Nella sua cameretta, protetta da voci perturbanti e tranquilla tra i suoi tappetini manifesti piumini Roberta legge con grande curiosità la rivista Focus. La avverto interessatissima.
Poi entra nella cucina- veranda dove io le sto preparando una bella insalata alla greca e mi parla di un certo Kurzweil, vorrebbe le comprassi il libro di questo scienziato, ‘I transumani’. Le chiedo se è stato tradotto. Scopro che sui cataloghi che ho a disposizione su Internet non c’è.
Allora lei mi spiega la teoria di Kurtzweil, che è poi quella di di unprofessore di Oxford, Brostrom.
Secondo questa teoria, il transumanismo’, l’umanità potrebbe sfruttare al massimo le sue capacità usando e integrandole con la tecnologia, al fine di far durare molto di più la vita, le capacità intellettive e emozionali.
Sto per dirle tutto quanto di ragionevole e di etico può essere connesso con una simile teoria.
Ma lei continua, si ferma su una frase che l’ha colpita. E legge: ‘ Lo scienziato ha già detto che farà il possibile per far rivivere il padre defunto,clonando il DNA e recuperando le sue memorie. Poi basterà trasferire la mente-memoria-emozione a un supporto non biologico, e la nostra ‘anima’ si sposterebbe dal nostro corpo a un pc..
‘Vedi mamma, mi dice, è come spostare una foto dalla macchina digitale sul dekstop di un pc.
Io farò così con te,con la tua mente, ti farò vivere per sempre.’
Ma l’idea mi commuove, mi sgomenta. Non è il momento adesso di intervenire in maniera eccessivamente moralisica e concreta… Poi mi dice che sta mettendo i soldi nel salvadanaio. Ha circa 2000e alla Posta, e sta continuando a conservare,per la mia immortalità.
E io non ho il coraggio di dirle che non temo di morire,che a un certo punto ci si sente stanchi delle sofferenze dei problemi continui e si desidera tornare alla terra all’aria,al mare. Ma so che per lei non potrei godere di quella quiete che è concessa a tutti.
Infatti pochi giorni prima avevo scritto questi versi:
La notte come un filo si dipana e da un estremo all’altro noi restiamo disgiunte eppure avvinte al filo, inesorabile richiamo. Chiamami da lontano, da lontano ti chiamo mio fuoco, incendio, sogno e la tua voce crépita, m’avvolge. Consunta sto, rappresa fremendo per la tenerezza che mi sale e ancora torna a ravvivar la brace della vita, per te.
E io che pensavo di dover restare sulle rive del mio lago d’indaco, sospesa come Demetra a chiamare la figlia Proserpina, perché torni dalle acque,dal buio degli inferi. No, ora non mi toccherà la sorte di chi si aggira sulle sponde dell’Acheronte, non più. Lei ha pensato a me. A tutto, ha risolto il problema in maniera, se volete fantascientifica, ma ha pensato che non sarebbe stata più sola perché temeva che nessuno più avrebbe più voluto stare con lei,né fratello, né padre. Nessuno con amore, almeno.
Roberta era finalmente felice perché aveva risolto il suo problema, di fanciulla mai cresciuta, con scarsa vita relazionale,e capiva che non mi sarebbe toccato in sorte di vagare nello spazio dei templi acherontei ad attendere lei.
No mi averebbe tenuto sempre con sé, con la mia voce,i miei pensieri, i miei ricordi, dietro la lastra luccicante del suo portatile. Evanescente ma viva ,che le parlavo, le davo suggerimenti, le dicevo di prepararsi il cibo, di non spendere tanto, di vedere un buon film, di quelli che le piacciono tanto. E sarebbe stato un gioco come in un network.
Ma sarei rimasta, ombra , pensiero, gioia, sentimento ricordo, presente sempre lì, come lei voleva.
Tempo fa mi erano venuti in mente pensieri tristi,terribili,rileggendo i versi dei sepolcri e il canto quinto dell’Eneide. Sì avrei avuto poca gioia nell’urna,sarei rimasta tra le madri infelici dell’Ade, del mio lago. Sognavo racconti di Poe; quando mi sedevo al tavolo del mio locale sull’Averno,dove si incontrano vulcanologi, archeologi,scrittori e forse anche ‘camorristi’, e,in uno di quei pomeriggi, mentre il tramonto spennellava il lago, di viola, di blu, di rosso,togliendo il grigio-verde del giorno , ho riscritto i versi dell’Eneide. Sì, mi sono vista là nell’oscura notte, tra il fango delle sponde a vagare e attendere , chiedendo di lei, non aspettando neppure che mi traghettassero. Rimandavo il passaggio, chiamavo, urlavo il suo nome, il nome della mia fanciulla con i piedini teneri che sembravano delle brioscine.
Ma nessuno rispondeva la mio grido disperato angosciato Ora, invece la vedevo tranquilla e immaginavo la scena di lei sola al pc che aspettava me, parlava con me.
Sì certo non mi piaceva immaginarmi intrappolata tra vetri. A un tratto sorrisi.’Meglio questo,che vagare in attesa del passaggio, meglio accanto a lei.
E Roberta mi avrebbe sentito ridere lì, intrappolata, tra i cristalli liquidi su uno schermo enorme,come saranno in futuro i i ‘computronium’, munita di cuffie e ipod, mescolata tra luci di pianeti,astri,parte dell’intero universo di luminose galassie in una silenzioso e lucentre cristallo che sprizzava luminarie pirotecniche. Là forse avrebbe potuto vedere il mio volto sorridente.
Per sempre, mamma, capisci, per sempre . E io le sorriderò per sempre.
La mia risata che si dilatava e riempiva l’universo, calndo come un’aquila su tutti quelli che non sapevano o non avevano capito, per ignoranza indifferenza. Una risata eterna. Avevamo beffato l’universo.
L’amore può anche questo.
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E’ una storia vera, un ‘elaborazione di mia figlia. Io l’ho riportata. Non so se possa servire a qualcuno, ma a lei è servito spiegare, immaginare, convinta com’è che tutto sia possibile. Con la sua paura di vivere da sola, la sua metafora di un’immortalità possibile, forse in altra galassia, forse nell’evoluzione della tecnolgia. E’ la sua speranza, di non restare sola, ma almeno con un pc che le parli, che le tenga compagnia e dia un po’ del riflesso dell’amore che ha avuto.
E questa storia è la metafora della sua solitudine, della sua ricerca d’amore, della sua capacità di sorridere, perchè ama divertirsi e ridere.E l’amore, l’accoglienza,-forse non l’abbiamo ancora capito bene-è l’unica forza e speranza che abbiamo per ricominciare, ri-nascere, vivere al meglio delle nostre possibilità. Ma in fondo,ognuno di noi lo sa. Se la ragazza autistica chiedeva di non essere indifferenti, se un altro cercava il fil rouge, che cos’altro voleva e auspicava per gli altri che soffrono, non tanto per quel confine che hanno superato,ma perchè,dietro il vetro che li tiene lontani dai cd normali, non hanno trovato amore e accoglienza vera.Non basta più rompere i muri e liberare,oggi, mma donare il nostro tempo, il nostro affetto di cui siamo estremamen te avari. una nostra ora di v ita vale più dello stare con una persona che soffre. Abbiamo troppo da fare. Troppe cose da inseguire. ma salvare anche unasola persona, donare un’ora di se stessi, vale molto di più. Da solo nessuno si salva