1.

Il Forum ha affrontato in Assemblea aperta il tema dell’autore di reato che abbia compiuto un delitto in condizioni di sofferenza mentale. Problemi secolari, a livello teorico di modelli normativi  e di pratiche, circondano il trattamento dell’infermo di mente autore di reato. La discussione dell’Assemblea è stata impostata a partire da due proposte. Una è quella coniata più di un decennio fa da un gruppo di intellettuali e operatori, ora propugnata da Franco Corleone e Pietro Pellegrini nonché fatta propria dalla Società della Ragione. Essa si prefigge di abrogare il muro della non imputabilità. Queste idee di riforma si sono condensate in un disegno di legge a firma, tra gli altri, del deputato Riccardo Magi e si pongono in continuità con una lunga storia che ha visti impegnati i movimenti per l’umanizzazione delle pene nel nostro Paese, non pochi studiosi di diritto e procedura penale, in costante alleanza con gli attori del cambiamento in salute mentale. Dal punto di vista ideologico – si vorrebbe dire filosofico – la prospettiva è quella di parificare la condizione dell’infermo di mente che delinque a quella di qualunque individuo che commette un reato. In sostanza in ogni caso chiunque compie un reato dovrebbe comunque risponderne in termini di responsabilità penale. Il disturbo psichico non è mai la causa effettiva e unica del delitto compiuto e tantomeno preclude al reo di comprendere le conseguenze del fatto illecito. Si vuole affermare l’idea di un diritto all’esecuzione penale in condizioni di parità. Ciò implica che l’infermità di mente non determini il confinamento in un circuito speciale: quello delle misure di sicurezza. Esso, lungo l’arco della storia repubblicana, ha dato esiti fallimentari sul piano della riabilitazione e, salvo eccezioni, non ha assicurato condizioni di vita dignitose a chi veniva recluso negli ospedali psichiatrici giudiziari e nelle case di cura e custodia. 

Nel corso del dibattito svoltosi in seno all’Assemblea del Forum si è confermato, tuttavia, che questa prospettiva di riforma presenta un effetto di sistema difficile da governare. Infatti, accogliere l’idea che scompaia la categoria dell’infermo di mente non imputabile, implica poi delineare una specifica soluzione in sede di esecuzione della pena. Non vi è bisogno di rammentare l’insegnamento basagliano secondo cui curare in cattività è comunque impossibile oltre che inutile. 

Non a caso, la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 99 del 2019 ha aperto alla possibilità di accedere alla detenzione domiciliare in ragione della condizione di sofferenza psichica, oltreché fisica, che affligga la persona che stia scontando la pena carceraria. Un passo in avanti di civiltà giuridica. In generale, l’ipotetica abolizione della non imputabilità ripropone l’esigenza di un trattamento mirato che sia effettivamente terapeutico e riabilitativo. Se dunque si approvasse una riforma secondo cui ognuno è sempre e comunque imputabile per il reato commesso (abolizione cosidetto doppio binario, imputabili non imputabili) si sposterebbe a valle il tema di garantire un’adeguata risposta alle persone che hanno consumato un delitto e ai loro bisogni di salute mentale. In questo scenario, per affidarsi a una nomenclatura non felice, ai rei – folli si aggiungerebbero i folli – rei. Il vero fulcro del rapporto tra salute mentale ed esecuzione penale torna sempre a riverberarsi sulle strutture che fanno capo ai Dipartimenti di salute mentale sul territorio. 

2.

A questo proposito, nel corso del dibattito in assemblea del Forum è stata esposta una seconda ipotesi di riforma normativa, in apparenza dai tratti omogenei rispetto alla prima e anch’essa abolizionista del concetto di non imputabilità. Secondo il disegno dello psichiatra Giancarlo Castagnoli e di altri colleghi raccolti sotto il coordinamento degli psichiatri toscani, muovendo dall’abrogazione degli artt. 88 e 89 del codice penale (che prevedono la non imputabilità e il vizio parziale di mente), si vorrebbe riconsiderare il disturbo mentale quale possibile circostanza attenuante o di modulazione della pena. Secondo i proponenti, a seguito della prospettata riforma nell’ambito dei servizi territoriali nascerebbe un’area trattamentale di misure giudiziarie detentive. Tali misure detentive troverebbero attuazione in carcere – in ipotesi rilanciando la funzione terapeutica al suo interno – e nelle REMS. Nelle more dell’adozione di questa proposta, i loro sostenitori auspicano una serie di soluzioni temporanee, tra cui vale citare la presenza di forze dell’ordine nei presidi ospedalieri e l’istituzione di aree para-intensive nei servizi di pronto soccorso per i pazienti in agitazione psico-motoria. Il principale scopo di questa ipotesi sarebbe quello di ridefinire il nodo tra servizi di salute mentale e sicurezza collettiva, scongiurando, a loro modo di vedere, la devoluzione di funzioni custodiali ai servizi sul territorio. 

La proposta comunque delinea un tipo di autore di reato infermo di mente, a cui peraltro verrebbero dedicate istituzioni tutte speciali: si immagina, infatti, l’istituzione di “REMS detentive e non detentive” proprio e solo per questo tipo di utenti, come pure si prospetta l’ipotesi di specifici budget di salute per i “pazienti psichiatrici giudiziari”.

3.

In esito al dibattito svolto, il Forum conferma la posizione storica che ne ha contraddistinto la collocazione sul trattamento della persona che ha commesso reato in condizioni di infermità mentale. Condividendo la prospettiva di massima di abrogare gli artt. 88 e 89 del codice penale, le soluzioni efficaci, a legislazione vigente, sono da ricercare nelle virtuose pratiche sviluppate all’indomani l. n. 81 del 2014. Pertanto:

  1. il ricorso alla misura di sicurezza detentiva nelle REMS per il non imputabile deve costituire una soluzione trattamentale di breve periodo e comunque eccezionale;
  2. per consentire che la soluzione sia per la maggioranza dei casi riposta nella misura di sicurezza a carattere non detentivo, occorre la massima integrazione tra la magistratura giudicante e requirente e i servizi di salute mentale;
  3. resta cruciale assicurare una continuità terapeutica e preservare la presa in carico sul territorio di appartenenza della persona, così da non reciderne i legami sociali e ambientali di riferimento; 
  4. appare fondamentale, in questa logica, puntare sui progetti terapeutici individuali in grado di assicurare una prospettiva di lungo periodo nei trattamenti riabilitativi e di risocializzazione.  

Non a caso, tanto la Corte costituzionale in una recente sentenza che ha rigettato la critica di incostituzionalità sulla l. n. 81 del 2014, quanto il Consiglio Superiore della Magistratura, nel 2018, con due risoluzioni, sollecitano la piena collaborazione tra i servizi di assistenza alla salute mentale e la magistratura, potendo contare sugli Uffici per l’esecuzione penale sterna (UEPE). Questi vanno decisamente potenziati in risorse e capacità di azione. 

Dal punto di vista culturale, infine, il completamento ideale della grande riforma psichiatrica attuata con la l. 13 maggio 1978, n. 180 (legge Basaglia), consiste nell’abolizione dell’ambiguo concetto di “pericolosità sociale”. Quest’ultima direttrice di riforma sarebbe quella in grado di garantire la rottura del nodo che ancora lega la missione dei servizi di salute mentale a indebiti e impropri compiti di tutela dell’ordine pubblico. 

In fondo , già Franco Rotelli tra i fondatori del Forum, in un breve intervento, Sul doppio binario “il treno all’incontrario va”,al IX convegno nazionale (2021) dell’ Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale aveva affermato: 

“…In sede di trattamento essere riconosciuti, se è il caso, come persone portatrici di un grave stato di malessere mentale e quindi come tali trattati e come tali immessi in percorsi alternativi alla detenzione, in percorsi di cura, di sostegno con programmi di trattamento e riabilitativi disegnati sulla particolare storia di quella persona. Quei percorsi che le perizie psichiatriche dovrebbero indicare. Non dovendo più indicare, le perizie psichiatriche, risposte a domande a cui lo psichiatra non è in grado di rispondere. Cioè se la persona è o era pericolosa se la persona è o era incapace. Sono domande prive di risposte scientificamente fondate”.

Forum Salute Mentale, febbraio 2024