io sono Giovanna e ho la sindrome di Asperger. Fino a pochi anni fa, quello che io ho non aveva nome. Ho passato l’infanzia e l’adolesenza con enormi diffcoltà, con una serie di disturbi che nessuno riusciva a classificare, poi ho trovato la risposta: una forma di autismo che si chiama ‘Sindrome di Asperger’.
Dagli anni 90 in poi, nel pianeta autismo è sopravvenuta una vera e propria rivoluzione, e una parte importante di questa rivoluzione l’hanno avuta proprio le persone come me, autistiche ma ad ‘alto funzionamento’, quelle che possono cioè parlare e dire cosa succede dentro di loro. E il mondo ha cominciato a capire che autismo non è semplicemente una malattia, ha cominciato a parlare di ‘neurodiversità’ e delle potenziali capacità della mente autistica proprio per il poter apportare un punto di vista ‘neurodifferente’ alla società.
Ma, mentre tutto questo succede in psicologia e psichiatria, la nostra vita pratica continua a non cambiare. Noi continuiamo a sentirci esclusi. Anche chi, come me, ha la forma ritenuta più ‘leggera’ ha enormi problemi a trovare e soprattutto conservare un lavoro e avere una vita sociale che permetta un minimo di scambio.
Volete sapere perchè… Avete idea di cosa sia un ‘overload’ sensoriale in un mondo perennemente romoroso e sovraccarico do stimoli? Avete idea di cosa sia capire solo un linguaggio letterale? Non capire se la persona che parla è felice o arrabbiata con te perchè non sai assolutamente capire l’espressione del suo viso? Questo è quello che noi dobbiamo quotidianamente gestire, per far finta di essere ‘normali’.
E tutto questo noi non lo possiamo cambiare perchè questo fa parte della nostra diversità, ne segue che L’UNICO MODO PER NOI PER INTEGRARCI E’ CHE IL MONDO ACCETTI LA NOSTRA DIFFERENZA.
Io sono stata fortunata, ho trovato lavoro in un acooperativa sociale (la Collina) dove ho trovato chi mi ascolta e chi mi ha aiutato e continua a dare ascolto alle mie esigenze. Nel frattempo ricevo mail disperate da parte dei partecipanti al gruppo Asperger. it di genitori che non trovano il modo di inserire i figli al lavoro.
E allora…forum, perchè non mi aiuti…dacci voce, dai voce alla popolazione autistica, troppo a lungo confinata in una fittizia irrecuperabilità, perchè non ci aiuti a dire che noi vogliamo partecipare ma che possiamo farlo solo se la società accetta di cambiare.
Perchè l’autismo non si può cambiare, l’unico modo è cambiare il mondo.
Giovanna Milanesi
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Giovanna, anch’io ho cercato di cambiare il mondo, quello dell’indifferenza, dell’egoismo, quello del grande gelo individualistico. Trent’anni fa un gruppo di persone cercò di cambiarlo, a partire proprio da questi problemi. Ci provò Basaglia con tutti coloro che lo seguivano anche da lontano.
Oggi non accetto l’indifferenza, non accetto che mia figlia resti sola senza di me. Non accetto… Ma che cambia?
Ti posso solo promettere che al Congresso del Forum (22 giugno),cercherò di parlare della tua lettera, della storia di quelli come te, Perchè tu adesso hai trovato una soluzione che ti piace, ma pensi agli altri.
E sei tra le poche persone che scrivono per gli altri.
Sei migliore di noi tutti.
Allora chiedo a tutti gli amici del Forum, di parlare anche di questo..e di quell’utopia della realtà che era tanto cara a Basaglia. Cambiare il mondo.
A partire da quel volto che sembra non avere espressione.
Dietro il quale c’è un’anima bella come la tua.
E’ una lettera bellissima, cui forse Galimberti saprebbe rispondere.
Ma gli amici del Forum faranno il possibile, e l’impossibile. Già lo stanno facendo.
Ti faccio una proposta Giovanna. Puoi venire proprio tu al Congresso del 22 giugno a Trieste a parlarne…?E la faccio anche agli amici del Forum:la invitiamo?E’ una proposta che faccio insieme alle altre che ho già fatto…. Grazie
PROPOSTA
Ho letto con molta attenzione e con molta commozione due interventi: quello di Giovanna Milanesi (“Accetta la differenza, non l’indifferenza”) e quello di Chiara (“Una ‘border’ che lavora? Ma quando mai?”).
E vorrei concentrarmi su un tema comune ad entrambe, che è quello del lavoro.
Chiara, di cui nel luogo di lavoro non conoscono il suo “disturbo di personalità borderline”, ha un lavoro non precario, che a volte teme di perdere perché “ciò che è personale deve rimanere fuori dalle mura del negozio” (…). “Sei ansiosa? È un problema tuo, qui stai lavorando”.
Chiara chiede tutela, riconoscimento, garanzie: “Sarebbe bello che riuscissi a farcela, che non gettassi via anche questo lavoro e che ci si rendesse conto che è una conquista per tutti riconoscere umanamente le debolezze, comprenderle per superarle”.
Anche Giovanna, che ha la sindrome di Asperger, si sente, come tanti, esclusa, “anche chi come me, ha la forma ritenuta più ‘leggera’, perché ha “enormi problemi a trovare e soprattutto conservare un lavoro e ad avere una vita sociale che permetta un minimo di scambio”.
Giovanna lavora in una cooperativa sociale, e dice di essere stata perciò fortunata, ma riceve continuamente e.mail di genitori che non trovano il modo di inserire i figli al lavoro.
Anche Giovanna chiede tutela e riconoscimento del fondamentale diritto al lavoro per tutti.
Occorre, aggiunge, un cambiamento: “l’unico modo per noi per integrarci è che il mondo accetti la nostra differenza”. Cioè che cambi il mondo!
Il mondo del lavoro come può cambiare? Qual è il soggetto rappresentativo delegato alla tutela del lavoro di donne e uomini in qualsiasi condizione essi si trovino? Il sindacato, certamente. Ma quanto il sindacato, attraverso la sua attività fondamentale, la contrattazione, è davvero rappresentativo anche di questi lavoratori?
Qualche riflessione.
Per quanto riguarda il diritto al lavoro dei disabili, la legge n. 68 del 1999 ha lo scopo di promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. In particolare, l’art. 2 ha una formulazione molto ampia e contiene l’indicazione di interventi per l’inserimento del disabile e di azioni positive per la soluzione dei problemi. Al di là, quindi dei presupposti consistenti negli obblighi di assunzione e delle previste agevolazioni sia in forma fiscale e contributiva, sia in forma di rimborsi. Sembrerebbe che la legge 68 abbia introdotto un sistema piuttosto avanzato, ma sappiamo che raramente trova effettiva e concreta applicazione, soprattutto per coloro che, secondo la lettera della legge «sono affetti da un grave handicap mentale o psichico».
Allora mi sembra necessario fare un’ulteriore considerazione sul ruolo che potrebbe avere il sindacato nei luoghi di lavoro: già la stessa previsione di legge potrebbe dare argomenti alle RSU, titolari del potere contrattuale aziendale, per proporre di stipulare accordi per l’attuazione delle assunzioni obbligatorie, previa predisposizione delle «azioni positive» previste dall’art. 2 della legge. Ma ancora maggiori possibilità contrattuali possono trovarsi nella contrattazione aziendale, risultati ulteriori quando vengono aperti spazi significativi dalla contrattazione nazionale, nei cui accordi possono trovare definizione alcuni principi e linee strategiche di intervento, che predispongono gli strumenti per la specifica contrattazione aziendale. Mi riferisco, qui, alla formulazione contrattuale, già presente in molti CCNL, della responsabilità sociale d’impresa.
Ed è proprio questa norma contrattuale generale che può dare spazi significativi alla contrattazione aziendale che può ben riguardare anche più ampie prospettive di effettivo inserimento dei disabili.
Norme di legge e norme contrattuali, quindi, per promuovere contrattazione di inserimento anche per coloro che soffrono di disagio mentale, con un progetto personale di accompagnamento, in cui siano coinvolti sia il personale sanitario delle strutture pubbliche, sia le rappresentanze sindacali aziendali, sia i colleghi di lavoro.
Perché, come dice Giovanna, anche il mondo del lavoro riconosca la differenza.
Tutta la normativa legislativa e contrattuale può essere la base per proporre “progetti di vita” cioè non progetti di cura, che appartengono ad altre competenze, ma progetti di inserimento lavorativo, che significa, appunto, laddove possibile, predisporre anche le condizioni ambientali e culturali per l’accoglimento e l’integrazione dei soggetti tutelati.
Giovanna conclude: “E allora…forum, perché non mi aiuti…dacci voce, dai voce alla popolazione autistica, troppo a lungo confinata in una fittizia irrecuperabilità, perché non ci aiuti a dire che noi vogliamo partecipare ma che possiamo farlo solo se la società accetta di cambiare.
Il Forum lo farà?
Sarà possibile un’iniziativa di scambio di idee, di dibattito, di ricerca di soluzioni concrete anche nel mondo del lavoro?
La mia proposta è che si preveda, nel programma del Forum, un momento di riflessione, nelle forme che l’organizzazione riterrà attuabili, per iniziare a dare una risposta a Chiara e a Giovanna.
Manlio Talamo
Questa testimonianza, che sa attrarre e coinvolgere, mostra che di autismo si può, e si deve, vivere. Per comprendere la diversità di chi è autistico bisogna in qualche modo essere entrati in contatto con questa realtà e allora si capiscono tutti i passaggi del racconto di Giovanna: la diversità non è qualcosa di alieno, anzi fa parte di tutti noi. Il problema di molti è il non saperla o non velerla riconoscere, ciò avviene quando il pregiudizio copre come lenti opache i nostri occhi.
Anche leggendo il Lupo Mercante di Clara Sereni, si può capire che di autismo si guarisce con i metodi giusti ,l’attenzione e l’accoglienza.
O forse di autismo si guarirà quando si potrà guarire dalla normalità
Sì, sono d’accordo, Drago lupo, fin quando non si vede la sofferenza insopportabile di molte persone, l’incapacità di amare e di lavorare. Di accetttare gli altri, di parlare con amici e di raccontarsi i fatti. io so, per esperienza, la sofferenza di mia figlia in certi giorni, ed è trattata tranquillamente. Ma soffre ,sente voci, offese, non tollera nessuno… Anche se in camera e in casa non c’è nessuno, minaccia il suicidio, stanchezza e vede uomini invisibili che la tormentano. E’ la loro sofferenza che si vorrebbe attutire.
E ,poi, alla fine, dopo aver parlato , raccontato, acquitato, quella sofferenza diventa la nostra. Soprattuttto se si è legati a una persona cara.
Liberare dalla sofferenza, distaccarsi un po’ dalla famiglia. Prendere anche coscienzaq… , che è come avere l’infuenza. A loro ogni ostacolo sembra enorme insormontabile e non puoi lasciarli soli….
Riesco a impegnarla raccontandole storie, facendole vedere film che sono sempre storie.. quelle che le piacciono. Poi è intelligentissima, ma il disturbo è dell’emotività, è qualcosa di c
Io posso solo raccontare la mia storia. Sapendo che non è uguale a quella di nessuno, sapendo che probabilmente non insegnerà nulla e che non avrà significato se non per me.
La mia sofferenza…è che mi ritenessero incapace di amare e di comunicare. Ci sono molti modi di amare, quello di una persona autistica è sicuramente molto diverso da come ci si aspetterebbe. Sembriamo impassibili, anaffettivi. Vi ricordate di Kanner? Lui è stato il primo a notare la sofferenza terribile dei bambini autistici quando venivano allontanati dal contesto famigliare. Lui per primo ha notato quel dolore cupo, senza nome, che taglia dentro. Non esprimere le emozioni,non comprenderle e non saperle leggere dentro di sè porta a far pensare gli altri che noi non sentiamo. Ho passato l’infanzia in tutto questo, ora posso esprimerlo. Perchè sono ‘ad alto funzionamento’, posso parlare. Posso raccontare del dolore di mia madre quando da bambina i miei comportamenti la mettevano in crisi. Quando mi gettavo per terra e mi rotolavo e urlavo. Lei piangeva. Autismo è ipersensibilità sensoriale: le luci e le voci erano per me insopportabili. Avreste urlato anche voi. Urlavo perchè ero viva. Mordevo le persone che mi toccavano, perchè anche ora la mia pelle è ipersensibile e il contatto mi fa male. A volte mi allontanavo da casa, volevo stare in un mondo dove non essere ferita dai contatti, dai rumori, soprattutto dall’aspettativa di chi mi circondava che avrei comunicato al loro livello, questo era veramente insopportabile.
Posso parlare di tutte le notti passate a tremare di paura e del mio perenne terrore di esser lasciata sola da quando un parente mi disse che se non mi comportavo bene sarebbe venuto il diavolo a portarmi via. I bambini autistici prendono alla lettera le affermazioni, e io aspettavo con terrore il diavolo e credevo di vederlo in ogni ombra.
La confusione…io non potevo decifrare il mondo, ma il mondo non ha mai provato a decifrare me. Ho sinestesie: la musica mi fa vedere colori e sensazioni tattili. Ora sono musicista e non ho più paura di questo, lo uso per la mia musica.
La mia sofferenza attuale…non poter comunicare con mia madre. Perchè per lei, come per tutti i neurotipici, comunicare significa mettersi su di un piano emozionale, e io questo piano lo rifiuto perchè non tollero le emozioni. Tra di noi c’è un muro, e questo muro è il suo dolore per come io sono, per come ero, per come è andata la nostra storia. Forse un giorno riuscirò a fare che quel muro cada e che noi due ci vediamo finalmente per quello che siamo: due eseri umani che si sono incontrati. Con amore.
E’ da un mese che sto cercando di tirare su una community di Asperger (e persone interessate a vario titolo). Vi invito a raggiungerci su http://www.spazioasperger.it
Grazie Wolf per il tuo impegno ma scusa se non aderisco perchè personalmente gli spazi chiusi non mi piacciono. Mi trovo meglio a convivere e a confrontarmi con tutti i tipi di persone perchè sono convinta che la differenza più che l’identità mi permette di conoscermi e di arricchirmi.