Nei sei Opg italiani sono internate circa 1.400 persone. Il 40%, non socialmente pericoloso, è detenuto illegalmente e potrebbe essere preso in cura dai servizi sociosanitari territoriali L’annuncio è di quelli che fanno ben sperare. Gli ospedali psichiatrici giudiziari potrebbero chiudere entro il 31 marzo 2013.
Questo stabilisce un emendamento, approvato all’unanimità in Commissione Giustizia al Senato, al disegno di legge del governo sulle carceri. Potrebbe divenire più concreta, quindi, se in aula si confermerà il testo, la possibilità di chiudere e superare quelli che una volta si chiamavano manicomi giudiziari.
Ad oggi nei sei Opg (Aversa, Barcellona P.G., Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Napoli, Reggio Emilia) sono presenti circa 1.400 internati. Sofferenti psichici, autori di un reato, sottoposti ad una misura di sicurezza detentiva che può essere prorogata. Il meccanismo della proroga fa sì che centinaia di persone, per le quali non vi è più alcuna condizione di pericolosità sociale, siano ancora internate. Secondo i dati della Commissione Marino almeno il 40% degli internati potrebbe trovare la libertà se fosse preso in carico dai servizi sociosanitari. Una condizione che va sommata allo stato di estremo degrado e abbandono di queste strutture, gironi danteschi di un inferno a lungo dimenticato (ma non da il manifesto).
È stato indispensabile che fosse reso pubblico, nel 2010, il rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della Tortura sulla visita all’Opg di Aversa. Il rapporto denunciava le condizioni inumane e degradanti degli internati, in completo abbandono medico e sociale, l’uso della contenzione fisica, una lunga serie di morti. Ciò ha consentito si mettesse in moto il processo che ora sembra riuscire a portare alla chiusura di questi luoghi. La Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficienza del sistema sanitario, presieduta da Ignazio Marino, ha ispezionato, a seguito del rapporto, (in compagnia dei carabinieri dei Nas), tutti gli Opg e ha riscontrato quasi ovunque condizioni vergognose e insufficienti a garantire cura e assistenza.
Addirittura alcuni reparti di Barcellona e Montelupo sono stati posti sotto sequestro, per via delle loro stato di fatiscenza. La Commissione ha realizzato un filmato delle visite effettuate che non lascia spazio a dubbi sulla inumanità di queste ultime istituzioni totali. Lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, prendendo atto di questo lavoro, li ha definiti “un orrore medioevale”.
Bisogna ora dare concretezza alla prospettiva di chiusura. Non è semplice. Innanzitutto, perché è probabile che il governo chieda tempi più lunghi. Poi si pone il quesito di come sostituirli. Perché è alto, fanno notare da più parti, il rischio di riprodurre manicomi civili, magari in piccolo, o di prendere come modello per il futuro l’Opg di Castiglione. Inoltre, non sono previste modifiche al codice penale e al sistema di proroga delle misure di sicurezza.
Ignazio Marino è più ottimista. Le strutture sanitarie sostitutive, assicura, saranno conformi agli standard per le strutture residenziali di tipo psichiatrico e parla di “piccoli nuclei assistenziali (massimo 20 posti), ubicati all’interno della regione di appartenenza del malato” con il compito di garantire il reinserimento sociale una volta finita la pericolosità sociale. Certo è difficile garantire standard uniformi, se la materia sanitaria è di competenza delle Regioni e se l’intero sistema di tutela della salute mentale funziona a macchia di leopardo. Ma certo ben venga un termine, anche se non risolutivo di per sé. Perché bisogna non solo chiudere gli Opg, ma anche riuscire a scardinare il dispositivo di internamento psichiatrico. Non è facile, ma almeno oggi non sembra più impossibile.
Il modello da evitare: Castiglione delle Stiviere
L’Opg di Castiglione delle Stiviere (Mn) ha da sempre rappresentato una “eccezione” nel sistema dei manicomi giudiziari. Dal 1939, in virtù di una convenzione, stipulata dal Ministero della Giustizia, è gestito direttamente dall’Azienda sanitaria di Mantova. La riforma del 2008, che ha sancito il trasferimento delle funzioni della sanità penitenziaria alle Regioni, non ha inciso quindi sugli assetti di questo istituto, che aveva già una unica direzione sanitaria. Nell’istituto non vi sono agenti di polizia penitenziaria, ma solo personale medico. Sono presenti circa 240 internati.
Qui vi è l’unica sezione femminile d’Italia, dove sono ristrette circa 90 donne. Le risorse economiche destinate a Castiglione sono state circa il triplo di quelle impegnate per il funzionamento di un Opg “normale”. La gestione dell’istituto costa circa 13 milioni di euro. Questo ha determinato la disponibilità di un numero molto più alto di personale medico e infermieristico rispetto alle altre strutture.
Se a Reggio Emilia ad esempio erano presenti 14 unità di personale medico di ruolo, a Castiglione il numero di unità era oltre 170. Ciò nonostante in questa struttura si fa ugualmente ricorso alla contenzione fisica (un internato su cinque in base agli ultimi dati disponibili), non si realizza un numero di dimissioni particolarmente significativo, e anche qui si sono verificati episodi di suicidi e di autolesionismo. Nell’aprile del 2011 qui si è tolta la vita Adriana Ambrosini, appena 24 anni, e con ancora un anno da scontare. Perché sempre di manicomio si tratta e, come ricorda Luigi Benevelli (Stop Opg) il fatto che non ci siano agenti “vuol solo dire che le funzioni di custodia sono svolte dal personale sanitario”. Come nei manicomi civili prima della legge Basaglia
(da Il Manifesto)