La questione dell’Opg, come la questione dell’internamento e delle limitazioni delle libertà personali. sono per le donne e gli uomini aderenti al Forum Salute Mentale temi prioritari, di grande valore etico e responsabilità civile e professionale, su cui, fin dalla costituzione del Forum del 2003, è stato concentrato un significativo impegno teorico e pratico.
Il numero delle persone internate in Opg da un territorio determinato, come in generale il numero delle persone istituzionalizzate, le porte chiuse dei servizi, il legare e le altre limitazioni delle libertà personale, sono da noi considerati fra i determinanti e gli indicatori fondamentali della qualità dell’assistenza nei servizi di salute mentale e del paradigma fondante le pratiche in un dipartimento.
Nel documento fondativo del Forum, tra l’altro, scrivevamo:
“Riteniamo inutile ribadire in questa sede l’assurdità e la violenza dell’OPG. Non è possibile un OPG “migliore”, l’OPG va definitivamente superato.
Esiste un grande margine di azione da parte degli operatori/trici dei Dipartimenti di Salute Mentale sia per una presa in carico dell’utente che ha commesso reato per evitare l’invio in OPG, sia per la dimissione degli attuali internati/e negli OPG attraverso specifici progetti individuali di deistituzionalizzazione.
Riteniamo oggi di poter dire che gli OPG permangono principalmente per le responsabilità dei DSM. La questione dell’OPG necessita di essere significativamente affrontata da parte dei DSM attraverso la presa in carico dei loro pazienti internati, da primo affrontando le situazioni più immediate e possibili. (già il Ministero di Grazia e Giustizia afferma che il 20% dei ricoverati siano internati per reati minori e con indice di pericolosità del tutto “evanescente”) e insieme impedendo nuove ammissioni e bloccando il flusso di invio dal carcere.
Una azione importante di erosione dell’OPG, di significativa diminuzione del numero degli/lle internati potrà forse mettere l’attenzione sulla necessità della chiusura dello stesso (come già è avvenuto per l’ospedale psichiatrico) attraverso misure “speciali”, in quanto fortemente individualizzate, per chi rimane.”
E rispetto alla tutela della salute mentale in carcere, fortemente connessa con l’invio delle persone in Opg, scrivevamo:
“La questione della salute mentale in carcere, ad eccezione di poche situazioni italiane, risente a tutto campo della non applicazione del decreto n.230 del 1999 per il riordino della medicina penitenziaria, anche nelle 6 regioni individuate per la sperimentazione.
Il Forum vuole ribadire il proprio dissenso contro ogni forma di “doppio binario” ed affermare la necessità di un rapido trasferimento delle competenze dalla medicina penitenziaria a quella ordinaria, contro tutte le resistenze di ordine preminentemente economico-corporativo…
I servizi territoriali di salute mentale devono assicurare la continuità assistenziale per gli/le utenti che finiscono nel carcere, anche per contrastare il ricorso da parte del carcere all’OPG, per affrontare e rispondere alla sofferenza aggiunta prodotta dall’internamento e assicurare strumenti di reintegrazione sociale dentro e fuori dal carcere.”
Da qui dobbiamo di nuovo ripartire.
In particolare dalla centralità del Dipartimento di salute mentale, dal suo modello organizzativo, dal paradigma che sostiene l’agire terapeutico, dalle culture alla base dell’imputabilità, dal differente sguardo sull’altro delle psichiatrie, dal superamento della necessità di catalogare e rinchiudere l’altro in contenitori preformati e segreganti, dalla fine della medicina penitenziaria e la presa in carico da parte del sistema sanitario regionale (ieri con l’applicazione del DP 230 oggi con l’applicazione del DPCM del 2008), dalla piena tutela della salute mentale nelle carceri.
Oggi le persone internate nei sei Opg sono più di 1300; le condizioni di vita, di cura ed ambientali negli istituti sono fortemente degradate e degradanti (come ben ha dichiarato la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia ed efficienza del servizio sanitario nazionale) e sono utilizzati strumenti coercitivi e di contenzione; un significativo numero di internati, circa un terzo, sconta una pena senza fine -una sorta di ergastolo bianco- per l’abbandono da parte dei dipartimenti di salute mentale, per il diffuso silenzio sociale, per una presunta garanzia di sicurezza sociale.
Negli Opg, nonostante le condizioni di una doppia sorveglianza sanitaria e carceraria, si consumano violenze e suicidi; il primo suicidio del 2011, di un ragazzo di 31 anni internato da sei mesi con misura di sicurezza provvisoria, è avvenuto il 5 gennaio ad Aversa.
Così, mentre sono aumentati negli ultimi anni gli strumenti legislativi per contrastare l’internamento nell’Ospedale psichiatrico giudiziario –in particolare le sentenze della Corte Costituzionale del 2003 e 2004 che privilegiano la cura alla custodia- questo non sembra aver influenzato significativamente l’andamento delle presenze nell’Opg, anzi in qualche modo assistiamo ad una pur lieve flessione verso l’alto del numero degli internati, numero che si registrava in qualche modo pressoché stabile negli ultimi 20 anni.
Se in Italia almeno da trent’anni, sicuramente dopo la promulgazione della L.180/78, si discute della chiusura dell’Opg, ancora il sistema psichiatrico forense nella maggior parte dei casi tende a mantenere coniugata malattia mentale/ pericolosità sociale/ difesa della comunità, affermando quindi l’egemonia dell’Opg.
Continua ad essere troppo spesso collegata nella comunicazione dei mass media la pericolosità sociale -e di conseguenza la questione della sicurezza sociale- con la devianza individuale piuttosto che con la limitazione dei diritti, con le mancate risposte delle istituzioni e della comunità in particolare nei confronti delle situazioni di maggiore vulnerabilità, delle persone a rischio di rottura. Sempre più viene meno una responsabilità collettiva verso il bene comune.
Non sembra equamente diffusa la convinzione del possibile superamento definitivo dell’Opg -che si fonda sulla concretezza di alcune realtà di dipartimenti di salute mentale che da lungo tempo non hanno persone in Opg. Esistono realtà operative virtuose di Dipartimenti di Salute Mentale significativamente impegnati nella ricerca di percorsi alternativi all’internamento nell’Opg per le persone con disturbo mentale che hanno commesso reato o per la dimissione di internati. Si registrano situazioni di ampia disuguaglianza nel numero di persone internate in Opg a provenienza da Regioni di ugual numero di abitanti -fino a 7 volte tanto.
Per spiegare tali differenze certamente non possiamo ripetere ancora quello che alcuni visitatori dell’ospedale psichiatrico aperto di Gorizia degli anni sessanta dicevano “qui i matti sono diversi”, non possiamo far ricorso ad analisi antropologiche ma dobbiamo guardare al modello organizzativo dei dipartimenti di salute mentale, alle pratiche, agli stili operativi.
Possiamo con certezza dire che la possibilità di superamento dell’Opg è collegata con le politiche regionali, aziendali e delle direzioni dei dipartimenti di salute mentale, con il modello organizzativo di un dipartimento, con pratiche di salute mentale che si fondano su percorsi terapeutico-riabilitativi personalizzati, sul lavoro domiciliare, sulla continuità assistenziale, su risposte non riduzionistiche ma complesse, che tengono conto di dove e come le persone vivono, delle loro relazioni, della necessità di rapporti solidali ed affettivi, del diritto al lavoro e a percorsi culturali e formativi -che significa poi aggredire i determinanti sociali di salute.
E non da ultimo la questione delle carceri e delle condizioni di detenzione, della garanzia per le persone detenute alla tutela della loro salute psicofisica, perché in caso di “malattia mentale sopravvenuta” ricevano cure adeguate dal servizio sanitario regionale.
La tutela della salute mentale in carcere, la garanzia di percorsi di prevenzione e di cura e insieme il miglioramento complessivo delle condizioni di detenzione abbiamo visto non rendere necessario il ricorso all’invio in ospedale psichiatrico giudiziario e contrastare i frequenti e disperati atti di autolesionismo, fino alle morti. E insieme può consentire alla persona con sofferenza mentale autore di reato percorsi ordinari di detenzione, che, riconoscendo ai soggetti non più totalizzati nella malattia responsabilità, mettono fine ad una sorta di “doppio binario” che conferma uno statuto speciale per il malato di mente e una cultura che assimila pericolosità sociale e malattia mentale.
Prima di concludere voglio ricordare brevemente alcuni passaggi che il Forum ha attraversato con grande protagonismo tra il 2004 e 2005 in relazione agli Opg sventati. Nel 2004, nel silenzio e nell’omertà diffusa, in anni in cui la paura diveniva ideologia diffusa, il Governo (Berlusconi) istituiva a Castiglione delle Stiviere un Opg per minori, dove erano internati 9 ragazzi, tutti (non certamente per caso) extracomunitari. La denuncia fatta dal Forum nell’incontro di Camaiore del dicembre 2004, rimbalzata poi alle cronache nazionali, produsse interpellanze di parlamentari e l’intervento tempestivo dell’allora sottosegretario Guidi con la chiusura del reparto.
Nello stesso anno il Governo progettava, insieme a direttori degli Opg, la costituzione di due “centri sperimentali psichiatrico forensi” a Gerace in Calabria ed ad Ussana in Sardegna, veri e propri nuovi manicomi giudiziari. In nome del criterio della “territorialità”, della necessità di avvicinare le persone internate ai loro territori di origine, si prevedeva un aumento di quasi duecento nuovi posti di Opg per persone sottoposte alla misura di sicurezza ma anche per detenuti difficilmente controllabili in carcere.
Contro questo si è speso con forza il Forum coinvolgendo associazioni ed istituzioni, informando e denunciando. Infine l’intervento dell’assessore alla Salute Nerina Dirindin in Sardegna che revoca la delibera di istituzione del centro di Ussana nel 2005 e l’intervento dell’assessore Doria Lo Moro in Calabria, impediscono l’apertura dei due nuovi Opg.
Mi piace ricordare qui questi passaggi per ribadire come, anche una minoranza, può riuscire ad intrecciare alleanze e sinergie che cambiano il corso delle cose.
Concludendo, oggi sembra da tutti evidenziato lo “scandalo” degli Opg, ma non sembra altrettanto evidente come si possa realmente chiuderli.
Poniamo quindi alla discussione alcune proposte su cui dibattere.
Il percorso per la chiusura dell’ospedale psichiatrico giudiziario abbisogna di politiche nazionali e regionali a questo finalizzate, ma anche di competenze, di saperi, di professionalità e di risorse, umane ed economiche, di un cambiamento di rotta ed un ritorno ai diritti.
-La questione della salute mentale, in particolare in riferimento ai soggetti più vulnerabili e a rischio, deve ritornare ad essere una priorità nazionale come la supremazia, nei fatti e negli atti amministrativi, del servizio pubblico.
– Il contrasto ad ogni forma di internamento, ad ogni forma di manicomialità e di violazione dei diritti deve informare le pratiche dei servizi di salute mentale. Oggi sembra nell’ombra il testo unico per la riforma della L.180 stilato dall’on. Ciccioli che, ammantato di paternalistica ragionevolezza, cavalcando il malcontento laddove la povertà delle risposte costringe le famiglie a domande dolorose ed estreme, vorrebbe riportarci all’Italia dei manicomi ma principalmente consegnare al privato e alle lobbies farmaceutiche la salute mentale, ma è sempre necessario mantenere una attenta vigilanza e pratiche di lavoro qualificate.
– La sanità pubblica, la salute mentale non può essere impoverita; i tagli, seppure necessari, devono pesare su altri capitoli, il welfare non può essere svenduto.
– E’ necessario un modello organizzativo dipartimentale di servizi di salute mentale fortemente radicati nel territorio e capaci di risposte articolate e personalizzate. Nelle situazioni complesse, in relazioni a persone con problemi di salute mentale severi deve poter essere messa in campo una progettualità “speciale” perché altamente individualizzata, che riesca a superare le resistenze, del soggetto e della comunità, che riesca a progettare percorsi di vita anche quando tutto sembra negarli.
– E’ necessario affrontare in maniera strutturale il problema delle carceri.
– E’ necessario continuare a mantenere disgiunta la cura dalla custodia, il tentativo di “armonizzare le misure sanitarie con le esigenze di sicurezza” (come dice il DPCM del 2008) rischia di riaffermare nei fatti l’egemonia delle esigenze di sicurezza.
– Come è successo per la chiusura dei manicomi civili con le finanziarie del 1994 e 1996, è necessario prevedere sanzioni nei confronti delle Regioni e dei Dipartimenti che non si fanno carico dei loro cittadini internati negli Opg, vecchi e nuovi.
– Vanno istituiti osservatori regionali e nazionali che supportino e facciano il monitoraggio della chiusura graduale degli Opg.
E infine è necessario il ritorno ad una cultura e ad una pratica della responsabilità dei soggetti e delle istituzioni verso il bene comune per la costruzione dell’esercizio dei diritti per tutti, ad una supremazia dell’etica e dell’estetica. Con una frase d’altri, diciamo “C’è la bellezza e ci sono gli oppressi. Per quanto difficile possa essere, io vorrei essere fedele ad entrambi.”