Aria racconta immagini, voci e scritture venute alla vita negli anni trenta. Racconta la storia di un soggetto sociale non antropomorfo che non si costituisce in rapporto agli individui concreti, ma che classifica e raduna gli individui che so-no concretamente necessari al suo funzionamento.
Nelle immagini che scorrono non c’è vita. Stanze vuote di ogni forma di vita, ombre di luci che si portano appresso il nitido profilo delle inferriate alle finestre, corridoi che scorrono infilati uno dopo l’altro, camerate lasciate in pe-nombra, officine ancora pulite e ordinate. E ancora: gabinetti scientifici, cucine, magazzini, vialoni, orti appena piantati. Come nelle monadi di Leibniz, c’è un silenzio assordante nelle immagini di Aria.
Un vero prodigio: è come se il manicomio criminale si fosse riflesso su una la-stra non per mostrarsi, ma per ammutolire — nelle loro effimere esistenze — gli uomini in carne e ossa che radunava giorno dopo giorno per la necessità della Scienza e per le urgenze della Sicurezza.
Ciò che pulsa sotto la nuda superficie delle immagini si palesa solo indiretta-mente, attraverso una determinata sintomatologia. Per questa ragione il video dà voce alle scritture degli internati e alle diagnosi degli alienisti, con la gaia spe-ranza di poter violare il sigillo del segreto e l’astuzia della macchina.
La musica di John Cage fa sì che il brusio della follia risulti assordante quanto il silenzio che lo separa dai discorsi della ragione e della verità. In una stanza vuo-ta, a pochi passi dai sedili dell’aria.
Per informazioni:
Francesco Migliorino: migliorino@lex.unict.it