Cronaca semiseria di una storia di vita e giudiziaria
di Antonella Calcaterra*
Il Dubbio, 19 ottobre 2023
Dario (nome di fantasia) è stato oltre 4 mesi in un reparto per acuti in attesa di una comunità che non è mai arrivata, sì trova a casa solo e non ha riferimenti di supporto. Non esistono educatori a pagamento. Ha chiesto di parlare con il suo giudice tutelare che gli ha fatto sapere che deve rivolgersi all’amministratore di sostegno.
Dario (nome di fantasia) me lo porto dietro da anni. Lo scorso anno dopo aver espiato la sua pena per un fatto di modesta gravità ha avuto una misura di sicurezza con collocamento in comunità. La misura di cura arriva mentre era ricoverato in un reparto ospedaliero milanese dove era andato spontaneamente perché non si sentiva bene. La misura di sicurezza resta ineseguita per carenza di posto. Dopo un mese di ricovero, viene accolto in una comunità da dove viene mandato via poco dopo perchè trovato positivo.
Esiste una delibera regionale del dicembre 2022 che vieterebbe alle comunità di dimettere i pazienti senza interloquire con i servizi di riferimento e con l’autorità giudiziaria ma viene costantemente disattesa. Questo per evitare che stazionino nel reparto dove si devono gestire i pazienti acuti o che stiano in giro senza assistenza.
Dario è di nuovo in reparto ospedaliero dove resta per oltre 3 mesi; vengono interpellate oltre 40 comunità ma nessuno lo vuole.
Tre mesi in reparto per chi non lo sapesse significa stare in un luogo con sbarre alle finestre dove non sì può uscire a vedere il sole e dove non c’è neppure una televisione.
Dopo 3 mesi un magistrato di sorveglianza coraggioso ha autorizzato Dario a tornare a casa dove è solo perché la mamma è in Rsa e sta male.
L’amministratore di sostegno nominato è un funzionario del Comune. Poco dopo con mail formale inviata anche a me e ai suoi vertici lamenta eccessive telefonate da parte di Dario, che oltre ad avere necessità di soldi per vivere ha bisogno di ascolto e di imparare a vivere autonomamente nel mondo.
Lui chiede aiuto per vivere, si sente solo, vorrebbe una borsa lavoro, compagnia. Non è capace a organizzarsi la vita. Nel mio piccolo penso che un amministratore di sostegno, quando poi è del comune, debba aiutare anche in questo. Invece no, dopo 3 telefonate l’amministratore mi scrive invitandomi a insegnare le regole al mio assistito, indica 4 ore alla settimana per le telefonate specificando che se ciò non verrà rispettato farà una querela per stalking. In quelle due ore il telefono è sempre occupato. E così continuiamo io e il mio studio ad occuparci di Dario, della sua solitudine, della sua povertà di risorse e del suo vuoto.
Riassumendo. Dario è stato oltre 4 mesi in un reparto per acuti in attesa di una comunità che non è mai arrivata, sì trova a casa solo e non ha riferimenti di supporto perché chi dovrebbe occuparsene lo vuole denunciare per stalking. Non esistono educatori a pagamento. Ha chiesto di parlare con il suo giudice tutelare che gli ha fatto sapere che deve rivolgersi all’amministratore di sostegno.
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Ho ricevuto la brochure della settimana della salute mentale del comune di Milano con invito a partecipare a una sessione. Non parteciperò. Non amo le vetrine che raccontano realtà patinate diverse da quella che tocco con mano quotidianamente a fianco dei miei assistiti. Che restano detenuti illegalmente in attesa di un posto in Rems mesi, con conseguenti sanzioni pagate dal nostro governo, che attendono in carcere o in ospedale posti in comunità mesi o che vengano abbandonati a loro stessi a casa.
In occasione di questa settimana meglio raccontare le cose come stanno e, come ben ha spiegato Fabrizio Starace sul Corriere della sera qualche giorno fa, meglio passare ai fatti. Di fronte a numeri che stanno crescendo a dismisura non sì può far finta di niente e continuare a destinare risorse così modeste alla salute mentale. Diventa un problema di grave responsabilità a livello dei decisori politici regionali e nazionali.
*Avvocata