di Riccardo Spataro, Forum Salute Mentale della Versilia
Cerchiamo di ricostruire il percorso riabilitativo delle due amiche nella narrazione di questo film che a noi sembra notevole.
Rimaniamo convinti che sia stato lui Marco Cavallo, il nostro caro Marco Cavallo, in gran segreto, quando non ci vedeva nessuno, a darci la “forza” per “fuggire” dal “piccolo recinto” della residenza Villa Biondi. Nel più assoluto segreto, di comune accordo, noi pazienti ci siamo riaffacciati alla vita. Certo, “prima” non sono state tutte rose e fiori perché vivere, per i cosiddetti normali, è una reminiscenza, ma se la memoria è stata offesa la vita rimane una vita offesa.
Anzi non c’è vita: si “vive” l’offesa.
Se il mondo che ci circonda è diverso da quell’offesa, anzi da quel trauma, i diversi parametri del vivere fanno come respirare un qualcosa di diverso dalla valle del nostro esistere: non è poi così vero che la vita è esclusivamente vivere quel dolore.
Siamo all’alba della coscienza, non della vita, ma del nostro dolore, del nostro trauma, della nostra fragilità. Arrivare alla coscienza del proprio dolore attraverso la vera amicizia, un modello di vita altra, vuol dire percepire, intuire e infine comprendere con l’infinita potenza delle nostre energie nervose, che quella che chiamiamo follia è in realtà una repressione psicologica, più grave se si verifica nella prima infanzia.
Ora eccoci qua a baciare e abbracciare Marco Cavallo (questo però nel film non c’è).
La strada da percorrere rimane ancora lunga (non a caso le due pazienti ritornano,anche se meno fragili, nel loro ospitale recinto). Lunga perché anni ed anni, decenni e decenni, di “vivere il dolore” rimangono comunque un modello di vita vissuta non cosciente, come ibernata; non positivo perché non autonomo; negativo perché follia vuol dire anche voler essere liberi dentro il dolore; fuori moda perché questo linguaggio della follia per secoli e secoli è stato ed è disprezzato.
Dopo la visione di questa opera d’arte, più di prima, tutti dovremo dire con più forza e determinazione che niente è più umano della follia.
Che dire di più? A noi piace l’utopia perché è la realizzazione della parte migliore di ogni uomo quindi se mai esisterà il “senno di poi” di chiunque abbia conosciuto la follia allora potremo dire che alla fine quel trauma ci ha fatto “perdere tempo” in previsione del rientro dentro le regole della vita civile.
Intendiamoci, Marco Cavallo che nel frattempo si è allontanato, in lontananza urla a squarciagola : AUGURISSIMI !!!