Grazie, grazie, grazie. Apprezzamento e riconoscimento per il lavoro eccezionale vanno agli organizzatori e a tutti quelli che hanno reso possibile l’incontro internazionale, che cos’è salute mentale, dal 9 al 13 febbraio a Trieste.
Nel parco del San Giovanni, innevato, tirava una bora sana, una calorosa accoglienza si respirava, quasi fossimo in un mondo virtuale. Invece era reale. Io penso che ognuno di noi percepisse che era un incontro da” chi suona la campana”. Una campana i cui rintocchi roboanti avevano il sapore del siamo qui e ora, in migliaia. Tra l’ entusiasmo e il senso di ritrovamento.
Da lì si è ri-partiti, da lì una nuova rinascita culturale e civile è stata tracciata . Almeno questo è l’auspicio. Rinascita che avrà effetti contaminanti in diverse parti del mondo, come i primi impegni dimostrano. Energici dalla persuasione delle ragioni e convinzioni di riedificare una nuova stagione di impegno sulle politiche della salute mentale. Proprio come le grandi occasioni in cui c’è un bisogno estremo di rivolgersi alle coscienze.
Fermenti di passioni, di emozioni pervadevano ogni seminario, ogni persona. Un incontro fecondo da cui propagava aria di speranza. E che, finalmente trova luogo, parola, approvazione. Se ne ri-parla con tono fermo e deciso, senza ondeggiamenti. Agli utenti in primis, alle famiglie, e agli operatori, fa bene sentire parlare di orizzonti di speranza. Siamo tutti coinvolti, nessun si senta estraneo a questo sogno.
Certo l’anima della sogno va ricostruita. I germi a Trieste sono stati rigettati, la presenza e la partecipazione così composita di persone, gli argomenti, i temi, i contenuti affrontati, hanno impresso un profondo segno di vitalità e di vigore. E’ sensazione condivisibile?
Nelle Palazzine, nel teatro e nel Dipartimento di salute mentale del parco San Giovanni, hanno avuto luogo i lavori seminariali. Spazi riconsegnati alla vita culturale della città, contornati da bellissimi campi di rose e a un’estetica elegante e sobria.
Palazzine, un tempo spazi in cui si consumavano nefandezze umane, orrori e sofferenze, nel silenzio e nell’indifferenza dei soloni, sempre pronti a spinte regressive e punitive.
In questa aurea e in uno dei seminari, sotto il cielo di Trieste, meglio sotto il cielo del parco della cultura di San Giovanni dell’ ex ospedale psichiatrico, mi sono lasciato per un istante guidare dalla fantasia, un’ immagine metaforica mi è balzata alla mente. Ho visto rondini svolazzare: Il mio sguardo si è imbattuto su di esse, un risveglio simbolico, quasi un presagio di quello che sarebbe stata l’atmosfera dei giorni successivi: rondini che cospargevano sul terreno messaggi di incitamento a riprendere e proseguire lo spirito, la passione, il pensiero umano e culturale di Basaglia. L’uomo della liberazione e del riconoscimento dei diritti sociali dei matti, dei deboli, degli ultimi.
Rondini, messaggeri di orizzonti di vita.
Ancora una volta a Trieste e da Trieste ho ricaricato la mia sacca. Ne avvertivo un bisogno. Ma anche la voglia di dire che il patrimonio, il potenziale di cui disponiamo, da nord a sud, bene evidente, deve avere un effetto e un ‘azione contaminatrice. Non possiamo e non dobbiamo tentennare, esitare. Ognuno è chiamato a rispondere delle proprie responsabilità, delle proprie azioni. La profondissima crisi politica, culturale, morale ed economica del nostro paese, deve indurci a azione corali, ad andare fuori, farsi vedere e ricostruire con pazienza lo spirito civile delle lotte per i diritti sociali. Si, la realtà ora è altra cosa e ne siamo consapevoli. Ma possiamo continuare a “subire” questa realtà che non ci piace?
Ho partecipato a diversi seminari, strapieni, in cui si leggeva nelle facce delle persone entusiasmo, frenesia, il cui gusto era voglia di riscatto, fieri di esserci. Di poter raccontare in libertà esperienze assai dolorose e che costano fatica, tanta fatica.Di consegnare e condividere con i presenti intimi dolori, laceranti esperienze. Vite profondamente segnate e pur tuttavia cariche di insegnamenti e di ripresa della propria esistenza. E’ proprio sul narrare che desidero soffermarmi per descrivere le mie impressioni relative al workshop: l’insano gesto, incontro tra operatori dell’informazione e cittadini utenti dei servizi di salute mentale.
Dalle testimonianze è emerso un bisogno vigoroso di narrare storie. Storie, sofferenze ed esperienze alle quali va dato spazio, conoscenza e condivisione. Perché troppo a lungo sono rimaste dentro le mura di casa. O dei manicomi. Sono l’esperienze che vanno veicolate perché aiutano a far capire, se volgiamo che gli altri comprendano. Farle veicolare a una larga opinione pubblica. Che l’opinione pubblica ne parli, ne sia investita perché ancora sa molto poco, è indifferente, piegata alla paura nei confronti dei matti, paura che genera insicurezza e l’insicurezza contribuisce al clima di caccia alle streghe: matti, rom, stranieri. Si collettivizza l’idea secondo la quale la persona con disturbi mentale in quanto pericolosa e non come persona bisognosa di cure. Questa è la grande battaglia culturale che occorre sostenere. Su larga scala.
Se le parole, le facce, gli sguardi delle persone che hanno attraversato il disturbo mentale e dei familiari, avessero attenzione da parte di operatori dell’informazione, correttamente e ben informati, potrebbero contribuire a trafiggere il muro dell’omertà e della paura che ancora persiste nell’immaginario comune. I mass media si occupano poco e male di salute mentale. Chissà che il seminario di Trieste non abbia gettato germi che possano rigettare basi nuove per educare a una cultura aperta a relazioni e a legami sociali.
Dobbiamo farlo. Occorre farlo oggi, con determinazione, poiché si restringono sempre più gli spazi di libertà e i diritti degli ultimi, delle persone con disturbo mentale.
La storia di ciascuno diventi memoria, onore, giustizia e sprazzi di felicità. Nulla vada disperso. Mi viene da dire che è un modo c’è ed è quello che ciascuno ricominci da se, che si attivi nell‘assumersi la propria responsabilità, che ridiventi protagonista unitamente ad altri per un disegno condiviso di società più umana, rispettosa e civile
La narrazione che parli e si rapporti anche ad altri. A una società che comprenda che scivolare dentro la sfera della follia, non è una cosa dalla quale non si possa più uscire. E’ una battaglia culturale cruciale. Forse in futuro è possibile portare avanti questa battaglia poiché l’intento della “carta per un giornalismo della speranza” è anche dare voce agli attori, ai protagonisti della salute mentale. Ma se vogliamo che l’azione di informazione sia efficacia, ampia e colpisca, l’opinione pubblica, in realtà, diventa l’obiettivo precipuo, perché è questo il terreno su cui bisogna lavorare; sensibilizzare a una cultura della conoscenza del disturbo mentale. La costruzione di un’opinione pubblica che sa, che è informata, rompe il pregiudizio, l’isolamento, la paura nei confronti dei folli. Indubbio che atteggiamenti consapevoli da parte dell’opinione pubblica nei riguardi delle persone che vivono l’esperienza della salute mentale, contribuiscono ad abbassare la soglia di isolamento sociale, ciò significa ricadute con effetti positivi sulle persone.
L’incontro con i giornalisti è stato un’ occasione per dire loro che per fare del buon giornalismo sulla salute mentale è indispensabile che gli operatori dell’informazione conoscano da vicino le facce delle persone, le loro storie di sofferenza, che stiano accanto a loro, che dedichino del tempo per conoscerle e scoprire che ci sono anche storie meravigliose, cariche di significati e di insegnamenti di vita. Insegnamenti che oggigiorno suonano come pietre.
Da parte mia ci sto provando a narrare la storia della mia famiglia, del mio percorso personale di oltre 35 anni di impegno per la salute mentale. Al termine del seminario alcuni giornalisti della carta stampata di Repubblica, de L’Unità e dalla Rai si sono resi disponibili a valutare ed eventualmente a pubblicare la mia storia. La cosa avrà senso e significato, se ci sarà continuità nel pubblicare le narrazioni di tanti, di molti. Se le storie, le nostre storie, diventeranno le storie degli altri. Forse questa potrebbe essere un’altra strada per ridare valore, riscatto, futuro, in primis agli utenti e alle loro famiglie.
Credo che sia fondamentale arrivare a costituire, quanto prima, un coordinamento di un gruppo di lavoro di utenti, familiari, associazioni e operatori dei servizi di salute mentale in grado di raccogliere materiale da far pervenire ai mass media.
Mi rendo disponibile da subito a far parte del gruppo di lavoro
Alcune osservazioni:
1. La politica è stata assente.
Sarebbe stato opportuno che in un incontro di quella importanza e rilevanza, ci fosse stata la presenza di rappresentanti politici locali, regionali e nazionali. In altre parole è mancato a mio avviso un confronto, un dialogo tra politica-amministratori e mondo della salute mentale. Almeno questa è stata la mia l’impressione, tra l’altro, condivisa con alcuni operatori, i quali hanno ritenuto pertinente la mia osservazione.
Mi sono chiesto: perché la politica fosse assente? Possiamo farne almeno? E’ stata una scelta? Sono stati invitati e non sono venuti? Forse limiti organizzativi e di risorse? Mi rende conto che il rapporto tra mondo politico e salute mentale non è e non è mai stato sicuramente tra i più facili. Tuttavia, questo non deve esimerci da incalzare chi ha responsabilità politiche e amministrative. Ritengo sia fondamentale avere rapporti dialettici/conflittuali, con gli amministratori, qualora se ne ravvisi la necessità.
2. Assente anche un certo mondo intellettuale di casa nostra….
Penso a uomini e donne, ad esempio: A.Albanese, M.Serra, D.Fo, U.Galimberti, S.Natoli,Ottavio Piccoli, Clara Sereni e molte altre, giusto per fare alcuni nomi. Persone intellettualmente ed eticamente ogni giorno impegnati ciascuno con il proprio sapere con il loro mestiere, ad arginare la deriva di una società confusa, smarrita, melmosa culturalmente, in cui nessuno è colpevole di niente, nessuno ha responsabilità di niente, poiché il privato ha divorato la cosa pubblica, e questo ha spinto prepotentemente a comportamenti onnivori. La sanità purtroppo ha tristi primati e spolpata per bene in diverse regioni.
Abbiamo bisogno o no di queste intelligenze? Possono o no costituire massa critica nella ricerca di un nuovo rinascimento del nostro paese, di cui tanto c’è bisogno? Io penso che occorra mettere insieme un fronte ampio di soggetti, di alleanze, perché nel panorama politico attuale, la questione della salute mentale è solo un segmento. Potrebbe trovare più forza e attenzione nell’ambito di una piattaforma di politiche sociali più ampia.
3. Altra osservazione:
amministratori di aziende ospedaliere e di Asl hanno messo in luce cose buone che hanno realizzato. Bene tutto ciò, ma non basta. Occorre, invece, porre con vigore l’attenzione su quello che manca, su quello che non si è realizzato, dove e perché. Ad esempio: se e che tipo di coinvolgimento c’è nel rapporto tra operatore e utente, se ci sono servizi aperti soddisfacenti per l’utenza, le famiglie e gli operatori, chi e in che modo valuta la qualità dei servizi, quali sono gli indicatori. E soprattutto se ci sono verifiche costanti nel tempo circa la qualità di vita delle persone con disturbi mentali, se si ricorre alla contenzione, se c’è cura tra di cura e chi viene curato. Se la cura avviene nel contesto territoriale in cui le persone vivono, se c’è inclusione sociale e quanta, se e quanto pervasiva è l’ esclusione sociale.
di Andrea Meluso, Ass. di Volontariato Tartavela, Milano