da “Vita”
L’eredità di Franco Basaglia vive ancora? È questa la domanda che sorge a cent’anni dalla nascita del grande psichiatra veneziano, a cui noi di VITA abbiamo cercato di rispondere con il magazine di marzo, dedicato a questo tema. Se è vero che la situazione della salute mentale in Italia non è sempre rosea, è anche vero che esistono dei luoghi in cui il pensiero che ha ispirato la Legge 180 viene ancora coltivato e mantenuto vitale. Uno di questi è il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura – Spdc di Pescia, dove non si lega nessuno da molti anni. A dirigere il dipartimento, fino a pochi mesi fa, Vito D’Anza, del Coordinamento nazionale salute mentale.
Com’è iniziata la sua esperienza in questo reparto?
Io sono arrivato nel 2005 a dirigere il dipartimento di salute mentale dell’Azienda sanitaria – Asl3 della Toscana, che allora era composta due unità funzionali, uno della Valdinievole, con 130mila abitanti, e uno della zona pistoiese di 160mila. Ho preso prima servizio come direttore di struttura a Valdinievole; sono arrivato a inizio marzo e il primo giorno sono andato a visitare e a conoscere il luogo. Il secondo giorno sono andato nell’Spdc, ho trovato qualche ricoverato, ma soprattutto una signora, penso avesse dai 72 ai 75 anni, legata al letto. Allora ho chiesto al medico di turno come mai questa persona anziana, una donna davvero tranquilla, fosse legata. Lui mi ha risposto che era per evitare che potesse cadere, anche per l’effetto dei farmaci.
E questo primo impatto con un Spdc l’ha colpita molto.
Io, vista anche la mia storia personale, sono “basagliano”, anche se questa parola può significare tante cose. Vengo da una scuola, quella di Napoli di Sergio Piro, che aveva fatto della contenzione meccanica una questione importante di cui dibattere. Quindi al mio arrivo nella struttura ho cominciato a fare delle riunioni settimanali con tutto il personale del reparto sulla necessità di non legare al letto le persone e di impostare in modo diverso il rapporto con i pazienti. A giugno ho fatto una disposizione di servizio, in cui ho detto: «A partire da oggi all’interno dell’Spdc è abolita ogni forma di contenzione». Su questo punto avevo alle spalle anche un Piano sanitario regionale della Toscana, che vietava in maniera tassativa ogni forma di contenzione meccanica negli Spdc e disponeva di monitorare attentamente la sedazione farmacologica. All’inizio ho chiesto che se fossero capitate delle occasioni in cui gli operatori non sapevano come fare senza legare mi chiamassero, in qualsiasi momento.
Ed è successo?
In realtà, tranne il primo anno, in cui mi hanno chiamato due volte, nei 18 anni successivi non l’hanno più fatto. Il che significa che da quel mese di giugno del 2005 fino alla fine del 2023 non c’è stata alcuna forma di contenzione meccanica. Ci tengo a sottolineare, però, che non legare non è una questione che dipende solo dall’Spdc. Quello che avviene all’interno del reparto è determinato da quello che sta fuori, dal resto dei servizi, se c’è un centro di salute mentale che funziona, se ci sono appartamenti supportati, una rete territoriale. Alla contenzione ci si arriva più facilmente se i servizi non hanno protocolli con il 118 e se mancano gli interventi nei luoghi di vita delle persone. All’epoca, per esempio, abbiamo fatto un protocollo con il 118, in cui abbiamo stabilito che in orario di apertura dovesse sempre essere avvisato il servizio prima di qualsiasi intervento di natura psichiatrica, in modo che un medico o un infermiere potesse recarsi sul posto, per cercare di ridurre il numero di Tso (trattamenti sanitari obbligatori, ndr) e di Aso (accertamenti sanitari obbligatori, ndr). Così noi, per 18 anni abbiamo fatto solo quattro/cinque Tso ogni 100mila abitanti, credo uno dei numeri più bassi in Italia. Poi, in questo modo, chi arrivava in ospedale accompagnato dagli operatori dei servizi, che già conosceva, tendeva a essere più rassicurato e tranquillo. Così, anche se non abbiamo mai legato, non abbiamo nemmeno avuto degli episodi aggressivi eclatanti o più numerosi rispetto ad altri reparti. Possiamo quindi testimoniare che evitare la contenzione è possibile.