Io e la mia amica Silvia siamo state a Roma alle due giornate organizzate da Unasam per il suo compleanno: 30 anni di presenza delle famiglie portatrici di un disagio… 30 anni di lavoro comune con le tante realtà che popolano lo spazio della Salute Mentale e della Psichiatria. La sede era lo storico “Frentani”, grande sala che ha ospitato congressi ed assemblee e che potrebbe raccontare mille storie…. Quindi grande attesa. Attesa delusa, eravamo in poche e pochi, troppo poche e pochi. Grande speranza di ritrovarci di nuovo insieme dopo tanto tempo e dopo mille accadimenti non di certo positivi, invece no. Dove erano gli operatori, i familiari, gli “utenti” ed “ex utenti” dei servizi? eppure ci dicono ogni giorno che il disagio mentale è in aumento, che le disuguaglianze stanno scavando solchi profondi, che il Servizio Sanitario Nazionale sta andando in frantumi e che i Servizi Psichiatrici, nella stragrande maggioranza, sono governati con logiche manicomiali.

Credo che dobbiamo non solo domandarcelo ma cercare di scavare e capire dove siamo, dove eravamo in questi anni in cui i diritti si urlano ovunque ma si vanno perdendo ad ogni angolo.

Migranti CPR Morti in mare e ad ogni confine
Contenzioni
Abuso di farmaci
Precarietà del lavoro e non solo
Nuovi muri ovunque
Guerre e genocidi
Femminicidi

A caso cito alcune situazioni ma potrei anche andare avanti a citarne altre… dove il diritto fondamentale ad una buona vita viene costantemente negato nella civilissima Europa, patria del Welfare!!!

Questa è la cornice dei miei pensieri e di Silvia… ma voglio tornare a Roma e dentro questa cornice sottolineare alcuni aspetti su cui vale la pena soffermarsi.

Silvia, infermiera di lungo corso, mi fa notare il numero spropositato di psichiatri e psichiatre, storici/che, famosi/e, bravissimi/e…. ma gli altri operatori, le altre operatrici? Alcuni/e volontari/ie di associazioni ma i familiari? Racconti di esperienze positive ma sembra un triste deja vu, una passerella di belle ma ripetute idee. Ed emerge, quindi, una dicotomia  lasciata cadere un po’ nel nulla ma che spero possa essere fonte di elaborazioni e pensieri: alcuni operatori di associazioni dicono che il disagio mentale non ha bisogno della/ delle psichiatrie, si fa meglio da soli; la vita in comune, il lavoro, le ritrovate relazione sono più che sufficienti, non c’è nessuna distinzione tra buona e cattiva psichiatria, nessuna considerazione su ciò che oggi chiamiamo pomposamente “ determinanti sociali”  basta tanto amore e comprensione.  Poi nel racconto emerge che i destinatari di questi interventi assumono farmaci, che dentro un buon progetto c’è anche un/a bravo/a psichiatra, un/a brava/o infermiere/a, un bravo/a educatore/trice ma chi narra sembra non rilevarlo. 

C’è stato Elio che, senza vergogna e senza dimenticanze, ci ha parlato chiaro, ci ha detto ciò che serve e ciò che va buttato, c’è stata Janila  che ci ha raccontato come si possono costruire i  “sintomi psichiatrici” e come si possono decostruire… loro sono stati veri.

E delle condizioni degli operatori chi ne ha parlato, della loro formazione, dei loro bisogni di sapere, di capire, di sentirsi partecipi di progetti di senso? Si fa presto a dire : non ci sono operatori, nessuno vuole più lavorare nei servizi psichiatrici, vero! c’è oggettiva carenza di medici, infermieri e molti se ne vanno anche all’estero ma chiediamoci che attrattiva ha un posto di lavoro mal pagato, dichiarato, in ogni occasione possibile, pericoloso, privo di qualsiasi finalità se non quella di definire chi è dentro o fuori dalla normalità… un posto di lavoro anonimo, privo di significato in un momento storico in cui ogni di noi faticosamente sta cercando di dare un valore alla propria esistenza, sta cercando di ritornare dentro ”la Storia”. Sta cercando di diventare un buon “determinante sociale”. Psicologi, assistenti sociali, educatori, terp, os, asa, ci sono e potrebbero riempire i servizi…basterebbe che fossero preparati al “che fare” e al perché farlo. 

E in questo terreno, lo/la psichiatra può venire dopo…..

Un’oratrice di cui non ricordo il nome, ha posto, quasi alla fine, un quesito importante: ma le associazioni dei familiari, le associazioni…. esisteranno ancora dopo di noi? Guardiamoci in faccia e guardiamole le nostre associazioni…. abbiamo tutte/i una età avanzata e sembra che dopo di noi troppo poche/i ce ne siano. Chi è più giovane ha il suo da fare a sopravvivere e non ha certo tempo di badare al fratello, alla sorella in difficoltà.. non è un piccolo problema è un tristissimo dato di realtà… il mondo cambia e noi?

Basaglia è stato nominato molto e già solo sentire la sua presenza evocata fa bene al cuore ma Basaglia ci proponeva di andare oltre lo steccato delle nostre piccinerie… che sono emerse tutte, tutte; abbiamo, intendo noi popolo cresciuto all’ombra di Basaglia, abbiamo perso il senso dell’”utopia”, abbiamo proprio aderito a quello che ci chiede chi ci governa (non intendo solo il governo italiano): ognuno si coltivi il proprio orticello, lo faccia come gli pare e piace… tanto non conta nulla!  Cosa esiste a fare un Coordinamento per la Salute Mentale se poi non ci coordiniamo in nulla? Di che parliamo quando ci scandalizziamo di ciò che dicono e fanno le nuove leve di operatori psichiatrici? Ci sentiamo offesi dal loro esasperato tecnicismo, dalla perdita del senso di umanità, dall’incapacità di sentire che, insieme, insieme viviamo in un mondo difficile e che solo insieme, ognuno con le proprie competenze, ne potremo uscire. Quindi noi, noi che pensiamo alla Salute ed alla Salute Mentale come un diritto inalienabile, cosa pensiamo di fare per queste nuove generazioni di operatori… saremo in grado e sapremo essere così generose /i da uscire dai nostri confortevoli e gratificanti giardinetti per donare a loro ciò che, senza saperlo, abbiamo ricevuto in dono?