(a proposito una legge molto “pericolosa”). Di Franco Rotelli.
I fatti sono noti: negli ultimi due anni, anche a seguito di una condanna espressa dal Consiglio d’Europa, la Commissione d’inchiesta del Senato sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino, ha condotto un’indagine sui 6 Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) a tuttora aperti nel nostro paese, in cui sono internate circa 1400 persone.[1] L’indagine ha documentato, svelando ai mass media e alle istituzioni tutte, la realtà inaccettabile di questi istituti: le spaventose condizioni logistiche e organizzative, i trattamenti disumani, le morti frequenti, gli abusi riguardo alla durata dell’internamento. Questa azione, altamente meritoria, della Commissione, rischia ora di trovare un esito che non può che destare profonde preoccupazioni.
Due giorni fa, il 25 gennaio, il Senato ha approvato un emendamento, incluso nel cosiddetto “Decreto svuota carceri”, in cui si indicano “disposizioni per il definitivo superamento degli Opg”. In sintesi, l’emendamento prevede che, a decorrere dal 31 marzo 2013, le misure di sicurezza del ricovero in Opg siano eseguite esclusivamente all’interno di strutture sanitarie i cui requisiti – strutturali, tecnologici e organizzativi – saranno stabiliti entro il 31 marzo 2012, da un ulteriore Decreto definito di concerto tra il Ministro della salute, il Ministro della giustizia e la Conferenza permanente Stato-Regioni. Tali strutture, destinate di norma a soggetti provenienti dal territorio regionale in cui sono ubicate, dovranno essere a esclusiva gestione sanitaria, prevedendo eventualmente, in rapporto della tipologia degli internati, un’attività perimetrale di sicurezza e vigilanza esterna.
L’emendamento approvato esplicita, doverosamente, che “le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose devono essere senza indugio dimesse e prese in carico, sul territorio, dai Dipartimenti di salute mentale”. Per la realizzazione delle strutture residenziali si prevede di stanziare un finanziamento di 120 milioni di euro per l’anno 2012, e di 60 milioni di euro per l’anno 2013. Inoltre, per concorrere alla copertura degli oneri di esercizio delle residenze psichiatriche in oggetto, si prevede la spesa di 38 milioni di euro per il 2012, e di 55 milioni di euro annui a decorrere dal 2013.
Al di là delle dichiarazioni di “definitivo superamento degli Opg” e “destinazione a strutture puramente sanitarie”, che suonano straordinariamente positive, si rilevano una serie di aporie e nodi che non vengono sciolti. Proviamo a elencarli.
1) La nuova legislazione non tocca minimamente gli articoli dei Codici – penale e di procedura penale – riferiti ai concetti di pericolosità sociale del folle reo, di incapacità e di non imputabilità, che determinano il percorso di invio agli Opg, e quindi, d’ora in poi, l’invio alle nuove “residenze psichiatriche”. Residenze non meglio qualificate, il cui numero verrà stabilito dalle Regioni (sulla base di quali criteri?), le cui caratteristiche saranno decise da un Decreto ancora da elaborare, ma le cui finalità restano integralmente quelle proprie della gestione di una misura di sicurezza detentiva.
2) È fin troppo facile prevedere la moltiplicazione di queste residenze, ciascuna delle quali doveva essere inizialmente dotata di 20 posti letto: numero poi scomparso, in sede di definitiva approvazione del Decreto in aula. Le deplorevoli condizioni dei manicomi giudiziari, la crisi molto esplicita dei concetti di “non imputabilità” e di “pericolosità sociale” nel dibattito culturale e scientifico, hanno certamente contribuito, negli ultimi anni, a una notevole cautela nell’invio dei pazienti agli Opg da parte di numerosi magistrati. L’allestimento di “nuove residenze psichiatriche”, che si potranno supporre più appropriate sotto il profilo logistico, e più assistite sotto il profilo sanitario, legittimerà le varie istanze sanitarie e giudiziarie ad abbassare la soglia di accesso ai nuovi surrogati degli Opg. E mentre è facile prevedere un notevole aumento del numero degli internamenti, nulla garantisce che l’abnorme sistema di proroghe delle misure di sicurezza, attualmente utilizzato, venga a cessare.
3) La condizione in cui versa la gran parte dei Servizi psichiatrici di Diagnosi e cura nel nostro paese, spesso a porte chiuse, con sistemi di videosorveglianza, con l’estesissimo utilizzo di mezzi di contenzione fisica per soggetti che nessun reato hanno commesso, lascia facilmente intravedere quali saranno le reali strutturazioni delle nuove residenze psichiatriche per soggetti che hanno commesso reati, considerati in sentenza “socialmente pericolosi a sé e agli altri”.
4) Rinnovare con una legge, nel 2012, la legittimità del concetto di “pericolosità sociale” collegato all’infermità mentale (concetto ormai considerato, da giuristi e psichiatri, privo di qualsiasi base scientifica ed empirica), e della nozione di “totale incapacità di intendere e di volere”, pur essa fortemente criticata da più parti negli ultimi decenni, significa assumersi la grave responsabilità di contrasto allo spirito e alla lettera della Legge 180/78, che ha abolito il nesso “malattia mentale – pericolosità sociale”, sostenendo con forza la responsabilità e i diritti di ogni cittadino, tra cui il diritto di ciascuno di essere giudicato e – se reo – condannato.
5) La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, riconsegna agli psichiatri la responsabilità della custodia, ricostruendo in concreto il nesso cura-custodia, e quindi responsabilità penale del curante-custode.
6) Si continua a non stabilire garanzia alcuna per l’internato, a differenza del regime carcerario, in cui quanto meno una serie di garanzie per i detenuti – in primis la certezza di fine pena – esistono in misura molto articolata. In altre parole, si rifondano nel 2012 misure specifiche per i “folli rei”: da un lato si ribadisce un nesso inaccettabile, riproponendo uno stigma di carattere generale; dall’altro ci si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi.
7) Infine si osserva, marginalmente, l’inconsistenza dell’ipotesi di spesa, nel corso del 2012, di 120 milioni di euro per la creazione di nuove strutture. Neppure con procedure di straordinaria emergenza, tempi di questo genere sono plausibili per il nostro paese; è quindi evidente che si assisterà a una proliferazione di offerta da parte di strutture private, pronte o rapidamente allertate ai fini previsti dalla Legge. Sarà allora meglio destinare quei 120 milioni a più utili fini, a favore dei Dipartimenti di salute mentale perché attivino e migliorino servizi e opportunità per tutte le persone di quel territorio che necessitano di cure, comprese quelle che proverranno dagli Opg o per le quali si mettono in atto programmi per l’esecuzione della misura di sicurezza detentiva. A questo proposito la non modifica dei Codici, là dove prevedono la misura di sicurezza in Opg, solleverà non pochi problemi interpretativi.
In definitiva, il nostro giudizio sull’affrettato dispositivo legislativo resta di grande allarme. Al di là delle buone intenzioni del legislatore, l’emendamento votato in Senato configura un attacco formidabile alla Legge 180, con il rischio di una prosecuzione sine die – e in dimensioni non prevedibili – dell’istituto della misura di sicurezza. Istituto introdotto nella nostra legislazione in piena epoca fascista, e della cui persistenza nei nostri Codici non si sente assolutamente il bisogno.
Proponiamo quindi, come ancora più impellente, una modifica legislativa che aggredendo il nocciolo delle questioni (Art. 88 del Codice penale, codice Rocco e tutta la legislazione collegata), abroghi definitivamente e davvero il manicomio giudiziario, abrogando le leggi che ne determinano, sotto qualsiasi nuova veste, la persistenza in vita. Si tratta di smontare i concetti di “pericolosità” e di “non imputabilità”, il doppio binario delle misure di sicurezza, restituendo al generale ordinamento penale le persone con disturbo mentale. Di fronte alla giustizia non deve più esistere il “folle reo”, ma solo un reo che, se infermo di mente, incontrerà misure alternative in sede di esecuzione della pena: misure già ampiamente previste dalla legislazione vigente di fronte a diverse infermità, e forse da ulteriormente precisare nella fattispecie dell’infermità mentale. [2]
Resta l’auspicio che la Camera dei deputati possa intervenire a modificare il testo del Senato, evitando la riproposizione di strutture deputate al mero scopo di custodire i “folli rei”, valorizzando invece i servizi dei Dipartimenti di salute mentale, che potrebbero e dovrebbero essere potenziati anche al fine di prendere in carico le persone attualmente inviate in Opg.
In quest’ottica proponiamo che, se la Camera dei deputati dovesse invece approvare il testo già passato al Senato, il Ministero della sanità venga almeno impegnato dal Parlamento a erogare immediatamente alle Regioni i finanziamenti, previsti per l’esercizio dell’attività, di 38 milioni per il 2012 e di 55 milioni per il 2013, allo scopo di finanziare progetti terapeutico-riabilitativi individualizzati (PTRI)[3] a favore degli attuali internati negli Opg. Utilizzando questi budget individualizzati di cura, i Dipartimenti di salute mentale di origine potranno (dovranno) prendere in carico, attraverso le strutture e i servizi già oggi presenti e disponibili, i soggetti da dimettere dagli Opg, stabilendo criteri, vincoli e tempistiche certe, di concerto con le Regioni.
Questi due provvedimenti – uno legislativo, di abrogazione, e uno amministrativo, di allocazione di risorse finalizzate, personalizzate attraverso il budget di cura – già costituivano la strada maestra da seguire. Si è invece scelto un pericoloso ibrido che, qualora confermato, richiederà di vigilare a ogni livello per ridurre il numero delle nuove strutture istituite, le loro caratteristiche custodialistiche, l’abuso del loro utilizzo.
Continuiamo a sperare di meglio dal Parlamento.
Trieste, 27 gennaio 2012
Sottoscrivono il testo: Giovanna Gallio, Peppe Dell’Acqua, Giovanna Del Giudice, Luciano Carrino, Mario Novello, Ota de Leonardis, Giorgio Bignami, Ernesto Venturini, Alberta Basaglia, Silvia Jop, Angelo Righetti, Chiara Strutti, Carmen Roll, Diana Mauri, Carlo F. Rotelli, Iris Caffelli, Elisa Roson, Roberto Mezzina, Giovanni Rossi, Giacomo Conversa, Mariagrazia Cogliati, Lello Ferrara, Anna Gioia Trasacco, Franco Perazza,
[1] Cfr. “Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari”,
Relatori sen. Michele Saccomanno e sen. Daniele Bosone, approvata dalla Commissione nella seduta del 20 luglio 2011 (http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/612130.pdf)
[2] Nessuno ha mai immaginato di costituire strutture deputate ai “diabetici rei”, o ai “cardiopatici rei”. L’essenza del problema di cui stiamo parlando deriva dalla persistenza di un pregiudizio ideologico, del tutto infondato, che collega l’infermità mentale alla probabilità più elevata di commissione di reati, quindi di pericolosità, quindi di rapporti di causa-effetto tra malattia mentale e reato. Se può essere vero che la malattia mentale può in certi casi ridurre la capacità di discernere e/o di volere delle persone, quel che rileva è che, dovendo lo Stato giudicare i fatti e non le persone, il numero di reati commessi da persone inferme di mente è bassissimo rispetto al numero di reati compiuti in generale, e rispetto all’elevato numero di persone affette da malattia mentale (1% secondo i dati dell’OMS, e quindi circa 600.000 in Italia). Ne deriva il non senso del nesso “folle-reo”, e di tutte le misure che su questo binomio del tutto ideologico si fondano.
[3] Il progetto terapeutico/riabilitativo personalizzato (PTRI), sostenuto da risorse economiche dedicate (budget di salute), è lo strumento fondamentale per affermare la centralità della persona e dei suoi bisogni e per garantire la continuità delle cure. Attraverso la metodologia PTRI si attivano procedure e risorse per l’identificazione delle azioni congiunte, dei costi presunti e degli obiettivi, in un’ottica di forte personalizzazione degli interventi, che necessitano di un monitoraggio delle risorse in campo e di una ottimizzazione qualitativa degli interventi in atto. Il PTRI è uno strumento che promuove percorsi abilitativi/riabilitativi individualizzati per persone che richiedono prestazioni socio-sanitarie a elevata integrazione sanitaria. L’obiettivo è centrare la rete dei servizi socio-sanitari, coordinati dal Dsm, sul benessere e sulla qualità della vita delle persone e su interventi e azioni d’intensità variabile in ragione dei bisogni della persona e del contesto.