L’ospedale psichiatrico giudiziario della città è sovraffollato. Sassi: “Mancano le condizioni per curare”
La presentazione della campagna “Stop Opg” alla stampa
REGGIO – “Chiudiamo l’opg di Reggio Emilia”. È questo l’appello lanciato oggi dalla Società della ragione alla nostra città tramite un incontro, organizzato in Municipio, per sensibilizzare la cittadinanza in merito alle condizioni in cui versano gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e le persone in essi ospitate e chiedere l’adesione alla campagna nazionale “Stop Opg”.
In tutto il territorio nazionale, sono sei gli Opg rimasti in funzione. Uno di questi è nella nostra città.
A farsi portavoce dei promotori è l’assessore comunale alle Politiche sociali Matteo Sassi: “Gli opg sono luoghi di custodia – ha detto Sassi – dove non ci sono le condizioni per curare ma neanche per garantire sicurezza alla collettività, poiché non sono in grado di attivare veri percorsi riabilitativi.
Rappresentano un buco nero del nostro ordinamento giudiziario: ci sono esempi che dimostrano che è possibile garantire il diritto alla cura attraverso altre forme e sappiamo che gli operatori degli opg condividono le nostre preoccupazioni”.
La struttura reggiana sarebbe, secondo i promotori, particolarmente punitiva: “L’Opg di Reggio è un carcere – spiega Gianluca Borghi della Società della ragione – E’ collocata all’interno della Casa circondariale della Pulce, di cui costituisce un’ala, ed è quindi incompatibile con condizioni di cura e recupero”.
Un’immagine dell’Opg reggiano
Non solo: la struttura sarebbe sovraffollata: “E’ stato creato per accogliere 132 persone – continua Borghi – ma oggi ne ospita 245 poiché, nonostante il suo bacino di utenza formale dovrebbe essere limitato a Emilia Romagna, Veneto e Marche, giungono a Reggio anche persone provenienti da Lombardia e Piemonte, per ragioni di mancanza di strutture”.
I modi di superare gli Opg, secondo i promotori della campagna, si conoscono già: “Le Ausl dovrebbero farsi carico delle persone ospitate in queste strutture – ha detto Stefano Cecconi della Cgil nazionale – Inoltre, è necessaria una modifica del codice penale affinché la detenzione non diventi una misura di sicurezza perpetuata a vita per mancanza di reti di recupero e reinserimento.
Attualmente, i sei opg presenti in Italia a servizio di tutto il territorio nazionale ospitano circa 1400 persone. Tra loro già 350 potrebbero essere dimessi, ma i progetti terapeutico-riabilitativi individualizzati non sono ancora stati finanziati.