di Carlo Saitto*
Ho capito male. Rileggo il decreto del commissario Polverini sul riordino del sistema ospedaliero del Lazio con crescente incredulità: aumentano i posti letti psichiatrici! Faccio qualche conto saltando da una pagina all’altra, cercando invano una tabella riepilogativa. Nelle pieghe del piano, suddivisi tra le schede delle singole strutture di ricovero, i posti letto di psichiatria passano da 369 a 629: 260 posti letto in più, una crescita del 70%. Ma la legge Basaglia non prevedeva la chiusura delle istituzioni psichiatriche residenziali? Ma come è possibile che in un piano di rigido contenimento della spesa si investa proprio sui «manicomi»?
Provo a leggere con più attenzione: dei 260 posti letto in più, 50 sono affidati ai Dipartimenti di Salute Mentale delle aziende sanitarie pubbliche e tutti gli altri, l’80% del totale, sono attribuiti alle strutture private. Scelte tutte e due discutibili, ma non è proprio la stessa cosa. I posti letto dei Dipartimenti sono destinati a gestire i pazienti in crisi; certo se i servizi territoriali dei Dipartimenti funzionassero meglio le crisi dovrebbero essere meno frequenti e quando crescono i ricoveri qualcosa non funziona. Questi ricoveri segnalano dunque una difficoltà a riconoscere per tempo il disagio o a farsene carico in modo adeguato, ma possono essere considerati incidenti, talvolta non evitabili, in un percorso di presa in carico che fa parte, comunque, di un sistema di relazioni tra il paziente, il suo contesto sociale e i professionisti che ne hanno cura.
I ricoveri nelle strutture private, prolungati, ripetuti, separati, isolano il paziente, sono il segno della sua esclusione, innescano il circuito della cronicizzazione e cristallizzano la sofferenza anche quando la proteggono. Il disagio non si confronta con la realtà esterna e la realtà non accetta più il disagio come parte di sé. Gli esclusi sono nascosti, il mondo dei «sani» è più angusto, e io mi trovo a scrivere in modo superficiale di cose che tanti hanno detto, meglio, prima di me e che il nostro paese ha addirittura trasformato in una legge dello Stato.
260 posti letto in più significano ogni anno oltre 90.000 giornate di vita sottratte a persone che fanno già fatica a vivere. Provo a cercare delle ragioni: certo, quelli che si riaprono non sono davvero manicomi, in queste strutture le persone non vengono maltrattate, non vengono affamate, si spera almeno che non vengano legate e che qualcuno vigili sulla loro incolumità. È anche certo che i pazienti sono inviati a queste strutture dai medici dei Dipartimenti di Salute Mentale, e sono gli stessi medici che responsabilmente controllano e confermano i trattamenti, gli stessi medici che convalidano un’eventuale sedazione, una «contenzione farmacologia». Inoltre, è certamente difficile vivere accanto alla sofferenza, alla violenza senza ragione contro gli altri, contro le cose, contro se stessi. Infine, si osserva e mi dico io stesso, la riforma, almeno nella regione Lazio, è fallita, non è più il caso di insistere, troppi rischi, un carico inaccettabile sulle famiglie. Sento fare, e mi faccio, quest’ultima amara considerazione, come se la riforma fosse un’impresa o un negozio: se fallisce si chiude. Ma la riforma Basaglia non è un esercizio commerciale, è un esercizio terapeutico di efficacia dimostrata, che nel dare sollievo alle sofferenze di alcuni e, nel riportarle tra noi, cura anche la società, la migliora, aiuta la sua trasformazione in un organismo che accolga, che includa, che riconosca la diversità nella cittadinanza. Se non riusciamo a cogliere questa opportunità il fallimento è di tutti quelli che coltivano l’idea di una società solidale. Le indicazioni del piano ospedaliero della regione Lazio fanno sospettare che il governo regionale non sia tra questi ultimi. Le responsabilità degli operatori dei servizi sono certamente gravi e le risposte che avrebbero forse evitato questa scelta sono certamente mancate, ma in un colpo solo e in una fase di gravi restrizioni economiche e di tagli generalizzati la regione Lazio mette a disposizione del ricovero psichiatrico circa 10.000.000 di euro in più. Somme di questo genere non sono mai arrivate ai servizi di salute mentale per evitare il ricovero, per creare forme residenziali alternative e forme di inserimento sociale protetto. Le esperienze in questa direzione, che pure con fatica si sono realizzate, non sono state sostenute o valorizzate per la mancanza di risorse che ora, nel finanziamento del ricovero psichiatrico privato, sembrano abbondantemente disponibili. Sarà quanto meno il caso di chiedersi come mai.
*Dirigente della Sanità del Lazio
(da Il Manifesto del 12.10.2010)
11 Comments
Caro Carlo Saitto
Dirigente della Sanità del Lazio
Premetto che é scandaloso dare soldi ai privati in un settore come la psichiatria perché il privato mira al guadagno con il minimo sforzo e quindi cerca i avere i pazienti piu facili oppure di trattare pazienti difficili con poche risorse con rischi sul piano etico.
Detto questo non ne posso piu di sentire queste corbellerie.
Ho 37 anni, lavoro come Psichiatra da otto anni. Non sono colpevole dei manicomi e non vi ho mai lavorato. Non ho mai praticato la terapia elettroconvulsivante ed in otto anni ho disposto due contenzioni. Sono cresciuto a pane e psicodinamica prima, poi sul territorio ho conosciuto la Psichiatria democratica e la riabilitazione psicosociale. Ho giocato a calcio a fianco dei pazienti nei tornei regionali organizzati dai DSM: credo nella riabilitazione sul teritorio e nella sua efficacia. Non voglio entrare in complicate discussioni ideologiche, mi definisco uno psichiatra pragmatico. Le chiedo pero’ lei sa di cosa sta parlando? Ha fatto lo Psichiatra negli ultimi 5 anni? Ha avuto a che fare con la ricerca di un posto letto? Ha mai avuto a che fare con i giudici dopo un evento drammatico? Ha mai conosciuto uno psichiatra contento sadicamente di contenere un paziente? O di ospedalizzarlo anche senza bisogno? Io no. Io conosco solo giovani psichiatri capaci, preparati e consapevoli, sovraccaricati da turni e carichi di lavoro impressionanti, che hanno a fianco o sopra di loro colleghi piu anziani confusi, indecisi, talora anche malati, impreparati e disillusi che si defilano in nome di una psichiatria e di una società che non c’é piu e continuano a rilasciare dichiarazioni come la sua! Non so se la legge é una buona legge e non so se nel Lazio si poteva fare diversamente. Il problema é esistono pazienti psichiatrici che rispondono bene ai trattamenti psicosociali, pazienti che non rispondono bene ai trattameni ma che acettano gli stessi e pazienti che non vogliono essere trattati e che presentano un quadro di elevata instabilità. Gli ultimi in particolare sono pazienti molto difficili che nessuno psichiatra vorrebbe trattatare, tantomeno quelli democratici, perché comportano molti rischi per la società, per lo stesso psichiatra trattante sul piano personale e legale. Fino ad ora si é cercato nel post Basagli di non occuparsene, di aspettare che commettessero reati per poi finire in OPG, oppure si é cercato di utilizzare l’interdizione per istituzionalizzarli. Tutto questo per non ammettere che alcuni pazienti sono schiavizzati non dalla società o dagli psichiatri ma dalla loro malattia, che alcuni pazienti sono socialmente pericolosi e che non possono essere lasciati ed abbandonati a loro stessi o pesare completamente sulle famiglie e che nessun medico potrà decidere di fare lo psichiatra se questo vuol dire essere condannato al posto del paziente. Sono i giudici con le loro sentenze che hanno già demolito la legge Basaglia. E gli psichiatri basagliani troppo impegnati a far politica e tenere conferenze per aggiornarsi ed accorgersi che chi lavora veramente é in difficoltà non hanno impedito cio. Ora andranno in pensione, si spera al piu presto possibile, ed i giovani psichiatri potranno ridare utilità e senso (anche a livello sociale) alla psichiatria italiana. Spero che anche lei sia vicino alla pensione.
Si chiede al Direttore Saitto che i malati psichici esisono in tutte le famiglie, e ho ricevuto centinaia di lettere. Chiedo che si chieda la formazione per il personale, per non abbassare il livello di autostima dei sofferenti e chiedo che si usi toni affettuosi per queste fragilità che ha nno bisogno di essere trattati con dignità e,una parola che farà inorridire i medici. AMORE. Ma vuoi non avete scelto solo di curare i malati organici, voi avete scelto di dedicarvi ad annime spezzate. Non potete stare al livello basso degli altri. Dovete avere orgoglio per la vostra professione e missione. Come ce l’ha Gino Strada.
La nota del giovane psichiatra che reagisce all’intervento di Carlo Saitto dà triste evidenza al disorientamento di un sacco di operatori. Nel merito: il nostro giovane amico se la prende con Saitto credendolo uno psichiatra invece del competente osservatore delle politiche sanitarie che è. Parla di sedicenti psichiatri Basagliani in una regione nella quale farei molta fatica a trovarne uno in servizio.
Forse invece di giocare al pallone avrebbe più correttamente usato il suo tempo se si fosse accorto che nella sua regione di basagliano non c’è assolutamente nulla, mentre ci sono stati governi che nulla hanno fatto per servizi di salute mentale degni di questo nome, ricche e potenti cliniche private che hanno fatto sempre e tuttora il bello e il cattivo tempo, coadiuvate culturalmente e operativamente da innumerevoli cattedre universitarie, con spesso relative cliniche che di Basaglia hanno mai voluto neanche sentir parlare
Nel suo triste prendere lucciole per lanterne non si prende la briga di voler conoscere quanto è avvenuto ed avviene nell’unico posto dove fu consentito a Basaglia di realizzare quel che proponeva e ci0è Trieste.
Se come chiediamo da trent’anni si facessero nel Lazio Centri di salute mentale aperti sette giorni su sette, ventiquattro ore al giorno, ogni cinquantamila abitanti, con sei posti letto ognuno, un SPDC ogni trecentomila abitanti con non più di dieci letti ciascuno, gruppi appartamenti, attività domiciliare, cooperative sociali,sostegno forte all’associazionismo di utenti e famigliari, centri di attività e tutte le altre cose che ben si fanno a Trieste da trenta anni e che si possono fare ovunque, ma che di solito amministratori e psichiatri non hanno alcuna voglia di fare , non servirebbe certo buttar soldi a cliniche private, non accadrebbero nè le cose giustamente denunciate da Saitto nè quelle che si intravedono nelle lagne del giovane e confuso psichiatra.
Sono un romano e padre di un soffererente psichico. Vorrei far presente al “giovane psichiatra” la nostra storia. Da marzo di quest’anno ci siamo trasferiti a Trieste perché a Roma, oltre l’ospedale, non c’è nulla o poche strutture (anche se encomiabili). Nell’ultimo anno a Roma mio figlio è stato ricoverato tre volte per un totale di circa un centinaio di giorni. Veniva ricoverato; per un po’ di tempo prendeva le medicine, poi smetteva. Quindi entrava in crisi e c’era un nuovo ricovero. La regione Lazio ha speso per mio figlio in un anno una cifra che può andare dai 40.000 ai 70.000 euro.
Qui a Trieste non c’è stato bisogno di alcun ricovero e, se anche ce ne fosse stata necessità, questo non sarebbe durato per più di 2 o 3 giorni. Mio figlio viene seguito costantemente ma senza alcuna pressione e in pochi mesi ha raggiunto una più che discreta consapevolezza dei suoi disturbi. Ora deve consolidare il lavoro fatto mediante un periodo di impegno maggiore. Una borsa lavoro costa 250/350 euro al mese. Un giorno d’ospedale va dai 400 ai 700 euro al giorno.
Ovvio che poi a Roma non rimangono soldi per gestire la salute mentale sul territorio. A Trieste solo il 6% del budget viene dedicato agli interventi ospedalieri. La differenza tra Roma e Trieste sta tutta qui: nell’organizzazione e in trent’anni di buone pratiche.
Non c’è ideologia soltanto idee che, comunque, si verificano giorno per giorno. Ne avrei tante di cose da dirle perché sono convinto che lei sia un bravo medico. Ma, soprattutto, una: non è che a Trieste gli psichiatri siano più bravi che altrove, è che sono inseriti in un “sistema” virtuoso dove tutti si sentono protagonisti: gli utenti in primo luogo ma anche noi genitori che veniamo istruiti mediante corsi, che vediamo periodicamente il direttore (a Roma non sapevo neppure chi fosse), che abbiamo riunioni costanti con tutte le figure professionali del Centro.
Tra l’altro l’Associazione dei parenti viene invitata a ricevere le varie delegazioni in visita a Trieste e nei sei mesi che sono qua ne ho visto venire da tutto il mondo: dalla Svezia, dalla Germania, dalla Turchia con il loro Ministro della Sanità ma anche da Milano o da altre località italiane non proprio “periferiche”. Venga anche lei, venga a confrontarsi con questo sistema di cura della sofferenza psichica: potrà constatare di persona se si tratta di ideologia o di (più o meno) buone pratiche. L’aspettiamo.
(La mia e-mail è morsuccir@tiscalinet.it. Sarò lieto di rispondere a qualsiasi sua richiesta)
Rispondo al giovane psichiatra. Giovane psichiatra che ha 3 anni più di me.
Lei afferma che ha 8 anni di esperienza come psichiatra, non sono molti in un campo così delicato e difficile come Lei stesso afferma. Io ho ben più di 30 anni di esperienza come familare. Non sono cresciuta a pane e psicodinamica come Lei ha fatto, ma Ho iniziato la mia vita a contatto con i servizi sanitari di Trieste; per questo mi sento di risponderle anche io. Non entro nel merito della situazione del Lazio, che non conosco e sulla questione dell’organizzazione sul territorio Le hanno risposto altre persone più preparate di me . Mi limiterò a sottolinearLe alcune parole che Lei usa nella sua risposta. Innanzi tutto Lei chiede palesemente una scelta di campo quando dice che alcuni pazienti non possono pesare sulle famiglie: io concordo con quello che Le ha scritto Rotelli. Anche se non ho visto confusione nelle sue parole, ma mancanza di un quadro teorico e tanta rabbia. Sottolineo che Lei si definisce pragmatico. Siamo sicuri che ciò rappresenti una qualità? Questo suo pragmatismo, in mancanza appunto di un’ organizzazione di pensiero sistematizzata, Le permette di scrivere le seguenti affermazioni: “sono pazienti talmente difficili che nessuno psichiatra vorrebbe trattare”; le rendo noto che leggono anche gli utenti, dunque la esorto a fare attenzione alle Sue parole. “si è cercato di aspettare che commetessero reati” Ma stiamo scherzando? Se Lei si sente in tutta onestà di fare affermazioni del genere cerchi di contestualizzarle. dove si è cercato di fare così? Questi sono discorsi generici e lanciati per far polemica.
“alcuni pazienti non sono schiavizzati dalla società o dagli psichiatri ma dalla malattia” mi basta farle notare che Lei è un medico e per sua scelta.
poi la chicca: “nessun medico potrà decidere di fare lo psichiatra se questo vuol dire essere condannato al posto del paziente”. Le ripeto, non so in che condizioni Lei lavora, non conosco la situazione della sua Ragione, ma credo che un sarebbe più costruttivo un Suo dicorso ben organizzato che permettesse anche agli altri di capire e di poterLe esporre le loro esperienze positive e la loro opinione. Spero che sia stato più che ltro lo sfogo di un giovane e non le serie affermazioni di un medico e che vorrà rivedere o per lo meno meglio spiegare alcune delle sue affermazioni. Barbara Grubissa
Sono una giovane genovese laurenda in servizio sociale (assistente sociale) che aspira a lavorare nel settore della salute mentale. Volevo rispondere al giovane psichiatra di 37 anni.
Ho terminato in questi giorni un’esperienza di tirocinio presso uno dei quattro CSM triestini che, tengo a ricordare, sono aperti ventiquattro ore su ventiquattro sette giorni su sette e dove ho visto operatori che seriamente lavorano e si occupano della salute mentale dei cittadini. Mi spiace avere letto delle parole così pessimiste e anche, se posso permettermi, un po’ “aggressive” di un medico che ha appena iniziato la sua “carriera”. La situazione che io trovo nei servizi genovesi e nella regione Liguria in generale non è così dissimile dalla situazione della sua regione. Io per questo, ho voluto di persona andare a conoscere come lavorano a Trieste per imparare nel mio piccolo, senza sputare sentenze su gli psichiatri basagliani che hanno dedicato la loro vita a realizzare la deistituionalizzazione e a garantire la salute mentale, non solo a fare conferenze come ha scritto lei. Per questo le rinnovo l’invito che già è stato fatto dal signor Morsucci di venire a vedere a Trieste come la legge 180 è stata davvero applicata e come i cittadini che soffrono di un disturbo psichico sono tutelati e aiutati. Tutti.
Giulia Bordi
Scusate ma ho capito solo in seguito che si trattava di un forum di persone che a differenza del sottoscritto sono assolutamente convinte che il sistema in cui lavorano sia il migliore possibile. Quindi basterebbe riprodurre il sistema triestino in tutte le regioni!. L’ho capito tardi solo dopo aver scritto altri commenti che mi sono stati censurati dall’amministratore, ma a questo punto é meglio cosi’ visto che il mio pensiero non é sistematizzato e poi sono inesperto. Non metto in dubbio che a Trieste tutto funzioni bene, cosi come non metto in dubbio che tutti i pazienti soddisfatti delle cure prevalentemente farmacologiche e psicoterapuetiche dei “Cassaniani” siano in buona fede. E sono il primo ad aver detto che ci sono giochi forse poco puliti da parte delle cliniche private per aumentare il ricorso al ricovero anche laddove si potrebbe optare per altre soluzioni.
Attenzione pero’ non sono disorientato, sono solamente una persona che si mette in dubbio e che non é fanatico per natura. Credo che questa sia una qualità, ma forse avete ragione voi senza certezze, anche se basate sulla propria locale esperienza personale, é piu’ difficile lavorare in Salute Mentale.
Non sono preoccupato che gi utenti possano leggere quello che dico sono persone prima che utenti ed hanno capacità critiche superiori alla maggior parte dei colleghi operatori della salute mentale.
Io spero che nessuno tocchi la legge 180 e che nessuno tocchi il sistema Triestino, ma continuo ad attendere la pensione di molti miei colleghi e di molti politici che come direbbe Bersani Samuele “puliscono casa ma non ospitano”.
Solo per puntualizzare che nessun commento è stato censurato. Sono tutti presenti in calce ai seguenti articoli: “Le prime 10 domande sulla contenzione”, “La posizione dell’ASARP sulla nuova incriminazione nel processo Casu” e “L’ambulante morto in psichiatria”. La Redazione.
La ringrazio per aver risposto ammetto che a volte mi è successo di trovarmi in situazioni in cui delle persone lanciavano dardi e poi, a risposta, si azzittivano. Questo lato lo apprezzo. Un forum è tale perchè ognuno ha diritto di dire la propria opinione, il tono con cui lo si fa, però,tante volte, pregiudica la comprensione dell’altro. Non ci conosciamo, per cui non posso valutare se lei è un fanatico o no e, viceversa, lei non può sapere se lo sono io. Spero, come già detto da altre persone, che Lei voglia venire a confrontarsi di persona, come del resto piacerebbe a me saperne di più della sua esperienza. Soprattutto mi piacerebbe parlare con lei su come in un momento di crisi si leggono certe affermazioni. senza nessuna polemica, per parlarne punto. Andrò a leggermi gli altri suoi commenti, che personalmente non ho notato perchè non ho capito il suo cognome. Comunque li cercherò. un cordiale saluto Barbara Grubissa
Per correttezza devo dire che in effetti ho ritrovato i miei commenti probabilmente avevo guardato male.
Sì ogni famiglia ha un malato psichico, allargando la definizione non ai ‘malati’ che non vanno considerati come tali, ma al disagio psichico.
Mi sembra opportuno ripristinare un’idea e un principio che possa portare avnti e,megli, il discorso sulle pratiche, sui percorsi, sui progetti. Innanzitutto cercare sempre di battersi contro le residenze private. a Sanità, in tutti i casi, deve rimanere pubblica. Le impresze e le residenze, come imprese, tendono al profitto per loro natura.
Premetto ancora che sono convinta che il pragmatismo sia un’ideologia forte e che oggi si collega col liberismo economico e col liberalismo.
Se poi per pragmatismo si vuole intendere ‘buone pratiche’ allora si usi questo nome. C’è anche una filosofia dell’agire., ma quella sconfina nel fascismo.
Oggi tutti si proclamano pragmatici, ciò che serve a giustificare non il pragmatismo filosofico, ma la mancanza di idee, di passione di ricerca.
Mi riferirei piuttosto a certe idee e pratiche di Basaglia, che aveva un quadro generale del rapporto servizi -cura.
E vorrei continuare sulla linea, avanmzando nei progetti e non fermandomi a quello che c’è., all’esistente.
Vorrei aggiungere che non tutte queste risposte ai bisogni del disagio mentale sono state realizzate, bisognerà ancora sperimentare progetti e percorsi molto personalizzati. Che la ricerca continua. Molto importante far convivere persone con disagio con persone cd normali, imparare a gestire insieme una convivenza, riabituare la persona sofferente a gestire spese di alloggio, amministrare , dividere compiti in casa. Progetti di convivenza, che facciano progredire la persona con disagio nella vita quotidiana, che verrà accettata meglio dallo stesso. Il problema èproprio lì, nell’accettazione del quotidiano di persone che spesso non hanno retto alla paura di essere inadeguati a essere aaccettati a inserirsi nel lavoro, a vivere la casa e la quotidianità. Accettare il quotidiano è difficile per tutti, come accettare la competizione e le ansie di prestazione.Ciò che genera paura e amsia nelle persone più deboli, fino a sfociare nella malattia. Hanno un pianto chiuso dentro che non può sfociare in parole strutturate o lacrime.
Naturalmente tutto questi progetti di convivenza devono esser preceduti da una formazione adeguata dei conviventi.
Vi ricordo che tutti in famiglia hanno un anoressico, un bulimico, un alcolizzato, uin tossicodipendente, un depresso, un o chefa stolking o lo subisce. Il padre che molesta i figli giovani.La madre competitiva e ansiogena.
C’è da lavorare perchè la famiglia è,e forse lo è sempre stata, fucina di nevrosi e psicosi.Comunque di ansie a volta igestibili in quel luogo.
La formazione avanti tutto e la passione della ricerca per migliorare noi stessi e alleviare sofferenze, favorire l’inserimento, ma soprattutto far vivere a coloro che soffrono una vita degna di essere vissuta.