Mi chiamo Gianluca e ho già scritto a molte istituzioni riguardo la mia passata esperienza con la sanità versiliese, in provincia di Lucca.
Con queste righe, desidero comunicare la situazione dei servizi di salute mentale e di come, in generale, sono gestiti.
Preciso che quanto segnalo è un’opinione dello scrivente quale paziente – nel caso di specie – su cui si può sindacalizzare a livello medico, ma i fatti esposti riguardano l’interesse di tutti i cittadini italiani che, in quanto tali, godono di diritti e vengono tutelati da normative.
Ci sono 3 aspetti che voglio segnalare:
1- il reparto psichiatrico di un ospedale dovrebbe essere a porte aperte.
2- in un reparto ci devono essere adeguate porte\uscite di emergenza
3- da quello che so, l’accertamento obbligatorio (ASO) va fatto lasciando scegliere al cittadino se farlo a domicilio con lo psichiatra che si reca a casa del paziente, o in ospedale.
Per mia esperienza ho notato che questi 3 aspetti non si verificano, ovvero:
1- il Diagnosi e Cura dell’ospedale di Versilia è a porte chiuse. Durante un ricovero coatto, nel novembre 2008, ho vissuto la degenza con la porta di entrata sempre serrata che veniva aperta da un infermiere con la chiave quando necessario, e poi subito richiusa dietro chi passava. Questo avveniva anche durante l’ora delle visite e, da ciò che ricordo, la porta d’ingresso non veniva mai lasciata aperta ma era costantemente riaperta\richiusa man mano che qualcuno in visita doveva entrare\uscire dal reparto. Inoltre si trattava di una PORTA BLINDATA di acciaio.
Come paziente, nel vedere queste scene, ho veramente percepito l’atmosfera di stare in un carcere: con l’infermiere che regolarmente chiudeva a chiave la porta subito dietro a qualcuno che entrava\usciva. Mi sembrava una guardia penitenziaria e sono certo che altri pazienti hanno provato lo stesso.
2- Nel reparto le porte di sicurezza violano le norme. Per come io ricordi, oltre la porta principale, anche quelle di emergenza sono blindate e bloccate costantemente a chiave e la maniglia non è antipanico, ma quella classica. Chiaramente, in questo modo, le uscite di emergenza diventano porte normali, per di più bloccate. Questa e’ di certo una violazione non sanitaria ma di norme di sicurezza. Che io sappia, al presente ottobre 2011, la situazione è rimasta invariata e la gestione ha mantenuto le porte blindate e chiuse a chiave. La gestione del reparto chiaramente ignora la legge dello stato italiano. Come fanno i dirigenti ai vertici a non saperlo?
Io, che ci sono passato, garantisco che il ricovero in un reparto del genere non è per niente terapeutico nè fa nascere fiducia nel servizio ASL o nei singoli operatori sanitari. Dal mio punto di vista ho percepito di essere trattato come un criminale in carcere, obbligato a fare ciò che non vuole. Non come un paziente in cura. Né, a tutt’oggi, riesco a considerare quel reparto facente parte di un edificio ospedaliero. E sono sicuro che molti altri la pensano come me.
3- Nel mio caso il servizio ha eseguito l’ASO trasportandomi in ospedale senza farmi scegliere se farlo a domicilio, nonostante io l’abbia chiesto espressamente. Nell’ottobre 2009, quando subii un ASO a cui poi non seguì alcun TSO, il servizio si organizzò chiedendo alle forze dell’ordine di scortarmi da casa mia e accompagnarmi, con l’ambulanza, fino all’ospedale di Versilia nel reparto di emergenza, dove sono stato visitato dentro una stanza chiusa anch’essa con una porta blindata.
Nel mio caso questa fu la procedura dell’ASO e non mi sembra essere la procedura corretta.
Oltre a un dispendio di risorse, all’impiego di un ambulanza dove non necessario, ambulanza che magari in quel momento poteva essere più utile in ben altre emergenze, soprattutto dopo aver subito simili atti, mi sono ritrovato a finire rinchiuso in quel reparto e gestito con un trattamento che, dal mio punto di vista, non ritengo nè professionale, nè educato, nè umanamente rispettoso e sinceramente lesivo della mia privacy personale. Sembrava che il servizio comunicasse con me solo per darmi le medicine ma che non ci fosse nessun reale interesse nei miei confronti, nè come paziente né come persona.
Secondo me, al posto mio poteva anche esserci un manichino che tanto era uguale: pareva che la gestione volesse solo qualcuno a cui iniettare farmaci, senza interesse nel parlare con me per comprendermi o rassicurarmi.
Ho percepito invece una gravissima azione: prepotente, arrogante e intimidatoria da parte delle Istituzioni; come una forma di schiavismo oltre che di costrizione e annullamento della personalità, di manipolazione delle mie scelte di vita.
Questo vissuto mi fece incollerire e diffidare ancor più dei servizi, arrivando a nutrire il massimo dell’avversità nei confronti di quella psichiatria.
Questa è l’idea che mi son fatto dei servizi psichiatrici Toscana ASL 12.
Al di là della mia opinione, a Viareggio tutto questo va solo a danno dei cittadini e delle famiglie coinvolte. Tanti lamentano che il Servizio Psichiatrico non funziona anzi, a volte, peggiora i problemi che è chiamato a risolvere.
Penso che il giudizio di un servizio per i cittadini spetti ai cittadini e devono essere loro a dire se piace o meno.
Ovvero: Le istituzioni sono al servizio dei Cittadini e devono accontentare le Loro esigenze, non soddisfare Chi le dirige.
Credo che di recente il primario sia stato richiamato dalla Direzione Generale e dall’Assessorato Regionale, anche in seguito agli esposti che gli sono stati fatti dal Coordinamento Salute Mentale CGIL e dal Forum Salute Mentale Versilia.
Tuttavia, da come sono informato, sostanzialmente è ancora così nell’ASL 12.
Spero vivamente che la situazione possa modificarsi e che anche questa ennesima segnalazione serva a far cessare le cattive pratiche nella psichiatria versiliese.
Distinti Saluti
Gianluca
Viareggio ottobre 2011.