marco cavallo a zanettiLa lettera a firma  Marco Cavallo, via San Cilino 16, indirizzata all’allora Presidente della Provincia di Trieste Michele Zanetti, è stata trovata negli archivi della Provincia di Trieste per il progetto «Amministrare il cambiamento», ricerca documentaria promossa dalla Provincia e affidata alla gestione della Fondazione Basaglia con il dipartimento di salute mentale della città e l’Università.

L’idea di scrivere la lettera per salvare dal sicuro macello il ronzino che tirava il carro della biancheria dentro l’OPP di Trieste, nacque tra i pazienti del laboratorio di scrittura di Blip Blip, quotidiano ciclostilato il cui nome derivava dal suono dei primi cerca-persona dei medici. La lettera andò a buon fine. Il 30 ottobre la Giunta delibera la vendita, con trattativa privata, del cavallo, salvandolo dal banco della carne e concedendogli di vivere gli ultimi anni in una fattoria di Udine, acquistato dal farmacista Tullio Cohen.

“Trieste, 12 giugno 1972

Ill.mo Signore

Dott. Michele ZANETTI

Presidente della Provincia di Trieste

Il mio nome è MARCO, di professione “cavallo da tiro tuttofare”. Devo compire ancora i 18 anni e, pertanto, non mi sento affatto vecchio. Gli zoologi ritengono che io possa lavorare proficuamente almeno ancora per una dozzina d’anni.

E’ con profonda costernazione perciò, che apprendo che la Giunta Provinciale da Lei presieduta ha deciso la vendita della mia povera carcassa al miglior offerente (Del.169 dd.4.2.72).

Devo senz’altro ammettere che l’animale meccanico chiamato a sostituirmi, fornirà prestazioni indubbiamente superiori alle mie. La prego rispettosamente però, di voler esaminare serenamente e con tutta obbiettività il mio “curriculum”.

Presto onorato servizio alle dipendenze dell’ Amministrazione Provinciale dal 1959 (oltre 13 anni). Il mio lavoro, consistente nel trasporto di biancheria, rifiuti cucina e quanto altro richiestomi, è stato da me svolto sempre con massimo zelo, tutti i giorni, sia con il gelo e sia sotto il solleone.

Mi auguro che Lei si renda conto delle conseguenze, per me purtroppo ferali, che detta vendita comporta.

Ho ricevuto, infatti, già diverse visite da parte di gente che odorava fortemente di mattatoio, palpeggiandomi a dovere. Al proposito, mi permetto suggerirLe di recarsi ad un qualsiasi macello ed assistere all’uccisione di un mio simile. Ciò potrebbe risultarLe oltremodo istruttivo.

Ma ormai mi rimangono soltanto due alternative di vita:

La prima, forse troppo ottimistica, sarebbe che questa mia possa toccare veramente il Suo cuore e mi consenta di sopravvivere, rimanendo nel mio attuale alloggio, e sempre, ove fosse necessario, a completa disposizione dei servizi ospedalieri. (Anche un motocarro si può guastare). In sostanza, mi permetto rispettosamente chiederLe un meritato pensionamento, pur anche senza trattamento di quiescenza. Infatti mi impegno formalmente a provvedere al mio mantenimento, senza intaccare minimamente i fondi del bilancio provinciale. Per inciso, la spesa ammonta a circa 100 mila lire annue. In compenso (mi perdoni la trivialità), cerco di contraccambiare con un notevole quantitativo di letame, tanto necessario per il vastissimo terreno ospedaliero.

Seconda, e definitiva alternativa per la mia salvezza, sarebbe quella di poter essere acquistato dai miei numerosi AMICI, amici veri, leali e generosi che, oltre al valore intrinseco delle mie povere carni (il corrispettivo verrebbe in ogni caso versato immediatamente alla Cassa economale dell’OPP), sarebbero ben felici di adottarmi affettuosamente ed a provvedere “vita natural durante” al mio sostentamento.

La imploro, ancora una volta, di voler aprire il Suo generoso cuore al mio angoscioso dilemma, anche perchè, a quanto mi risulta, Lei è democratico – cristiano e Uomo pieno di sensibilità.

Se Lei saprà essere misericordioso con me – infelice animale – godrà di tutta la gratitudine possibile, sia da parte mia che dai miei fedelissimi AMICI, gioiosi, in questo caso, di accollarsi l’onere finanziario della mia disperata causa.

Con ossequi e ancora … P I E T A’ !!!

Marco Cavallo, via San Cilino,16 – Trieste”

Quando l’attore Giuliano Scabia arriva a Trieste, gennaio del 1973, invitato con altri artisti da Basaglia per tenere laboratori di pittura e burattini, il cavallo già non c’è più. «E però i matti ci raccontavano delle storie su questo cavallo. Poi un giorno Angelina, una paziente stava disegnando un cavallo – ricorda Scabia – e nella pancia ci voleva mettere delle cose. Noi volevamo costruire una grande cosa di cartapesta, e fu fatto un cavallo». Non ci volle molto poi a battezzarlo Marco Cavallo. Il gigante di cartapesta modellato dall’altro Basaglia (Vittorio, pittore e cugino d i Franco) e macchina teatrale diretta da Scabia esce dal manicomio il 25 febbraio del 1973, dopo una lunga notte di discussione sull’opportunità o meno di farlo, sfondando la recinzione dell’ospedale – era troppo alto – e accompagnato da centinaia di matti fa il giro della città. Come scrive Bruno, un paziente, sul giornale murale dell’ospedale, Marco «vuole divertirsi a correre». Da allora non ha mai smesso, invitato in tutto il mondo, come testimonianza e simbolo di quella che Peppe Dell’Acqua chiama «la libertà riconquistata».

La lettera originale

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