La risposta di Peppe Dell’Acqua alla lettera aperta di Cesare Bondioli
Caro Cesare,
hai fatto bene a scrivere. Ci costringi a precisare, chiarire, trovare limiti nei nostri discorsi.
Voglio dirti da subito che non condivido per niente l’enfasi che tu poni sul fatto che, in ogni caso, costi quel che costi, c’è una data di chiusura degli OPG. So bene che quanto sto per dirti è soltanto un richiamo a cose che condividi, a percorsi fatti insieme, a un orizzonte che non può che accumunarci. Le valutazioni di Psichiatria Democratica, anche a firma tua, rispecchiano o sono molto simili a quanto hanno detto e scritto tantissimi di noi. Ripeto fatto salvo quell’insistente sottolineatura che in ogni caso, il ddl, dà avvio a un processo di cambiamento. Ritengo quest’affermazione non soltanto inutile ma molto, molto fuorviante.
Il punto chiave della discussione è stabilire il senso, la sostanza, la cultura che il decreto legge sostiene: quanto si avvicina, si distanzia o fa proprio il paradigma manicomiale? Intendo quel modo di pensare e di operare che abbiamo cominciato ad abbandonare da oramai molti decenni. Mi piace ricordare il nostro cammino (critico?) cominciato 50 anni fa: novembre ’61 Basaglia entra a Gorizia … la malattia tra parentesi … la porta aperta … che cos’è la psichiatria?…. il malato e non la malattia …
Visto da questo punto di osservazione, e non riuscirei a trovarne altri, il ddl non nega, non si distanzia, non critica quel paradigma che non può che pretende l’ospedale psichiatrico, quelle parole, quelle orribili condizioni, quelle pericolosità.
Che la Commissione Marino abbia avuto, e continui ad avere, il merito della denuncia senza mezzi termini dello stato delle cose e richiama all’urgenza di un intervento radicale per cambiare è indubitabile. Di questo non possiamo che essere grati a Marino, a Saccomanno, a Bosone, a Poretti, a Cosentino e a tutti gli altri che hanno onorato il loro mandato producendo, ad avviso di tantissimi, uno degli esempi di lavoro politico più apprezzabili e ricchi di conseguenze della attuale/passata legislatura.
Altro è, e tu lo sai bene, portare in Parlamento quel Disegno di Legge. Senza essere affatto “puri e duri” né, tanto meno, ritrarsi dalla “necessità di sporcarsi le mani”, non si può non ravvisare, nei paragrafi del ddl, la riaffermazione di quei paradigmi, la riproposta (acritica) di culture e pratiche quanto mai anacronistiche e pericolose.
Bisogna essere chiari e tornare a dirci le cose in maniera elementare. Paradigma manicomiale vuol dire riconoscere l’incontestabile organicità del disturbo mentale, con tutte le conseguenze comportamentali e relazionali. Significa attribuire al medico psichiatra (il sanitario col camice bianco) il compito del trattamento; individuare i luoghi dedicati: gli istituti psichiatrici prima, le “strutture” (sempre ossessivamente presenti!) oggi; ritenere i farmaci l’unico incontestato strumento di cura (si vedano le cartelle cliniche degli OPG).
La legge 833 e quei giorni di novembre di 50 anni fa ci hanno indicato un altro modo per intendere la vicenda biologica, umana, politica ed etica delle persone con disturbo mentale. Il disturbo mentale accade in una singolare e irripetibile convergenza di fatti e fattori molteplici, diversi e diversamente presenti nel corso del tempo. Siamo certamente debitori del nostro assetto genetico e somatico e tuttavia acquista un valore prevalente quello che ci accade in termini economici, sociali, relazionali e culturali nel corso della vita. A occuparsi non di malattia mentale ma di persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale sono chiamati operatori professionali di diversi profili e operatori così detti naturali (maestri, operai, sportivi, gente ordinaria). I luoghi della cura, non più specifici e dedicati, sono i luoghi della normalità, i contesti di vita, le istituzioni sanitarie, sociali, giudiziarie che a tutti i cittadini, per un motivo o per l’altro, accade di attraversare nel corso della loro vita. Il carcere è uno di questi luoghi. Anche il carcere. E, per ultimo, i percorsi di cura, di ripresa, di guarigione oggi devono essere tutti disegnati all’interno di pluralità di strumenti che convergono soprattutto a garantire il diritto, le pari opportunità, il contratto sociale, l’inclusione. Merita qui ricordare lo slogan del WHO/OMS: “Stop exclusion! Dare to care. Che abbiamo tradotto: “contro l’esclusione, il coraggio di prendersi cura”.
Non serve, per tanto, additare come rigido, estremista, settario o altro chi esprime perplessità e critica a questo ddl. Chi non fa altro che ricordare qual è oggi lo stato dell’arte e le reali possibilità di cura e di rimonta che alle persone, tutte, bisogna oggi garantire.
Il ddl incorpora quel paradigma manicomiale e lo ripropone. Sembra non faccia caso alle conseguenze che tutti stanno vedendo e denunciando. Non si interroga sulla pesante coltre di stigma e pregiudizio che ritesse e ispessisce sul corpo e sulla vita di tutte le persone che vivono l’esperienza del disturbo mentale. Pretende di portare a conclusione la stagione delle grandi riforme basagliane come con soddisfazione affermano i componenti della Commissione. Il paradosso è che questo ddl rischia davvero di concludere, ma azzerandola, quella stagione di riforme.
Siamo consapevoli della persistenza del Codice Rocco, non potevamo pretendere che la Commissione lo emendasse con un ddl. Il Parlamento lo farà e noi vogliamo crederci. Le strade per uscire dagli OPG, fermo restante il Codice Penale, le ha individuate la Commissione stessa, Psichiatria Democratica, StopOpg, giuristi, magistrati e quanti altri, con onesta attenzione, hanno ascoltato il messaggio accorato del Presidente Napolitano.
La strada indicata è quella delle sentenze della Corte Costituzionale, del coinvolgimento delle Regioni e dei Dipartimenti, dei piani terapeutici riabilitativi individuali e, in persistenza della necessità della misura di sicurezza (come sarà fino a quando non riusciremo a liberarci degli articoli 88 e 89), di un serrato e intenso progetto terapeutico, individuale, territoriale, comunitario che consideri nella sua articolazione il mandato di protezione sociale.
Muovendo dagli OPG dobbiamo uscire dall’arcaismo di quei paradigmi. Abbiamo conoscenze, esperienze e strumenti per abbandonare le risoluzioni riduttive e mortificanti delle strutture dedicate, vigilate, dislocate, sostitutive, private, protette, familiari ….
Caro Cesare, quanto e più di me sei esperto di queste cose e sono certo stai già riflettendo su cosa sono diventati i Diagnosi e Cura con le porte blindate, le telecamere, i letti di contenzione. Stai già leggendo con preoccupazione le dichiarazioni dei Direttori delle carceri e perfino del DAP che, a più riprese, dicono: “Bene, queste strutture potranno accogliere anche, senza indugio, le problematiche relative al grave svantaggio sociale che viviamo in carcere”. Verrebbe da chiedere, a questi Direttori, se, in carcere, hanno mai avuto la ventura di incontrare il vantaggio sociale! La stessa ministra Severino, dalla quale molto ci attendiamo, ha dichiarato che queste strutture potranno essere davvero di aiuto alla tensione insopportabile che si vive in carcere per il sovraffollamento. E credo che tu abbia ancora più chiaro che se oggi i Magistrati di Sorveglianza e i Giudici di merito hanno molte remore nel decidere l’invio in OPG di folli rei e rei folli, ne avranno molte meno, o nessuna, nella prospettiva di strutture “sanitarie, camici bianchi, trattamenti, vigilanza”.
Rileggendo quanto ho scritto mi rendo conto che avrei potuto anche evitare di dirti cose che sicuramente condividi, ma parlo a te perché tanti altri intendano. Credo sia arrivato il momento di smetterla di andare a cercare, stupidamente, ciò che sembra dividerci. Sono tante e molteplici le cose che ci legano.
Credo sia arrivato il tempo di discutere, riconoscerci, lavorare insieme.
Con affetto,
Peppe Dell’Acqua
1 Comment
Ad ogni tentativo di progresso terapeutico c’è più d’uno che storce il muso e, di più, rimpiange il passato fatto di contenzione e fasce ( ancora lo spauracchio in molti SPDC dove gli infermieri le sbandierano alla stregua di un tintinnare di manette per rabbonire un essere umano disagiato). Il nostro tarlo, quello di alcuni ma non di tutti per fortuna, è la smania di potere, il dominio sul paziente, che è violenza ma è soprattutto un atteggiamento non terapeutico. Abbiamo reinserito “pericolosi criminali” dell’OPG di Barcellona Pozzo di Gotto e ci siamo chiesti perchè fossero ancora lì da anni. Ci siamo chiesti se alla Salute Mentale lasciano fare il proprio lavoro o non la riducono in strumento contenitivo della magistratura. Se a molti di noi questo ruolo piace, bhè è questo il vero problema. Se non dissentiamo non potremo cogliere il dissenso dei nostri malati che chiedono più rispetto.
Roberto Cafiso DSM Siracusa