Per la prima volta, grazie all’impegno di L’Altro Diritto – Società della Ragione Onlus e Fondazione Franco Basaglia, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha stabilito che l’Italia ha violato i diritti umani di un paziente psichiatrico, immobilizzato con forza e trattato con farmaci pesanti in un ospedale. Questa pratica è stata condannata come inumana e degradante. La recente sentenza della CEDU nel caso Lavorgna c. Italia rappresenta un precedente di grande rilievo per il sistema giudiziario italiano, poiché è la prima volta che la Corte condanna l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in un caso di contenzione meccanica e farmacologica all’interno di un reparto psichiatrico. La sentenza riconosce che il trattamento riservato al paziente durante la sua degenza presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dell’Ospedale di Melzo è stato inumano e degradante, in violazione del divieto assoluto di trattamenti inumani e degradanti stabilito dall’articolo 3 della Convenzione.

Il caso coinvolge Matteo Lavorgna, diciannovenne all’epoca dei fatti, affetto da un disturbo psicotico non altrimenti specificato. Il giovane era stato ricoverato volontariamente il 30 settembre 2014 su consiglio del suo psichiatra, il quale aveva ritenuto necessario un intervento protetto per evitare che la situazione degenerasse. Tuttavia, in seguito a un episodio di aggressività verso i genitori durante una visita, lo SPDC aveva applicato misure di contenzione meccanica, immobilizzando Lavorgna al letto per quasi otto giorni consecutivi, nonostante fosse già sottoposto a pesanti sedazioni farmacologiche. Il ricorso, depositato presso la CEDU, si basava sulla denuncia del giovane per maltrattamenti e coercizione da parte del personale medico, con accuse riguardanti anche l’omissione di un’adeguata verifica sulla necessità di prolungare la contenzione meccanica, nonostante Lavorgna fosse in stato di calma apparente e sotto controllo medico. In Italia, la sua denuncia era stata archiviata dal tribunale, che aveva ritenuto legittimo l’uso della contenzione in quanto misura necessaria per evitare rischi futuri.

Nella sentenza del 7 novembre scorso, la Corte di Strasburgo ha stabilito che il trattamento subito da Lavorgna costituisce una violazione sostanziale e procedurale dell’articolo 3 della Convenzione. La Corte ha, infatti, evidenziato come la prolungata contenzione meccanica non fosse giustificabile, in quanto la condizione di pericolo che ne aveva determinato l’applicazione non persisteva più con tale intensità, mancando così di motivazioni oggettive e necessarie. Inoltre, la Corte ha censurato l’inefficacia dell’indagine condotta in Italia, non ritenendola conforme agli standard richiesti per un accertamento trasparente e indipendente. Gli interventi delle due associazioni sopracitate hanno contribuito in modo significativo alla decisione della Corte, sostenendo che, in assenza di norme chiare sui limiti della contenzione meccanica in ambito psichiatrico, tale pratica debba essere giustificata solo in casi di necessità assoluta e comprovata, come prevede l’articolo 54 del Codice penale. Le organizzazioni hanno evidenziato che la contenzione non può essere usata a scopo cautelare, ma esclusivamente per rispondere a un pericolo concreto e imminente, come confermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione italiana nel caso Mastrogiovanni.

La decisione della CEDU apre un’importante riflessione sulla necessità di stabilire regolamentazioni più precise e rigide in merito all’uso della contenzione in contesti psichiatrici. Il caso Lavorgna solleva interrogativi su un utilizzo della contenzione che appare non solo ingiustificato dal punto di vista della necessità medica, ma anche lesivo della dignità umana. Tale pratica si pone in contrasto con il principio di proporzionalità richiesto per le misure restrittive della libertà individuale. Inoltre, la sentenza sollecita una riforma dei protocolli sanitari italiani, poiché attualmente mancano norme specifiche che disciplinino la contenzione meccanica e farmacologica. La Corte Europea ha ribadito che la contenzione meccanica non deve essere considerata un intervento terapeutico, ma un mezzo di sicurezza, utilizzabile solo come ultima risorsa e per il minor tempo possibile. La condanna dell’Italia segna, quindi, un passo significativo verso una maggiore tutela dei diritti delle persone affette da disturbi psichiatrici e potrebbe stimolare il legislatore italiano a intervenire con normative specifiche, in linea con gli standard di diritti umani delineati dalla CEDU e dalle linee guida del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (CPT).