallo, stai incontrando!” Senza storia, senza tempo, senza luogo. A Reggio Emilia piove e fa molto freddo. È fredda anche l’accoglienza. Qui gli operatori penitenziari, i sindacati, fanno fatica ad aderire pienamente agli obiettivi del viaggio. Non sono convinti che i manicomi si debbano chiudere del tutto, che la contenzione si debba abolire e non sia necessaria la costruzione dei piccoli manicomi. L’incontro nella sala delle riunioni è più difficile del solito. A Castiglione delle Stiviere, il direttore accoglie la comitiva con gentilezza. L’incontro con gli internati avviene in maniera spontanea nel bar dell’istituto. Si crea un cerchio con le sedie: uno ad uno gli internati, gli uomini silenziosi che vivono la prigione, aspettano il loro turno per parlare. I volti scavati, cicatrizzati, rallentati dagli psicofarmaci trovano dignità nelle domande che riempiono la sala del bar dell’OPG. «Sono qui da più di 6 anni. Mi hanno dato 10 proroghe». «Io sono ancora provvisorio… io sono uscito ma nessuno mi vuole… io sono egiziano, non ho ucciso nessuno. Non so neanche che cosa ho fatto… E io? 5 diagnosi in 5 minuti, dottore dottore, ma come fanno gli psichiatri a essere così bravi? Ma cos’è questa perizia psichiatrica, è peggio della peggiore sentenza. Ma se chiudono gli OPG dopo dove ci mettono? » Il confronto con il direttore e gli internati è finalmente reale, concreto, come accadeva nelle assemblee inaugurate da Franco Basaglia a Gorizia quasi cinquant’anni anni fa. Non si può rispondere alle loro domande. Si può solo spiegare da dove nasce tanta insensatezza, raccontare, ascoltare. Solo le decisioni della politica potranno fare la differenza.
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