È venuto a mancare Domenico Casagrande, un protagonista della riforma psichiatrica in Italia che ha lavorato all’opera di trasformazione dell’ospedale psichiatrico a Gorizia, contribuendo successivamente alla decostruzione del San Giovanni a Trieste, a fianco di Basaglia fino al 1980. Ha preso la direzione dei manicomi di Venezia, San Servolo e San Clemente, contribuendo alla loro chiusura e progettando e organizzando i servizi territoriali.
La notizia della morte di Casagrande mi è giunta mentre stavo rileggendo le pagine di un testo significativo, Mi raccomando non sia troppo basagliano, in cui Casagrande descrive l’esperienza di Gorizia, laddove tutto ebbe inizio. Ho colto questa coincidenza come un invito a scrivere, a “lasciare una traccia” ulteriore del lavoro svolto, per ricordare il movimento di liberazione dal manicomio e quell’ideale di cura di cui Casagrande è stato un rappresentante.
Correva l’anno 1967 quando Casagrande, ancora specializzando, giunge a Gorizia dove Franco Basaglia è arrivato nel 1961.
“La mia decisione di andare a Gorizia è nata da una valutazione critica […]Nel 1965 ero medico volontario nella Clinica Universitaria di Bologna. Sempre più mi rendevo conto che i pazienti dimessi ritornavano a casa con gli stessi problemi […] decisi allora che non avrei potuto fare il medico in quelle condizioni”. [Casagrande, 2020]
Casagrande, poco meno che trentenne, si trova ad affrontare delle prove importanti in una situazione di forte tensione dimostrando capacità e fermezza: la direzione dell’ospedale psichiatrico di Gorizia e il dover fare fronte a una provocazione da parte dell’amministrazione provinciale, alla quale Casagrande e il suo gruppo risponderanno promuovendo una forte resistenza nel tentativo di salvaguardare i cambiamenti che fino a quel momento erano stati realizzati.
“C’è stata una profonda rivoluzione del cercare di capire in modo diverso il malato e la malattia […]partendo dal malato, e non dalla malattia, perché partendo dal malato tu scopri una contraddizione con cui ti devi confrontare, se hai la malattia ti confronti con niente, non ti metti in discussione, metti in discussione solamente l’altro, anzi cerchi di costringere l’altro in un angolo che è quello dell’etichetta che tu gli dai dentro la quale lui deve stare”.[Casagrande, 2016]
Nel febbraio del ’72, l’Assessore alla Sanità dell’amministrazione provinciale di Gorizia, Ermellino Peressin, rappresentante di una Democrazia Cristiana che stava abbandonando il sostegno dell’esperienza basagliana, chiede a Casagrande, ora direttore dopo Pirella, di fare una relazione sull’anno di lavoro trascorso, sulle attività svolte e sugli obiettivi raggiunti. In realtà la richiesta di Peressin contiene un’intenzione provocatoria: “Mi raccomando cerchi di non essere troppo basagliano”, raccomandazione che Casagrande disattende scrivendo una relazione “profondamente basagliana”, nella quale ribadisce la volontà di concludere il processo di deistituzionalizzazione con l’avviamento dei Centri di salute mentale sul territorio, di cui lo stesso Peressin aveva bloccato l’apertura (progetto Cormons già avviato da Basaglia nel ’64). A questa relazione Peressin risponde promuovendo una narrazione “capovolta” dell’esperienza della comunità terapeutica nonostante le evidenze contrarie, dichiarando il fallimento dell’opera di Basaglia, di Pirella, di Casagrande e di tutti gli altri medici, e giovani che avevano trovato in Gorizia un luogo concreto dove si andavano realizzando le aspirazioni di cambiamento del ’68. Casagrande e tutti i compagni di lavoro decidono di rispondere alla provocazione dimettendo quasi tutti i ricoverati. Presentano le proprie dimissioni e abbandonano Gorizia. Un atto di coraggio, il loro, fatto per denunciare l’inutilità della loro presenza in un ospedale ormai inesistente e l’insensatezza del ricovero coatto. Ora le persone, non più internate, potrebbero essere seguite all’esterno presso i presidi territoriali. I medici che, insieme a Casagrande si dimettono, sono Croci, Goldschmidt, Norcio, Pastore, Piccione, Serra, Giovannini e Venturini, e la lettera viene firmata anche da tutti coloro che hanno partecipato con entusiasmo al cambiamento.
“In tutti questi anni di lavoro non ci siamo sforzati di creare una nuova tecnica, una migliore psichiatria, ma di denunciare la pratica e il fondamento ideologico dell’oppressione subita dai pazienti”. [Casagrande, 2020]
Finisce così la storia di Gorizia, ma in verità inizia un periodo altrettanto importante per Casagrande che porterà la sua esperienza a Trieste e infine a Venezia, dove darà seguito al processo di deistituzionalizzazione con la chiusura dei manicomi di San Clemente e San Servolo fra le isole della laguna veneta, e all’apertura dei servizi territoriali.
Casagrande ha creduto nel valore della lotta per i diritti inalienabili della persona, al di là della malattia, e il suo coraggio e la sua etica rimangono per tutti un insegnamento a cui guardare.
Fonti delle citazioni
-Intervista a Domenico Casagrande, Febbraio 2016. Psychiatryonline
-Frammenti autobiografici, in Venturini, Mi raccomando non sia troppo basagliano, 2020