Per un manifesto condiviso sulla pericolosità sociale e la non imputabilità: verso una nuova cultura del rapporto tra pena e salute mentale?

Forum Salute Mentale Argomento: Agorà – X Assemblea, 13 novembre 2023

intervento di Stefano Castagnoli
Coordinamento degli Psichiatri Toscani

Il coordinamento degli psichiatri toscani (CPT) è un gruppo di professionisti (per lo più psichiatri, ma anche psicologi) che si ritrova dal 2004 a discutere dei temi della salute mentale e negli ultimi anni  ha discusso molto spesso delle questioni che riguardano gli autori di reato.

Avevamo anche previsto una serie di criticità che si sono poi puntualmente manifestate. E allora quando la legge 81 entrò in vigore cercammo anche un contatto con il governo ed incontrammo l’allora sottosegretario alla Sanità per cercare di mettere qualche freno agli aspetti negativi che la legge aveva provocato dal nostro punto di vista naturalmente condividendo comunque lo spirito che la anima e cioè quello di arrivare, almeno in Italia, alla chiusura definitiva dell’epoca del manicomio.

Ringrazio Peppe Dell’Acqua per questa opportunità. L’abbiamo cercato perché in questo tempo, come è già stato accennato in precedenza, siamo molto preoccupati che, con l’attuale situazione politica in Italia si possa scivolare più indietro in una direzione di ritorno a un’epoca in cui, mi piacerebbe dire alla salute mentale, ma bisogna dire più giustamente alla psichiatria viene nuovamente attribuito il mandato di custodia anziché di cura e la delega totale a tutte le questioni che riguardano non solo gli autori di reato, ma tutte le persone sofferenti di un disagio psichico in senso più generale. 

E per la verità la legge 81 che aveva questi alti obiettivi nasce in un contesto storico molto sfavorevole per la presenza di flussi migratori importanti, per la perdita di autorevolezza delle istituzioni, dalla famiglia alla scuola, dalla politica alla magistratura e fino alle forze dell’ordine, per la perdita di certezze individuali causate dalla pandemia, dalla guerra, dall’emergenza climatica, dalla crisi economica, per l’aumento del disagio e dei conflitti sociali e dalla diminuzione delle risorse disponibili. Diciamocelo chiaramente: se c’era un periodo storico favorevole alla nascita della legge 180 che noi tutti vogliamo difendere, adesso non c’è un periodo storico altrettanto favorevole per andare avanti su questa strada. Quindi ci si è avventurati su una strada che non aveva un contesto particolarmente favorevole.

D’altra parte questa strada è stata preparata nel tempo, perché ci sono dei prodromi alla legge 81 che riguardano almeno alcuni grandi passaggi: quello del 2003, nel quale la Corte Costituzionale sanciva la possibilità di adottare diverse misure di sicurezza in luogo dell’OPG, la sentenza dell’otto marzo del 2005 della Cassazione che ampliava ai gravi disturbi di personalità la possibilità di accedere alla non imputabilità, pur confermando la necessità di provare il fattore eziologico, ma di questo elemento si è persa la traccia, e poi il DPCM del 1° aprile 2008 con il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario. Questo è stato un passaggio decisivo. E poi ricordiamoci che, dopo la legge 81, la deriva dal nostro punto di vista è continuata nel senso che, per esempio, c’è la circolare del Ministro dell’Interno del 2019 indirizzata alle forze dell’ordine con l’invito quasi a non intervenire nei nostri SPDC. Poi la sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 2022 che mette in evidenza tutta una serie di criticità e di elementi di incostituzionalità che la legge 81 ha messo in campo e quindi anche di questo bisogna tener conto. Infine, secondo noi, l’ultimo passaggio critico è quello della Conferenza Unificata del 30 novembre 2022, perché vi si stabilisce un principio che è veramente di stampo manicomiale e cioè il principio di prossimità territoriale, viene chiamato così, che stabilisce che per gli autori di reato non imputabili senza diritto di cittadinanza (e ce ne sono molti naturalmente in questi ultimi anni anche per via dei flussi migratori) varrebbe, secondo la Conferenza Unificata, il luogo di commissione del reato per l’attribuzione in carico ai servizi di salute mentale. Badate, non ai comuni dove queste persone hanno commesso il reato, ma ai servizi di salute mentale. Non c’è più il diritto di cittadinanza, ma solo l’attribuzione al Dipartimento o servizio di salute mentale di quel territorio di quella persona che, naturalmente, avrà una probabilità molto bassa di inclusione sociale perché il comune dove la persona ha commesso il reato sarà poco disponibile a dargli una qualche forma di residenza. Questa modalità è mutuata dal modo con il quale i magistrati si distribuiscono il proprio lavoro e non ha niente a che fare con la sanità pubblica.

D’altra parte, quando noi costruiamo dei sistemi complessi, dobbiamo tener conto di almeno due principi fondamentali. Il primo è: massimo potere, massima responsabilità (e non massimo privilegio). Noi ci troviamo invece in una condizione, fortemente stressata dalla legge 81, in cui abbiamo potere senza responsabilità (quello dei periti ad esempio) e responsabilità senza potere (la situazione dei servizi che si vedono attribuita la presa in carico di soggetti definiti pericolosi e completamente delegati ai servizi. Ma non è nemmeno questo il principio più importante. In fondo il principio più importante è il secondo, declinato da Alexander Hamilton, uno dei protagonisti della creazione dello stato federale americano. Lui diceva che l’unica speranza di fedeltà del genere umano sta nella coincidenza dell’interesse con il dovere. Quindi è chiaro che più  noi costruiamo dei sistemi complessi che prevedono di occuparsi di cose difficili (che non piacciono, diciamo così), più la difficoltà cresce e più dobbiamo tener conto di questo principio, cosa che la legge 81 non riesce a fare. Chiude gli OPG e prevede che l’internamento in REMS sia deciso dall’Autorità Giudiziaria per i soggetti non imputabili per vizio di mente e giudicati pericolosi a valle di una perizia. La gestione però è a carico esclusivamente del sistema sanitario. La durata della misura non può superare il massimo edittale della pena prevista per quel reato con una grande confusione di nuovo tra il problema della cura e la questione della pena. Infine è chiaro che c’è un’incoerenza totale della legge 81 con i principi fondamentali. Dove è il potere e dove è la responsabilità: vogliamo parlare della posizione di garanzia cui è soggetto lo psichiatra? Qual’è la coincidenza tra l’interesse e il dovere?

Purtroppo, bisogna riconoscerlo, la legge 81 ha portato una serie di effetti negativi ed io ne cito semplicemente alcuni per titoli: ritorno alla confusione tra ruolo di cura e di custodia, riproposizione della delega, induzione dell’equivalenza folle uguale pericoloso,  induzione del pensiero che solo la cura possa risolvere la pericolosità e la violenza (ergo, se sono ancora pericolosi, non sono curati bene), induzione del rifiuto a intervenire delle forze dell’ordine, effetti intollerabili sugli psichiatri dal combinato disposto della nuova legge con la posizione di garanzia.

Siamo di fronte a una crisi di sistema: ci sono medici che scappano dal servizio pubblico, in particolare dai DEA e dalla psichiatria.

Come si può fare per evitare questo disastro. Perché guardate, se tenete conto dell’introduzione che ho fatto sulle risorse è un disastro. Il sistema così non può reggere. Noi abbiamo pensato che l’unico modo è quello di individuare un punto critico, non fare infinite richiesta, ma concentrarsi su un solo punto chiave. E’ per questo che la nostra proposta si organizza intorno ad un solo punto chiave che è quello dell’abolizione o revisione degli art. 88 e 89 del codice penale. Qual’è il nostro scopo (qui c’è qualche differenza con l’impostazione che ci ha proposto Pietro Pellegrini). Il nostro scopo è quello di abolire la non imputabilità per vizio di mente ed utilizzare il concetto di vizio di mente relativamente alla capacità di intendere e volere come attenuante, come modulatore della pena verso percorsi di cura specifici ed appropriati. Quindi la definizione di una serie di percorsi di pena come detentivi penitenziari, detentivi non penitenziari e non detentivi a seconda dell’entità della pena e dell’accettazione delle cure (l’adherence che anche secondo noi è fondamentale). Noi pensiamo che nessuno, al di là della fase acuta, già prevista ottimamente dalla formula del TSO della legge Basaglia, possa essere davvero curato se non vuole essere curato. E’ molto semplice: a parte la situazione acuta non c’è questa possibilità, è inutile pensare che ci sia. Quindi come dovrebbe svolgersi la questione. C’è l’imputazione, c’è la custodia cautelare o la pena prevista per quella imputazione, c’è la valutazione del vizio di mente e, a valle di questa valutazione i percorsi possibili divergono se viene riconosciuto il vizio di mente e la persona è considerata pericolosa (quindi senza cambiare la modalità attuale di valutazione della pericolosità). In questo caso si attiveranno delle misure detentive di competenza giudiziaria, non sanitaria, con la partecipazione del Dipartimento di Salute Mentale deputata alla cura dei pazienti. In quali luoghi? In questo caso nelle articolazioni salute mentale in carcere oppure nelle REMS detentive giudiziarie che dovranno avere nell’equipe multiprofessionale anche la polizia penitenziaria perché questo chiarisce quali sono i ruoli: ch si occupa della cura e chi è il braccio armato del giudice se mi passate il termine.

Gli altri percorsi possibili sono: se non c’è la pericolosità, ma non c’è l’aderenza alle cure, si torna ai percorsi precedenti, se c’è l’aderenza allora si passa alle misure alternative alla pena che sono di competenza del Dipartimento di salute mentale con la vigilanza dell’UEPE e la possibile revoca in caso di perdita dei prerequisiti e che si svolgono nelle REMS sanitarie ovvero nelle strutture residenziali del DSM oppure a domicilio.

Ricordiamoci poi che la finzione giuridica della presenza dell’imputabilità è già realizzata sia per pazienti che hanno problemi di dipendenza da sostanze, ma anche per gli alcolisti. E’ evidente, ad esempio, che se commetto un reato in una condizione di ebbrezza acuta sarei totalmente incapace di intendere e volere e quindi non imputabile, ma in realtà mi si attribuisce la volontà di essermi messo volontariamente nella condizione di rischi appunto bevendo esageratamente. Questo sarebbe utile anche per i nostri pazienti. Pensiamo al disturbo bipolare che nella fase intercritica  consente perfettamente di fare una scelta consapevole di compliance alla cura. Se decidono di non curarsi dovrebbero pagarne le conseguenze in caso di commissione di reati in fase maniacale.

Tenete conto che la questione dell’abolizione della non imputabilità per vizio di mente è stata già sollevata dalla commissione parlamentare che ha dato il via alla legge 81. Cito testualmente: “le modificazioni auspicate (cioè la chiusura degli OPG) debbono costituire soltanto il primo passo verso l’abolizione dell’istituto della non imputabilità e di tutti i suoi perniciosi corollari”.

Bisogna anche tener conto che nel 1930 non esistevano gli psicofarmaci per cui onestamente quello che possiamo “pretendere” oggi in relazione alla responsabilizzazione delle persone è ben diverso da quello che si poteva pretendere al tempo del codice Rocco. Si tratta di restituire alla persona la responsabilità delle proprie azioni e quindi di rendergli anche dignità e possibilità di stare sul piano di realtà del reato commesso cosa che attualmente viene completamente ignorata. Questo significa anche ridare responsabilità a tutte le altre agenzie coinvolte nella questione. Noi vediamo, lavorando nei servizi, ormai questa responsabilità è attribuita per delega esclusivamente ai servizi   di salute mentale. Inoltre abolire la responsabilità per vizio di mente significa evitare ogni abuso doloso ed ogni discrezionalità colposa frutto del fatto che il sapere psichiatrico è un sapere con un modesto grado di convergenza e di accordo clinico. Lo sappiamo tutti che le diagnosi non ci vedono particolarmente convergenti. Ma poi si tratta di ristabilire con chiarezza a chi spetta il ruolo di cura e a chi quello di custodia e di controllo sociale recuperando, per la sanità pubblica, e non solo per la salute mentale; si tratta di invertire la tendenza rispetto alla delega con il ricoinvolgimento delle agenzie che attualmente si chiamano fuori dalla gestione, non solo delle persone pericolose o violente, ma anche di tutte le persone portatrici di disagio psichico; si tratta di svuotare dei fattori critici (cioè quelli di minaccia) la posizione di garanzia per gli operatori della salute mentale, in particolare per gli psichiatri; si tratta di migliorare la salute degli operatori e della comunità, e non solo dei pazienti. Ricordiamoci che anche gli altri hanno diritto alla salute e non soltanto i nostri pazienti.

Molto spesso questa nostra proposta viene criticata perché, si dice, in tutti i paesi di “civil law” (cioè i paesi di diritto romano) esiste il vizio di mente come fattore che esclude l’imputabilità. Certamente, ma in tutti questi paesi esistono i manicomi e nel nostro invece no e questo dovrebbe comportare una riflessione. Non solo, ma in questi paesi, la spesa per la salute mentale, io faccio sempre l’esempio della Germania, è enormemente diversa dalla nostra. I tedeschi spendono il 14% delle risorse destinate alla salute per la salute mentale, mentre noi siamo ormai ridotti al 3%. Non solo, i tedeschi hanno 30.000 posti letto dedicati agli autori di reato che sono seguiti da delle Unità Forensi che se ne prendono carico sui territori fino a che la persona è considerata pericolosa. Non sto parlando in favore del sistema tedesco, sto dicendo però che questo ha una sua coerenza interna che noi non abbiamo. Altra critica alla proposta è che è troppo radicale ed estrema e che si possono fare passi avanti anche con altri aggiustamenti. Poi si dice che penalizza i pazienti più gravi. Può darsi. Io credo che li aiuti a ritrovare invece una possibilità di migliorare.

Le conclusioni sono queste: senza una proposta con queste caratteristiche come obiettivo finale dichiarato non ha senso che ci occupiamo del problema pensando di risolverlo con i protocolli, con i tavoli tecnici, o con la possibilità di confronto interistituzionale. Non è così che si risolverà il problema perché bisogna costruire un sistema che abbia la massima coincidenza tra interesse e dovere e, in mancanza di questo, il fatto che noi ci parliamo e ci mettiamo d’accordo quando la delega è già attribuita ai dipartimenti di salute mentale non ci porterà da nessuna parte. Le risorse sono certamente importanti e noi possiamo fare qualcosa nel frattempo: aumentare fino ad un livello accettabile le risorse dedicate al sistema salute mentale, possiamo costituire le unità forensi nei DSM, possiamo attribuire budget di salute specifici alle persone autori di reato, possiamo parlare di indennità contrattuali specifiche perché i nostri colleghi non abbandonino il sistema pubblico, possiamo garantire la presenza delle forze dell’ordine negli ospedali per le questioni di sicurezza degli operatori, possiamo pensare a dei letti dedicati di paraintensiva nei nostri DEA e naturalmente tutto questo comporta una serie di interventi e di risorse.

Voglio chiudere con questa frase: quando una nave affonda si mettono prima in salvo le donne ed i bambini e si pensa a volte che questo riguardi l’etica dell’avere maggiore attenzione verso le persone più fragili, ma non è vero. Questo imperativo riguarda piuttosto la tensione verso la sopravvivenza della specie che è ovviamente più garantita salvando le donne e i bambini. Quindi la salvaguardia del futuro. Ed è questo di cui ci dobbiamo occupare oggi altrimenti il sistema non terrà. Grazie per l’attenzione.