Mercoledì e giovedì scorso sono stato a Napoli, chiamato dagli amici dell’Airsam, di Pd (che dagli anni ’70 vuol dire Psichiatria Democratica) e del Consorzio Gesco, roccaforte di Legacoopsociali campana, per dire quattro parole in un convegno sulla Salute Mentale.
Un viaggio “toccata e fuga”, ma allietato dal fatto che mi sono letto un libro intero a/r sul treno. Le uniche soste assurde, come al solito, le ho fatte a Mestre – snodo di quel Nordest dove mezzo secolo fa si invocavano le provvidenze della Cassa del Mezzogiorno, e fra un po’ torneremo a farlo – mentre come al solito la moderna stazione dell’antica capitale borbonica si merita l’eredità dei primi treni che solcarono la Penisola.
L’amico Fedele, psichiatra tra i promotori dell’evento, nell’accompagnarmi nella calda serata partenopea mi faceva notare come, dopo l’elezione di De Magistris a sindaco, si potessero vedere perfino le volanti della polizia fermare e multare qualche automobilista indisciplinato.
Ma la curiosità, quella vera, era per i mucchi di immondizie, quelli che si continuano a vedere in televisione. Quasi nessuna traccia. Venerdì, per spiegarne l’entità ai colleghi di Legacoop riuniti in assemblea a Trieste, facevo l’esempio della non esatta igiene ausburgica delle strade interne del porto adriatico. Certo, meglio della Roma veltroniana ed alemanna, da sempre disordinata e lurida oltre ogni dire. Nella notte il caldo mi ha fatto passare qualche tempo ad osservare in diretta il servizio di raccolta rifiuti. Nel viale per Capodimonte, a pochi passi dal ponte che sorvola il quartiere di Sanità, la raccolta avveniva addirittura già con elementi di differenziata: i mucchi di cartoni abbandonati fuori dei bidoni vuoti alle prime ore del nuovo giorno, all’alba erano tutti rigorosamente spariti.
Chissà se per farmi uno scherzo (anche se giurano di no), i colleghi di Gesco mi hanno fatto dormire in uno splendido villino ottocentesco, proprietà di due insegnanti di educazione artistica in pensione. Abbiamo finito per argomentare sul fatto se siano più ottusi i leghisti varesotti (dove loro avevano lavorato a lungo) o quelli veneto-friulani, ma non siamo riusciti a giungere ad una conclusione unanime: la materia era troppo influenzata da crisi di ribrezzo. Ma fuori, su una stele (che il padrone di casa vorrebbe presto restaurare – e mica è cosa sua: è un monumento pubblico, ed è per quello ci tiene!), l’antico motto umbertino mi ammoniva: “A Pordenone si fa festa ed a Napoli si muore: vado a Napoli”. Quando si dice la coincidenza.
L’indomani, il convegno viene inaugurato da un puntualissimo sindaco. De Magistris riesce a farti sentire sensazioni strane: come quando, all’incipit, afferma che la Salute Mentale non è un problema specialistico, ma generale, e che tutti prima o poi, compreso il sindaco di Napoli, hanno momenti di disperazione. Per cui la pazzia finisce per essere uno dei pochi criteri cui ispirarsi, come hanno fatto lui e gli altri che hanno sconfitto un intero sistema politico e liberato la loro città. Come fanno i valsusini che difendono la loro valle (lo ha detto lui, non io, ma modestamente mi associo). Lo spirito delle assemblee basagliane non avrebbe potuto aleggiare più vicino.
Il resto della giornata è solo la prova generale di un movimento che per lunghi mesi, dalla fine del 2010, ha posto sotto denuncia le politiche di distruzione del Welfare italiano. Che a Napoli hanno portato a chiudere strutture di cooperative sociali, per trasferire gli utenti – a costi lievitati a livelli astronomici – nelle cliniche private. I centri diurni chiusi hanno lasciato gli utenti a casa, soggetti al moltiplicarsi dei ricoveri ed alla disperazione delle famiglie. L’inserimento lavorativo diventa inavvicinabile, in una città angustiata dalla disoccupazione di massa, dove i cooperatori sociali attendono la paga da molti mesi, a causa delle irresponsabilità istituzionali.
Intanto le esperienze positive stanno lì, a dimostrare che “un altro mondo è possibile”. Come il gruppo appartamento gestito quasi a costo zero, le cui tre utenti intervengono in assemblea con lucidità. Come gli operatori pubblici che non si rassegnano a diventare somministratori di farmaci e ricette per i ricoveri nei nuovi manicomi. Come i cooperatori che costituiscono i principali presidi sociali in quartieri come Secondigliano, dove c’è l’Aquilone, la più grande delle cooperative di Gesco. Ed i ragazzi dei centri estivi che per primi, con gli operatori, sono scesi nelle piazze cittadine per iniziare la raccolta differenziata.
All’assessorato ai servizi sociali del Comune ora non c’è più l’esponente di Sel che aveva assistito inerte all’accumularsi di 3 anni di ritardi nei pagamenti alle cooperative sociali. Abbracciato e baciato che neanche la Madonna, ora c’è Sergio D’Angelo, l’ex presidente di Gesco ed ex vicepresidente di Legacoopsociali nazionale. Il tempo è poco ma l’impegno è solenne: tornare giù appena possibile, per un viaggio di studio su come “la cooperazione si fa Stato” nelle condizioni più difficili. In fondo il mio primo lavoro sociale l’ho appreso nell’Irpinia del dopo-terremoto, quando le compagne del “manifesto” locale mi dicevano che era “come faceva S. Luigi Gonzaga” (ed infatti…), ed io argomentavo che l’assistenza domiciliare era invece un pezzo dello Stato sociale europeo.
Gigi Bettoli, Legacoopsociali Fvg