Pier Aldo Rovatti risponde a Sacks
Ecco, di nuovo, levarsi una canzone da organetto – come la chiamerebbe Nietzsche – che ormai conosciamo bene. Come erano belli e come si stava bene nei vecchi manicomi! Questa canzone viene suonata ancora oggi, e non per caso. I folli sono in mezzo a noi, qualcuno magari aggredisce il premier, qualcun altro si getta contro il Papa. Non è forse arrivato il momento di por mano alla legge Basaglia e cambiarla?
Sappiamo bene, qui a Trieste, quanto sia ottusa e indecente questa canzonetta. Un grande incontro internazionale (”Per una rete mondiale di salute comunitaria”) è annunciato per febbraio a San Giovanni, nel parco dell’ex manicomio. Si vorrebbe possibilmente andare avanti, non indietro.
E passi che la canzonetta venga messa in bocca alla ministra Carfagna. Ora, infatti, si scomoda un nome grosso, Oliver Sacks: un suo ”elogio della follia” viene tradotto (Sacks è americano) sulla Rivista dei libri di gennaio, e anticipato con grande rilievo sulla stampa nazionale. Sacks è persona intelligente, ma qui inanella un sacco di sciocchezze dando un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Dice, per chi non lo sapesse, che il nome antico dei manicomi era quello di ”asili”, luoghi di protezione e solidarietà. Dice che nell’Ottocento della brava gente ha messo in piedi con la stessa ispirazione i moderni manicomi. Dice che Erving Goffman (nel suo famoso Asylums) ha parlato di ”istituzioni totali”, ma che questo andava bene per gli anni Cinquanta. Dice che la de-istituzionalizzazione della malattia mentale ha avuto in seguito effetti assai negativi, anche perché le promesse della nuova farmacologia sono risultate impotenti di fronte alla depressione. Dice, infine, che i pochi manicomi sopravvissuti negli Usa sono mezzo vuoti e che solo l’uno per cento degli americani bisognosi di ”asilo” riceve sollievo a caro prezzo (100.000 dollari l’anno) presso cliniche psichiatriche specializzate, mentre il restante novantanove per cento, cioè milioni di suoi concittadini, non trova alcuna protezione né sollievo in una solidarietà organizzata.
In sostanza, dice che bisognerebbe rimettere in piedi dei buoni manicomi. Cita a sproposito Foucault, ma non fa neanche un cenno a Basaglia, agli esiti del suo movimento e al ruolo mondiale che esso ha avuto e mantiene. Non ne sa nulla? È molto poco credibile. Semplicemente, decide di fare silenzio.
È inquietante, ma si potrebbe osservare: sono fatti di Oliver Sacks. È assai più allarmante che la sua reticenza venga colta al volo, usata e sbandierata all’opinione pubblica italiana senza uno straccio di commento critico. Se le cose stanno così in America, e ce lo racconta uno che se ne intende, figuriamoci in Italia! Mi chiedo se dobbiamo inserire questa fallace analisi della follia nella scricchiolante telenovela dell’amore di cui siamo attoniti spettatori.Mentre attendiamo la comparsa in pubblico del volto del premier devastato da un cosiddetto folle in libera uscita, la macchina politica dell’odio ha ripreso a funzionare a pieno regime. Il fantasma della follia è tornato a circolare, a invadere le prime pagine e a ossessionare i cittadini. Quale migliore occasione per cementare il vecchio luogo comune del folle, sul quale è possibile scaricare tutto, azzerando un lavoro di decenni? Il rinculo è impressionante e l’incultura che lo accompagna può rivelarsi non poco disastrosa. Le leggerezze di Sacks vengono strumentalizzate per dirci: vedete, ve lo avevamo detto, sono pericolosi, bisogna provvedere e subito. Con azzeramento culturale intendo il colpo di spugna che si vorrebbe dare a tutta la cultura della follia che con grande fatica e altrettanto merito è stata costruita in Italia, a partire da Basaglia, vincendo pesanti sordità e ostacoli materiali di ogni genere. Ci sono i folli, punto. Come se fossero una categoria eterna e insondabile. Basta con questo cercare di comprenderli, socializzarli, valorizzarli, farli perfino diventare dei protagonisti. Bisogna, piuttosto, arginare, rinchiudere, eliminare il ”disturbo” sociale costruendo luoghi adatti e somministrando le cure giuste. Toglieteceli dalle strade e dalla vista. Già, ma quanti sono, chi sono? Così ridotta, così barbaramente e stupidamente ridotta, la parola ”folle” si può applicare a qualunque situazione, forse a qualunque individuo. Non è forse folle chi picchia un extracomunitario, già recluso in un centro di detenzione, perché vorrebbe dormire su un materasso asciutto? (O dobbiamo pensare che sia lui il folle?) Non è forse folle quella dipendente delle nostre Ferrovie che maltratta un disabile sull’eurostar Bari-Roma? (O dobbiamo pensare che è lui un folle, romeno e senza braccia, che sale sul treno privo di biglietto, con i denari per pagarlo ma non per pagare la multa?) Ciascuno, d’ora in poi, sorvegli bene i propri gesti, anche se si crede il più sano dei sani di mente: basta infatti poco per precipitare dall’altra parte, nel calderone di coloro che vengono stigmatizzati come ”folli”.
(da Il Piccolo, 08.01.10)