E’ nei dettagli che il diavolo nasconde la sua coda. Il 25 gennaio, proprio alla vigilia della riunione del comitato nazionale “Stop Opg”, il Senato approva il Decreto Carceri, e con l’emendamento presentato da “Ignazio Marino e altri senatori” finalmente viene fissato un termine, marzo 2013, per applicare le leggi sulla chiusura degli attuali Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Comunque lo si giudichi, l’emendamento approvato dal Senato, se diventerà legge, purtroppo non abolirà gli Opg. Li moltiplica. Ma il lavoro condotto dal Senatore Marino non è stato inutile. Alla commissione parlamentare per l’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale e ai senatori firmatari dell’emendamento va comunque il merito di aver acceso i riflettori su una vicenda che rischiava di essere sepolta come le persone internate. Grazie anche al monito del Presidente della Repubblica, alle sanzioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e all’attenzione mediatica di importanti trasmissioni televisive d’inchiesta. Nessuno può più dire di non sapere. L’orrore, oggi è sotto gli occhi di tutti. E tutti sanno che gli Opg non sono né ospedali, né luoghi di cura. Sono luoghi di morte, privazione e sofferenza in cui le persone vengono imprigionate sulla base di una obsoleta concezione della malattia mentale.
Un’ottica di riduzione del danno parrebbe ispirare la logica politica dell’emendamento approvato, che forse, trasformerà gli Opg in qualcosa di meno orribile, con strutture meno fatiscenti, ma pur sempre luoghi di segregazione, reclusione e internamento. Il rischio è che ora al posto dei 6 Opg, nascano 20 mini Opg, privati. Magari uno in ogni regione e magari qualcuno anche in Sardegna. Non basta, infatti, cambiare il vestito agli Opg, è necessario agire su due livelli. A livello nazionale, perché il parlamento abolisca alla radice l’istituto giuridico dell’Opg e modifichi le modalità di internamento delle persone (articoli 88 e 89 del codice penale). E a livello territoriale, su quei dipartimenti di salute mentale incapaci di prendersi cura di questi cittadini e responsabili dell’invio delle persone negli Opg. Le risorse finanziarie utilizzate per segregare e torturare queste persone potrebbero essere utilizzate per offrire ad ognuno di loro un percorso di accoglienza, cura, assistenza e inclusione sociale nel proprio territorio. Proprio come rivendicato dalla campagna “Un volto, Un nome” lanciata dal comitato sardo “Stop Opg” che chiede alla Regione Sardegna, alle Asl e i Dipartimenti di Salute Mentale, di mobilitarsi per assistere e curare i nostri cittadini sardi internati. Per evitare che il loro ritorno avvenga attraverso la costruzione di “piccoli manicomi” mascherati da strutture terapeutiche.
Lo Stato deve occuparsi dei cittadini per ciò che fanno o per ciò che sono? Michel Foucault avrebbe dovuto porre questa domanda ai nostri attuali legislatori. In questi anni abbiamo assistito a una vera e propria trasformazione dello Stato di diritto, risvegliandoci in un sistema della giustizia che non giudica più i fatti ma le persone, la loro storia familiare e le loro condizioni di vita. Una giustizia che sacrifica le persone in nome della paura, del pregiudizio e dell’ignoranza. Complice anche un codice penale che è un residuo del regime fascista e che permette una scandalosa connessione tra sofferenza mentale e pericolosità sociale. Gli internati appartengono tutti a una categoria sociale: sono poveri. Sono persone a cui è stato tolto il diritto all’espiazione della pena in nome della prevenzione della loro pericolosità. Il fondamento giuridico di questa famigerata “misura di sicurezza” si basa sulla privazione della libertà a tempo indeterminato, perché non si è in grado di “intendere e di volere”. Una sanzione che assomiglia a una tortura “eterna”, immaginata per prevenire comportamenti che la persona dovrebbe attuare in un determinato futuro. Non mi interessa ciò che hai fatto, mi interessa ciò che potresti fare. Una mostruosità giuridica, perché la pericolosità sociale non ha nessuna valenza scientifica ed è un’ipotesi indimostrabile. E se fosse la nostra società ad essere socialmente pericolosa e priva di senso?
(da Il Manifesto Sardo)