L’arrivo del Cavallo Marco nel carcere di Pesaro (28 novembre 2011)
di Junior, detenuto sudamericano
E’ il simbolo della chiusura del Manicomio di Trieste, dove internati, dottori ed infermieri volevano manifestare le loro disagiate condizioni di lavoro e l’assoluta mancanza di prospettive.
Sono arrivati i ragazzi della Scuola Galilei, classe IIIB. Il cavallo è stato portato dai ragazzi vicino all’area verde del carcere ed insieme a loro anche altre persone che formano parte della direzione del carcere: Direttrice, Ispettori, Agenti ed Educatori.
L’ambiente era bellissimo, perché avevamo tanti gioielli intorno. Era come un raggio di sole che usciva dal dolce sorriso di ognuno di questi ragazzi. Cosa quasi impossibile da vedere qui dentro.
Abbiamo insieme letto un testo che raccontava la storia di Marco Cavallo, nato come simbolo della protesta per le condizioni di vita che affrontavano gli internati e gli operatori del Manicomio di Trieste.
Leggevamo ragazzi e detenuti, a voce alta ed intorno al Cavallo, facendo un cerchio.
Dopo abbiamo fatto ingresso nella sala teatro, che si trova al primo piano all’interno della struttura. Qui abbiamo sviluppato alcuni giochi teatrali con i ragazzi.
Abbiamo dato lettura ai sogni e desideri , seduti in cerchio, al centro un cestino con il disegno di “Marco Cavallo” fatto da Said. I sogni venivano depositati nel cestino, dopo averli letti, andando a finire nella pancia del cavallo.
Il testo scritto da Mohamed, idealmente lasciato nella pancia di Marco Cavallo
Da bambino sognavo di essere un famoso calciatore. Ho il dono di giocare bene; da piccolo avevo costruito nella mia immagine (mente) di iscrivermi alla squadra della mia città, Alessandria d’Egitto, come altri coetanei miei. Ma il destino, diciamo, non era a favore. Mio padre era partito in cerca di lavoro e purtroppo si è dimenticato di me e della mia famiglia che è composta da me, mio fratello più piccolo e due sorelle una più grande e l’altra più piccola.
Con la situazione che mi trovavo in questa tenera età a quasi dieci anni mi sono trovato responsabile della mia famiglia per soddisfare il loro vivere ho trovato tanta soddisfazione almeno con loro grazie al mio lavoro hanno potuto studiare e hanno raggiunto il diploma di scuola media e le sorelle sono sposate, sempre grazie al mio lavoro.
Dopo quasi nove anni mio padre è ritornato a casa senza aver fatto dei progressi.
Allora ho continuato a lavorare poi mi ha fatto venire qua in Italia. Ero molto contento di aprire nuovi orizzonti specialmente del mondo del calcio con le promesse di mio padre che diceva di avere l’amicizia di un allenatore che mi faceva la prova della mia bravura in campo.
Invece sono arrivato qua per fare lo stesso lavoro che facevo in Egitto: il pescatore, lavorare 5 giorni a settimana senza dormire. Poco riposo, è passato qualche anno ma non è cambiato niente. Ogni giorno che passa vedo il mio sogno andare più lontano. Ho quasi 23 anni e vedo che tutto è andato in fumo, ho fatto un castello di sabbia
MOHAMED