Giovedì 13 maggio 2010 è stato il trentaduesimo anniversario dell’approvazione della legge 180/1978 di riforma psichiatrica. Sono trascorsi circa trentacinque anni da quando, giovane laureando in Medicina e Chirurgia, dopo avere ascoltato con interesse una conferenza in cui veniva criticata la legislazione manicomiale allora in vigore, proposi al congresso del Partito Radicale del novembre 1975 a Firenze l’iniziativa di raccogliere le firme per un referendum abrogativo della legge manicomiale del 1904 e del relativo regolamento manicomiale del 1909.
Incredibilmente per me, quella proposta fu accettata ed inclusa nel pacchetto di richieste referendarie. Raccolte le previste firme ed espletatesi le successive procedure, il Presidente della Repubblica indisse le votazioni nella domenica del 11 giugno 1978: invece il 13 maggio 1978 – alcune settimane prima – fu approvata la legge 180 di riforma psichiatrica e quel referendum non si tenne. Ho sempre ribadito anche in articoli giornalistici che l’approvazione della legge 180 evitò il referendum – promosso dal Partito Radicale – e però evitò anche l’ampio confronto nel paese su di un tema – la follia -, che suscita una profonda paura, seconda unicamente alla paura della morte. Pertanto ad una significativa riforma è stato sottratto il diffuso dibattito (nel caso di svolgimento del referendum), che avrebbe invece consentito ai cittadini un’adeguata elaborazione e di affrontare già allora gli aspetti che negli anni successivi hanno determinato inadempienze e disagi.
In tutti questi lustri ho promosso ed organizzato (con varie collaborazioni ed adesioni) convegni e dibattiti sul tema dell’applicazione e della valutazione di proposte di modifica della legge 180/1978 di riforma psichiatrica:
* I disegni di legge di modifica della riforma psichiatrica: confronto e proposte degli operatori (Napoli, 20 dicembre 1984);
* Le proposte di legge di modifica dell’assistenza psichiatrica: convergenze e divergenze (Napoli, 13 maggio
1991);
* Verso la riforma dell’assistenza psichiatrica: confronto sui progetti di legge al vaglio del Parlamento (Napoli,
27 novembre 1993);
* Quali modifiche della legge di riforma psichiatrica (Napoli, 13 maggio 1994);
* 13 maggio 1978 – 13 maggio 1998: Venti anni di riforma psichiatrica (Napoli, 13 maggio 1998);
* Venticinque anni di Riforma Psichiatrica: convergenze e divergenze (Napoli, 15 maggio 2003);
* 13/5/1978 – 13/5/2008 30 anni di Riforma Psichiatrica: bilanci e prospettive (Napoli, 13 maggio 2008).
In tali incontri ho sempre affermato che l’approvazione della legge 180 oltre ad evitare il referendum ha spiazzato – nell’anticipare la successiva riforma sanitaria del dicembre 1978 (la 833) – le impreparate amministrazioni regionali, che impiegarono parecchi anni per varare le relative normative regionali, lasciando le Unità Sanitarie Locali di allora nel più completo isolamento, prive di direttive ed affidate alla buona volontà degli operatori del settore. Pertanto l’attuazione del modello organizzativo previsto – basato sulla centralità dell’assistenza psichiatrica territoriale rispetto al ricovero ospedaliero – ha subito vicende alterne, scontrandosi con le risapute inefficienze e burocraticismi degli enti locali e gli stessi operatori, impegnati nell’applicazione delle nuove modalità di assistenza psichiatrica – previste dalla legge 180/1978 – si sono continuativamente scontrati con marcati inadempimenti, con vistose indisponibilità di mezzi e risorse e talvolta con vere e proprie ostilità del contesto, che non era stato messo in condizione di confrontarsi con un cambio di atteggiamento a livello culturale (e quindi normativo) nei confronti del malato mentale.
Gli sviluppi scientifici dei modelli biologico, psicoterapeutico, psicosociale consentivano di affrontare in maniera multidisciplinare la malattia mentale in un contesto che invece era condizionato ancora notevolmente dalla paura della follia da un lato e dall’altro dalla mancanza di efficienza delle istituzioni, logorate dalla frammentazione degli interventi e legate a tempi oggettivi completamente distanti dalle esigenze della collettività.
Insomma in Italia anche quelle volte in cui si varano norme riformatrici, poi occorrono lustri prima che siano concretamente ed ordinariamente applicate: un modo del tutto italiano di riformare.
Inoltre le risorse finanziarie destinate per la promozione della salute mentale e del benessere psicofisico sono considerate erroneamente una spesa, quando sono invece nei dati delle ricerche forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un investimento, in quanto la maggiore risorsa naturale delle nazioni sono i cittadini e perciò promuovere efficacemente la salute ed il benessere dei cittadini significa dunque incrementare la prosperità di una nazione.
Se si intende inoltre per prevenzione non solamente la diagnosi precoce e la rimozione delle possibili cause patogene, bensì la promozione e l’impiego di tecniche e metodiche attinenti alla più specifica delle risorse dell’individuo – la sua mente -, allora ne deriva che per la prevenzione del disagio psichico e l’implementazione della salute mentale occorre incrementare l’accessibilità alle cure nelle sue varie articolazioni. Alla salute mentale viene in molti paesi destinato meno dell’1% dei fondi sanitari e la stessa salute mentale non ha la priorità che le andrebbe attribuita, in considerazione anche del fatto che quella mentale è la più specificamente umana delle malattie.
Infatti mentre gli sviluppi scientifici dei modelli biologico, psicoterapeutico, psicosociale consentono di affrontare in maniera multidisciplinare la malattia mentale, invece in molti contesti la paura della follia costituisce un deterrente, che interferisce con l’adeguato trattamento dei disturbi mentali.
Quindi vincere il confronto con l’esiguità dei fondi ed i pregiudizi che ancora ineriscono la malattia mentale è la svolta che consentirebbe di investire sulla promozione della salute mentale e del benessere psicofisico dei cittadini, piuttosto che cronicizzare le cure e quindi finire con l’impiegare più fondi e più risorse, senza ridurre significativamente il rischio di disagi psichici e disturbi mentali.
In Italia – dove c’è stato un considerevole aumento del consumo di psicofarmaci – il futuro della legge 180 è dunque affidato alla scelta politica di voler destinare le risorse adeguate all’assistenza psichiatrica, sia tenendo conto che rendere operative e funzionali strutture che seguano il paziente psichiatrico nelle varie fasi del percorso assistenziale è un impegno politico-sociale di civiltà con i suoi relativi costi, sia rendendosi conto che tale scelta va anche sostenuta a livello culturale con informazioni ed iniziative, che contribuiscano ad elaborare la radicata paura della follia.
Altrimenti si corre il rischio di rientrare nell’ambito delle tentate soluzioni, che possono anche aggravare la situazione piuttosto che renderla migliore: è questo il nodo principale che ha da affrontare la Commissione Affari Sociali della Camera, la quale sta affrontando e dibattendo varie proposte di modifiche della legge 180/1978, come del resto è stato fatto ad ogni legislatura da lustri senza addivenire ad una nuova legge (fosse anche una 180 bis!).
di MAURIZIO MOTTOLA per Agenziaradicale.com