La proposta di testo unificato sul Ddl “Disposizione in materia di assistenza psichiatrica” del 29 luglio 2010 elaborata dal relatore On. Ciccioli presenta diversi elementi negativi che nel complesso rendono la proposta inaccettabile.
Se l’obiettivo che ci si pone è quello di garantire, in tutto il territorio nazionale, come prevede la Costituzione, il diritto alla salute mentale e alle cure, e di sostenere le persone con disagio mentale e le loro famiglie, non serve una modifica del quadro legislativo, in particolare delle leggi “cardine”, 180 e 833 del 1978; esse offrono una strumentazione ampia, che semmai è stata ancora poco utilizzata in questi anni. Le “manutenzioni normative” sono sempre possibili, ovviamente se necessarie, ma nel caso del DdL in esame si tratta di uno stravolgimento della 180 e della 833.
Il problema è che, accanto ai successi della 180 (i manicomi sono stati chiusi, centinaia di Centri di Salute Mentale sono stati aperti diffusamente, nuove buone pratiche di cura e di assistenza hanno progressivamente sostituito l’internamento e la mera contenzione) più volte i principi sono rimasti sulla carta e il diritto alla salute mentale e alle cure non è stato, e non è, sempre garantito su tutto il territorio nazionale. E troppo spesso l’unica risposta è il ricovero, persino la contenzione, in “nuovi cronicari”. Oppure la sola risposta farmacologica a bisogni complessi, che riguardano oltre all’assistenza sanitaria, anche l’inclusione sociale, abitativa, lavorativa, il sostegno e il sollievo alle famiglie.
Ma queste difficoltà non si superano con la modifica della legge 180, anzi. Il problema di questi anni è stati il contrario: la resistenza ad applicarla.
Serve invece dare sostegno e orientamento alla programmazione e all’organizzazione delle attività delle Regioni, delle ASL e dei Comuni, titolari di gran parte delle competenze in materia. E serve colmare il divario sulla quantità e sulla qualità dell’assistenza e dei servizi tra le regioni e tra territori. Ad esempio l’obiettivo di aprire i CSM 24 ore per sette giorni alla settimana sarebbe “rivoluzionario” …
Perciò è necessario rilanciare la proposta di una nuova Intesa Stato Regioni per l’attuazione dei un nuovo Progetto Obbiettivo per la Salute Mentale (l’attuale risale ormai al 1999), partendo dalle Linee di Indirizzo concordate fra Regioni e Governo nel 2008 (Ministro della Salute Livia Turco). Ciò significa riaprire un dibattito sul diritto alla salute mentale.
Invece la proposta di legge “Ciccioli”– con la “centralità” del Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) prolungato e del ricovero – rischia di legittimare le peggiori pratiche di questi anni, non di sconfiggerle.
Si riapre, seppur in mutate forme, il capitolo dei Manicomi (in alcuni casi utilizzando il TSO o il TSNEP come porta di ingresso al ricovero coatto e permanente).
Si tratta di una deriva “securitaria” che può e deve essere sconfitta, perché la logica manicomiale è diventata, nella coscienza di molte persone, simbolo illiberale di una repressione inaccettabile.
Di seguito i punti di maggiore criticità del ddl Ciccioli:
Delega al privato
Nell’articolo 1 si prevede che il Dsm possa assicurare “indirettamente” tutte le attività di prevenzione, cura e riabilitazione ma il punto più rilevante è la possibilità di effettuare il trattamento necessario extraospedaliero prolungato TSNEP (ex Tso di 6 mesi rinnovabili senza limite) in “comunità accreditate”.
Inoltre le Regioni devono individuare circa 3.000 p.l in “strutture residenziali di riabilitazione intensiva” presso cui disporre il trattamento sanitario necessario TSN (ex Tso di 21 giorni rinnovabili senza limiti). E’ del tutto evidente che questa possibilità (TSNEP e in strutture private) rischia di diventare la scelta prevalente (la scorciatoia che non implica alcuna presa in carico del cittadino anzi uno “scarico”).
Trattamento sanitario obbligatorio prolungato
E’ il cuore del provvedimento con il quale si allunga a 21 giorni rinnovabili l’ex Tso (nuovo TSN) e si istituisce un ulteriore ex Tso prolungato (nuovo TSNEP) della durata di 6 mesi rinnovabili con limitazioni della capacità o della libertà di agire del paziente su decisione del giudice tutelare. Proprio sul Trattamento Sanitario Obbligatorio non abbiamo bisogno di nuove norme, tanto più di fronte alle Raccomandazioni approvate all’unanimità dalla Conferenza delle Regioni nel 2009. Sono indicazioni forti, anche per i casi più “difficili”.
Pericolosità sociale
Si tratta della linea guida che ispira tutto il provvedimento. Il concetto della pericolosità si manifesta nei TSN in apposite strutture di “riabilitazione intensiva”, nell’obbligo per il Dsm di trovare una soluzione residenziale quando la convivenza in famiglia “comporta dei rischi per l’incolumità del malato stesso o dei suoi familiari”, nel reperimento di spazi adeguati nelle case circondariali per i “malati di mente autori di reato che, per la persistenza della loro pericolosità sociale, non possono essere trattati all’esterno del luogo di detenzione”. Anche la stessa istituzione di equipe mobili per le realtà metropolitane per interventi urgenti 24 ore su 24 potrebbe originare come risposta immediata verso chi è socialmente pericoloso. Questo della pericolosità sociale è la faccia forse più insidiosa dello stigma.
Esclusione sociale e psichiatrizzazione organicistica
Insieme a chi soffre di disturbi psichiatrici i Dsm si dovrebbero occupare di dipendenze patologiche, di psicogeriatria e di neuropsichiatria infantile, in una sorta di contenitore delle “devianze” e anche questo evoca l’idea della psichiatria repressiva.
Ad essere obbligato a recarsi al domicilio del paziente che diserta gli incontri è solo il medico, in una logica organicistica che non tiene conto delle diverse professionalità (psicologo, infermiere, assistente sociale, etc.) che in stretto rapporto di collaborazione devono prendersi carico di chi soffre di disturbi psichiatrici.
Vincolo di spesa
La proposta dei 3.000 pl per il TSN (oltre 200 milioni annui applicando al minimo il vigente tariffario della riabilitazione) è priva di ogni copertura economica e comunque è uno spreco di risorse pubbliche, oltretutto per finanziare i “nuovi manicomi”, che dovrebbero essere destinate invece a sostenere l’apertura dei servizi di prossimità e per l’integrazione socio sanitaria (es. i CSM nelle 24 ore, servizi per l’inserimento lavorativo, ecc).