Non diciamo il suo nome, né da quale paese proviene. Ci basti sapere che è un cittadino di questo pianeta che ha sbagliato e che per il suo errore si trova recluso in un carcere del Nord Italia. A scontare, neanche trentenne, una pena di 16 anni. E che parla un ottimo italiano, con gli accenti e le virgole giuste, che non si impara guardando la televisione. Così come non si impara a recitare a memoria l’ultima Circolare del Ministero della Giustizia e commentarla, tenendosi informati sui propri diritti e opportunità. Lo incontriamo nella palestra della Casa di reclusione di Padova, al convegno “Spezzare la catena del male” durante la pausa pranzo, offerta da un gruppo di chef e pasticceri detenuti.

Sono deliziosi questi pasticcini. Dove ha imparato a farli?

«Qui, in carcere. Sono entrato in un programma di formazione, mi sono dato da fare, ho imparato un mestiere. Non è poco».

Come si vive in carcere?

«In questo dignitosamente. Dove stavo prima, in una città del Sud, ero una bestia».

Dove sta la differenza tra un carcere umano e uno che non lo è?

«Nel rispettare o non rispettare la legge, la Costituzione in primo luogo. Se la si rispetta, quando usciamo siamo uomini migliori di prima. Significa che bisogna investire. Mandarci a lavorare, studiare, insegnarci qualcosa di utile, aiutarci a diventare responsabili, a rispettare gli altri. Ma se non sei rispettato, è difficile che impari a rispettare».

Come risolverebbe l’emergenza carceri?

«Aprendo di più. Chiudere non serve a niente. La cosa che qui dentro più aiuta è l’esterno. Se non hai contatti con chi vive fuori, e non dico soltanto con i familiari – perché molti di noi sono stranieri e non hanno nessuno – soffochi. Creare occasioni di scambio è vitale, come questa di oggi per esempio. Che cosa posso imparare, come posso cambiare, se tutto il giorno non faccio che vedere me stesso allo specchio? Lo vediamo con i suicidi. Quanta gente si uccide in isolamento»?

Che ne pensa della Circolare del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. NdR) del 26 aprile scorso per far fronte all’allarme suicidi in carcere?

«In linea di principio la trovo positiva. Era ora che ci concedessero di usare i cellulari per parlare con le nostre famiglie. O di poter telefonare più spesso all’avvocato. Meno chiaro è il punto che prevede la valorizzazione degli spazi dove si incontrano i familiari. Non so proprio a quali spazi ci si riferisce. Lei è mai entrata in una stanza per i colloqui? E sto parlando di carceri come questo, a cinque stelle».

Korallina

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