La mattina di giovedì 16 marzo sono a Barcola. Nella stanzetta che chiamiamo dei colloqui e dell’accoglienza sto parlando con la mamma e il papà di una giovane donna in quel momento ospite al Centro. La stanza si trova proprio all’ingresso, la prima sulla destra. Molti ospiti abituali quando arrivano aprono la porta per salutare. Quella mattina, sono circa le nove e mezza quando: “Hanno rapito Aldo Moro – urla entrando Paolo – le brigate rosse hanno rapito Aldo Moro. Cinque morti…” Faccio un cenno bonario di assenso, conosco da due anni Paolo e il suo delirio. Gli dico: “Va bene, va bene Paolo aspetta che finisco con questi signori e ne parliamo”. So che posso scherzare e aggiungo: “Oggi abbiamo notizie fresche dal KGB..”. Non mi permette di scherzare, oggi, e si arrabbia di brutto: “Ma va in mona, ma di cosa cazzo vuoi parlarmi, no go niente de dirte!!”. Che io ci creda o no, Aldo Moro è stato rapito. Paolo al Centro è arrivato due anni fa. Ha venticinque anni. Vive con la madre e una sorella in un appartamento delle case popolari di Gretta. Suo padre vive in nord Africa con una nuova moglie, più giovane, e altri due fratelli di Paolo. In Marocco vende sedie e altri prodotti dell’industria friulana. Loro in Africa sono ricchi e noi qua siamo poveri mi dice spesso Paolo. È stato militare a Firenze. Aveva vent’anni. Ha incontrato una bellissima ragazza siciliana, Paola, che a Firenze faceva l’università. Insieme frequentavano i testimoni di Geova. Ma perché lo voleva Paola, lui Paolo, tiene a precisare che è sempre stato comunista, proletario. Appena finito il militare hanno voluto sposarsi. Molte contrarietà da parte della famiglia di lei. Niente. Paola era già in attesa. Si sono sposati e sono partiti per il Marocco. Un po’ viaggio di nozze, un po’ tentativo di riconciliarsi col padre e mettersi a lavorare con lui. Invece è successo il disastro. In Marocco è cominciato il disastro. È successo che dopo tre giorni che erano ospiti in casa del padre, Paolo ha avuto il sospetto che stava accadendo qualcosa di inimmaginabile. Ha avuto molta paura solo al pensiero di questa cosa. Poi tutto gli è stato tragicamente chiaro. Come aveva potuto non accorgersene? Ecco la terribile verità. Suo padre corteggiava Paola, anzi stava già accadendo qualcosa di irreparabile. Era una giusta punizione questa. Paolo ora aveva un ricordo bruciante e doloroso. Lui stesso quando aveva visto per la prima volta la giovane nuova moglie del padre si era sentito turbato dal suo sguardo e dalla confidenza con cui quella giovane donna che lui non aveva mai visto prima lo aveva abbracciato. Conservava di quell’incontro un ricordo fastidioso. Tre notti di insonnia, di litigi, di parole che diventavano sempre più oscure. Paola era disperata. Tentativi di cura, un brevissimo ricovero al pronto soccorso di un ospedale di Rabat. Poi la fuga precipitosa. Arriva a Trieste con la moglie. Ormai è tutto chiaro. È stato inadeguato, incapace di meritarsi una moglie così bella e brava e desiderabile. Ha rovinato tutto, ha tradito le aspettative della famiglia siciliana. Dovrà essere punito. Sarà punito sicuramente, quanto prima la mafia lo ucciderà. Si chiude in casa. Non apre più neanche le finestre. Una notte sicuro che la casa è circondata esce di corsa urlando. Che uccidano lui, ma lascino stare Paola. All’indomani ci chiamano. Dobbiamo impegnarci per una settimana con lunghe visite quotidiane prima che Paolo faccia entrare la dottoressa e l’infermiera nella sua stanza. Comincia un rapporto difficilissimo. Un confronto duro che ci mette alla prova. Paolo accetta di restare ospite al Centro, poi scappa via, per tornare il giorno dopo. E così per settimane. Insomma una negoziazione senza fine. La mafia non arriva a Trieste ma viene la madre e un fratello di Paola che ormai deve a breve partorire. Paola torna in Sicilia. Nascerà Margherita che Paolo non vedrà se non dopo molti anni. Per quanto Paola voglia far di tutto per tornare a stare insieme, tutto finisce. Registriamo il fallimento. Discutiamo molto della nostra incapacità a sostenere tutta la famiglia nel suo sforzo di restare unita. Non ci consola molto che Paolo, “un caso così difficile”, non è stato neanche per un giorno in manicomio, che ora sta lavorando in pescheria, che si guadagna da vivere. Avremmo voluto essere capaci di sostenere anche Paola nel suo desiderio di tenere la famiglia. Non ci consola l’ostinata determinazione di Paolo, l’irriducibilità della malattia che lo costringe a essere resistente e contrario alla ricomposizione. Nel corso del tempo si convince che la mafia lo ha risparmiato perché lui si è prestato a un accordo con le spie sovietiche che lo hanno protetto. Col KGB, sì proprio con loro. Paolo si è lasciato impiantare uno strumento nella testa. Una sorta di trasmittente, di video camera. Il KGB vede attraverso gli occhi di Paolo quello che accade in un paese occidentale, quello che scrivono i giornali, cosa dicono radio e televisioni. E intanto gli mandano messaggi, lo tengono informato. Anche su fatti di politica nazionale e internazionale e di recente sul terrorismo, gli attentati, le guerre in giro per il mondo. Il KGB è molto interessato agli incontri tra Enrico Berlinguer e Aldo Moro. La testa, come si capisce, non gli appartiene più ed è per questo che lui non può stare più con sua moglie e sua figlia. È il prezzo che deve pagare perché loro possano continuare a vivere. Come è logico questa scelta tanto ostinata e convinta è fonte di dolore continuo. E quando il dolore diventa insopportabile Paolo si scompone. Tenta di partire per la Sicilia. Vaga per la città in cerca di telefoni non controllati dai quali poter chiamare Paola, urla a sua madre tutto il suo disprezzo per non essere stata capace di tenere l’unità della famiglia. Arriva in Centro rabbioso annunciando la sua partenza definitiva e accusandoci di ucciderlo con “Quelle merde di gocce di serenase.” E ci mette tutti ginocchio. Forse di una cosa mi consolo. Paolo gioca a calcio divinamente. Gioca libero. Abbiamo cominciato a mettere su la squadra di calcio. Io gioco mediano. Con Paolo accanto, che gioca assai meglio di me, tutto è più facile. Partecipiamo ai tornei cittadini. Non vinciamo molto.
Ma siamo una forza!
Aldo Moro era stato rapito quella mattina di giovedì 16 marzo.
58 giorni dopo arriverà la 180
( da Non ho l’arma.. AB Verlag, Merano. 2014)