Da Manova: Una prima nota di commento al Progetto di riorganizzazione del Dipartimento di salute mentale
di Luigi Benevelli
Il documento Progetto di riorganizzazione del Dipartimento di salute mentale di recente licenziato dalla Direzione dell’Azienda Ospedaliera di Mantova, opera un ribaltamento della psichiatria di comunità in favore di una psichiatria dell’emergenza ospedaliera e contempla il passaggio da una visione degli utenti come partner all’idea che il medico sia il tutore/conoscitore dei bisogni del paziente reso incapace d’intendere e volere dalla malattia.
Il Progetto contiene infatti la seguente affermazione:
L’utente psichiatrico ha un rapporto distorto coi propri bisogni, in quanto la malattia interferisce con un loro adeguato riconoscimento: egli non è pertanto in grado autonomamente di soddisfarli congruamente; ha scarsa consapevolezza di malattia (…).
Ciccioli forse non sa di avere in terra virgiliana dei brillanti allievi che, sulle orme della legge manicomiale del 1904, arrivano ad affermare che tutte le persone con diagnosi psichiatrica debbano essere ritenute incapaci di intendere e volere. Sulla base di tale assunto il “clinico” può e deve fare di loro e per loro ciò che più ritiene opportuno (paternalismo forte). Al solito, chi esce con tali asserzioni tende a farsi passare per un “tecnico”, uno che ragiona secondo le evidenze, attento ai fatti, lontano dalle speculazioni della “politica”.
L’assistenza psichiatrica pubblica italiana sta vivendo momenti neri (in tutti i sensi) dopo che la XII Commissione Affari Sociali ha votato la proposta dell’on. Ciccioli come testo base per la revisione della legge 180.
Per fare luce su cosa comportano le tesi dei gestori della sanità pubblica mantovana è interessante e utile andarsi a rileggere alcune critiche al testo Ciccioli rese pubbliche nel giugno scorso dalla Società italiana di psichiatria (Sip), un’associazione professionale e scientifica sempre cauta nell’esprimere giudizi, prudente nel rapporto con il potere politico-istituzionale. La Sip contesta
(il ) riferimento a un concetto generale, e generico, di malato di mente, senza tener conto del fatto che le malattie mentali sono molte, molto diverse tra loro, e che per ciascuna di esse molto diverse sono le fasi e le condizioni psicopatologiche nelle quali la persona malata può trovarsi nel tempo;
afferma
l’impossibilità di realizzare un trattamento riabilitativo, che ha come presupposto la libera adesione del paziente, in condizioni di obbligatorietà;
esprime preoccupazione circa il rischio
(…) soprattutto attraverso il generico riferimento alla tutela della salute, (…) di una eccessiva compressione dei diritti delle persone alla propria libertà in ordine alle scelte dei propri stili di vita e degli atti inerenti la sfera della salute
e
di un disinvestimento dall’obiettivo – certo faticoso – di raggiungere il consenso del paziente alle cure, che è anche uno dei presupposti per la loro piena efficacia, sia relativamente a singoli atti che al trattamento complessivo;
denuncia
l’intenzione di andare incontro ai bisogni e alle richieste dei familiari, come se questi fossero i “nemici” dei servizi e dei pazienti, desiderosi più di prendere le distanze dai propri congiunti malati che di aiutarli. Mentre l’esperienza quotidiana e ampiamente maggioritaria dei DSM è quella di famiglie certo talvolta sofferenti e affaticate, ma desiderose di aiuto per continuare a dare ai propri congiunti malati tutto l’affetto e il sostegno dei quali sono capaci.
I servizi, più che “controllare i pazienti” dovrebbero creare le condizioni e le opportunità affinché persone che hanno grandi difficoltà nella vita quotidiana nel corso dell’esistenza possano trovare la propria strada, esprimere se stesse nelle scelte che li riguardano, dalla casa al lavoro alle relazioni affettive e sociali.
Chi critica le tesi del Progetto di riorganizzazione del Dipartimento di salute mentale presentato dall’Azienda ospedaliera di Mantova è in eccellente compagnia.