di Mara Mazzola
Da cosa deriva la necessità di un incontro tra giornalisti, operatori socio-sanitari, persone con esperienza diretta del disturbo mentale per discutere di comunicazione della salute mentale?
«Per sgretolare lo stigma», dice Morena di Psicoradio Bologna: «attraverso la radio riusciamo a prendere parola anche noi, riusciamo a fare sentire le nostre voci. Fare radio per me significa sia imparare cose nuove sia una forma di terapia». La radio quindi come strumento di comunicazione “antistigmatica”, per far capire alle persone “portatrici sane di follia” (come lei stessa le ha definite) che chi ha un disagio mentale deve poter avere la loro stessa dignità e uguali diritti.
«Per rompere il pregiudizio nei confronti delle persone con disagio mentale», afferma Gianluca Lisco, psicologo, psicoterapeuta e responsabile di Radio Fuori Onda di Roma, «è indispensabile creare condizioni di scambio favorendo esperienze di partecipazione e di contatto».
Prima della legge Basaglia, infatti, i “matti” erano rinchiusi nei manicomi e alienati dal resto del mondo. Soli, abbandonati a loro stessi. Senza una via di uscita.
Ma poi qualcosa è cambiato. «La più grande rivoluzione di questi ultimi secoli», ha dichiarato Dacia Maraini, intervenuta telefonicamente durante l’incontro triestino. «Franco Basaglia», continua la scrittrice, «ha ridato dignità alle persone e una speranza di guarigione». Guarigione: perché è ancora così difficile credere che si possa guarire da un disturbo mentale?
Per mero e proprio pregiudizio, quello stesso pregiudizio che prende il sopravvento nelle pagine di cronaca nera: giornali e tv che associano alla follia atti violenti, omicidi efferati, come a voler sostenere che simili gesti possano essere commessi solo da “pazzi”, conclamati o anche solo sospettati.
«Titoli come “Schizofrenico uccide la madre” sono offensivi», sostiene Massimo di Psicoradio. «La stigmatizzazione parte soprattutto da qui, dall’ignoranza diffusa che esiste quando si parla di disagio mentale», continua. «È necessario che questi titoli vengano cambiati», conclude Massimo.
Il desiderio di cambiare questo stato dei fatti e produrre una più corretta comunicazione della salute mentale si è concretizzato nell’iniziativa de “La Carta di Trieste”, un tentativo di costruire un codice etico, una sorta di protocollo deontologico per giornalisti che trattano notizie su cittadini con disturbo mentale e questioni legate alla salute mentale in genere.
La Carta nasce, come ha detto Kenka Lekovjch, giornalista promotrice di questa iniziativa, «da un grande e importante lavoro di condivisione di tutti i soggetti interessati partendo due princìpi di fondamentale importanza: rispetto della dignità della persona e della verità dei fatti».
Fra i partecipanti all’incontro, tenutosi il 23 giugno scorso all’ex manicomio, Roberto Natale, Segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. «Dobbiamo educarci all’uso preciso delle parola ed evitare la spettacolarizzazione», sono alcune delle affermazioni dette da Natale. «Non basta scrivere e usare termini giusti. C’è gente che vuole parlare e i giornalisti devono ascoltare, lo spazio ci sarebbe, sia in tv che sulla carta stampata». Un passaggio particolarmente significativo, questo, che riassume la volontà di collaborazione e la comunità d’intenti.
Un primo passo verso una “buona pratica” della comunicazione della salute mentale è stato fatto. Prossimo appuntamento in ottobre.